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Adriano Sofri, primo giorno da uomo libero sull’Isola del Giglio

Ha trascorso il suo primo giorno da uomo libero sull’Isola del Giglio, tra le persone che hanno soccorso i naufraghi della Costa Concordia. Adriano Sofri racconta la tragedia con le parole di chi l’ha vista dalla finestra della sua stanza.
A cura di Carmine Della Pia
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nave costa concordia

Adriano Sofri è un uomo libero da sabato scorso, 14 gennaio. La sera prima, venerdì 13 gennaio, sarà ricordata come quella del naufragio di una nave, la Costa Concordia, un gigante pieno di cabine, stanze, piscine, ristoranti e divertimenti. Un' imbarcazione imponente che ha lottato contro uno scoglio, perdendo e accasciandosi su un lato. Più di 4mila persone faranno fatica a dormire, nei prossimi giorni, mesi (anni?), 6 viaggiatori sono morti, proprio come nei film che tutti amano vedere e rivedere, drammoni che si pensa non possano corrispondere alla realtà, se non al tempo in cui sono ambientati, cento anni fa.

Leonardo e Don Lorenzo, il saluto e le coperte

naufragio giglio

Ventiquatt'ore da uomo libero sono bastate ad Adriano Sofri per imbarcarsi sull'Isola del Giglio e raccogliere le testimonianze degli abitanti, racconti che ha affidato oggi al quotidiano Repubblica. L'altra faccia del naufragio, quella di una comunità che cenava, venerdì sera, in tutta tranquillità prima che il dovere chiamasse loro uno ad uno, sul bel porto dove è usuale pescare e salutare le navi.

Leonardo è un bambino di dieci anni. Frequenta la quarta e venerdì sera aveva aperto la finestra su esortazione della madre, perché c'era la nave che salutava.

Leonardo tiene le mani sprofondate nelle tasche e parla col mento dentro il colletto, come un lupo di mare. Ha un suo battellino a remi, ha dieci anni, fa la quarta. "La mamma mi dice: ‘Oh, apri la finestra'. C'era il saluto della nave". Al Giglio – spiega la mamma – il suono della sirena si dice "tufare": la tufa era la conchiglia in cui soffiare. "Ho salutato. Loro erano in pericolo, noi non ce eravamo accorti, aspettavamo i tre fischi. Poi abbiamo capito e l'allegria è finita. Hanno buttato l'ancora, i megafoni dicevano Calma, i passeggeri urlavano. Il babbo è uscito con la barca ad aiutare. Il babbo è pescatore, meccanico e ormeggiatore. Quando hanno cominciato ad arrivare le scialuppe ero già sulla punta del molo. Arrivavano zuppi. La mamma mi ha detto: adesso tu vai a letto. Ma adesso io non avevo sonno. Portavamo le persone alla chiesa, abbiamo distribuito l'acqua, il tè e le coperte. Piangevano, volevano andare a casa, non si capivano. I bambini piccoli li mandavamo all'hotel Bahamas o all'asilo".

Don Lorenzo, curato che ha affisso un foglio col suo numero di cellulare sul portone della Caritas, era sceso in strada per portare le coperte ai naufraghi.

Lo trovo in sacrestia che ripiega tovaglie ricamate e frangiate d'oro che fino a poco fa sono servite per avvolgere persone intirizzite. È qui da tre mesi, ha tante storie alle spalle e poca voglia di perdere tempo a raccontarle, fu attratto dal cristianesimo sociale, poi fu monaco cistercense per una ventina d'anni, poi parroco di paesi. Quando ha preso le sue coperte ed è sceso in chiesa e qualcuno gliele ha chieste si è scusato: "Sono prima per i bambini". Non hanno protestato. Erano molto dignitosi, dice, e ormai non erano più atterriti, non c'è stata rabbia né litigi, erano solo seduti a cercare di riscaldarsi, "ma non dimenticherò mai gli occhi spaesati, smarriti".

naufragio concordia

Il naufragio, le polemiche e i paragoni

A fronte della tragedia, speculazioni e paragoni si sono sprecati. Eppure è quasi certo il grave, enorme errore umano alla base del naufragio. Un amaro paragone, quello con la disavventura del Titanic, di cui quest'anno ricorre, fatalità, il centenario. Una tragedia che avevamo visto solo al cinema, molti anni fa, per giunta. Sono in molti a rifiutare il paragone, eppure tutti, almeno per un attimo, avranno pensato ad un parallelismo che non fa sorridere solo perché 6 persone (e si spera solo 6) ci hanno rimesso la vita, venerdì scorso.

C'è un giovane comandante di nave, coi bambini. "Le isole, chi non le conosce, meglio che stia alla larga. In Italia la sicurezza non è più la prima cosa. Orari lunghi, meno personale, filippini che non parlano l'inglese, che non hanno nessun brevetto. Ho lavorato in Inghilterra con equipaggi indiani, ma erano marinai provetti". Anch'io rilutto al paragone col Titanic, soprattutto perché il Titanic è svaporato fino a diventare una grandiosa metafora, e invece le tragedie, anche quelle assurde in una tinozza, devono restare attaccate almeno per un po' alla realtà, al buio, all'acqua gelata, ai morti e i feriti e gli spaventati, ai bambini turisti e a quelli dell'arcipelago toscano, alle suore e ai mezzi marinai pakistani. Quando si è così a mal partito, tutto fa da metafora. Uno racconta che, con quella balena colorata lì davanti, ha sognato che l'Italia intera, la penisola, si piegava sul fianco del Tirreno, come la Costa Concordia, e valla a raddrizzare. Ero venuto col governatore della Toscana, come ora li chiamano. "E pensare – ha detto – che la parola governo viene dal greco e significa pilotare la nave".

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