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Opinioni

Renzi punti su Pmi e startup per ripartire

Secondo le analisi del Bbva già oggi la Cina è la più importante economia mondiale per valore di mercato. Nel prossimo futuro l’Italia rischia di uscire dalla “top ten” se non saprà diversificare la sua economia e investire in nuove tecnologie e produzioni…
A cura di Luca Spoldi
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Nonostante la crisi dei mercati emergenti, Cina e Russia meriterebbero già ora un posto nel G7 molto più di quanto possano meritarselo Francia e Italia in base al ranking elaborato dagli economisti di Bbva circa il potere di mercato delle principali nazioni mondiali. Anche l’Arabia Saudita, per quanto legata alle esportazioni petrolifere, sembra poter vantare più titoli del Canada, sempre stando al World  Market Power Index. Se poi, come ha fatto l’economista Constantin Gurdgiev volessimo guardare  alle proiezioni a fine anno e a fine 2018, l’Italia e il Canada rischierebbero di assistere ad un ulteriore declino e di doversi giocare uno spareggio per restare nella “top ten” mondiale. Secondo Gurdgiev questo dimostrerebbe come un eventuale scontro a colpi di sanzione tra Occidente e Russia per le vicende ucraina è destinato a finire ancora prima di incominciare.

La conclusione non è dissimile da quanto da settimane evidenziano analisti e broker ed appare dunque singolare che Matteo Renzi voglia, stando alle indiscrezioni, “riallineare” l’Italia su posizioni più filo-statunitensi allentando i legami con Mosca. Con la Russia, come ho già spiegato, l’Italia dopo un ventennio di “buone relazioni” incoraggiate in particolare dai governi Berlusconi ma non solo ha una serie di contratti molto importanti, che vanno da produzioni congiunte del gruppo Finmeccanica con controparti russe (tra Alenia e Sukhoi per lo sviluppo di un jet da trasporto regionale, piuttosto che tra AgustaWestland e Oboroprom per assemblare e vendere elicotteri AW139 in Russia, o ancora tra Selex e Zao Artetra nel campo delle telecomunicazioni) allo sfruttamento del maxi giacimento di Kashagan da parte di Eni, alla partecipazione di Saipem alla costruzione del gasdotto SouthStream che porterà il gas di Gazprom in Europa saltando proprio l’Ucraina, per non dire di tutta una serie di investimenti avviati dalle maggiori società italiane in Russia e di una serie di acquisizioni di impianti e partecipazioni in società italiane da parte delle maggiori aziende russe.

Ma ancora più interessante, l’evidenza che emerge dalle analisi dell’indice summenzionato è che il potere economico (e di conseguenza anche politico) mondiale sta nuovamente spostandosi e dopo essere passato dall’Europa agli Stati Uniti appare ora destinato a scivolare nelle mani della Cina, che come nota il Bbva è già ora la più importante economia per valore di mercato, ossia sulla base di quanto produce ed esporta ciascun singolo paese. In uno scenario dove i mercati emergenti asiatici tenderanno col tempo a voler mantenere una quota sempre più elevata del valore aggiunto creato (aumentando dunque il costo dei prodotti finiti e/o spostandosi su produzioni a più elevata marginalità) come potranno sopravvivere le “ex grandi” economie che già ora appaiono sempre più piccole e in crisi, come appunto l’Italia, la Francia o il Canada, piuttosto che quelle emergenti di piccole dimensioni come l’Arabia Saudita?

Secondo gli esperti spagnoli l’unica via è quella di diversificare quanto più possibile la propria economia così da risentire meno delle turbolenze economiche mondiali destinate anche in futuro a incidere negativamente sullo sviluppo di singoli mercati e tecnologie. Piccolo, insomma, non è bello ma piccolo e concentrati su pochi settori, magari maturi, rischia di essere ogni giorno ancora peggio. Con un’avvertenza: l’importanza economica delle esportazioni va oltre i timori ciclici, spiegano gli analisti ribadendo come la produttività è e rimarrà una delle principali determinanti della futura crescita. “Le esportazioni possono sostenere i fondamentali della produttività indirettamente, attraverso una crescita economica più forte che generi entrate fiscali aggiuntive da investire in istruzione, infrastrutture o la tecnologia” ma anche direttamente, come nel caso “dei paesi che si specializzano in settori con un contenuto tecnologico medio-alto, che genera potenzialmente ricadute su altre attività”.

Se questo è vero per i paesi in via di sviluppo, è vero anche per l’Italia: ne tenga conto il premier Matteo Renzi quando e se si troverà a cambiare passo e dai tagli e dalle manovre correttive di bilancio pubblico avrà la possibilità di passare a sostenere la ripresa. Per dare prospettive a medio-lungo termine al Bel Paese sarà prioritario evitare interventi a pioggia o pensare solo alla tutela di chi lavora in settori maturi come l’auto, l’acciaio o la petrolchimica. Prima e meglio si dovrà cercare di sviluppare nuove aziende, nuove tecnologie, nuovi settori, trovando il modo di sostenere da un lato il rilancio delle Pmi che da troppo tempo soffrono la crisi più delle grandi imprese a causa di un accesso al credito più difficoltoso e del soffocante abbraccio del fisco, dall'altro la rivoluzione della nascente “startup economy” di cui già si vedono alcuni primi segnali incoraggianti ma assolutamente insufficienti.

Non si tratterà tanto di impiegare miliardi di euro di sovvenzioni e finanziamenti, quanto di aggiornare il quadro normativo e fiscale (ancora una volta una riforma relativamente “a costo zero” rispetto alle più tradizionali, e in parte superate, politiche di incentivi pubblici o sostegni ai consumi) e di garantire un costo competitivo per i principali fattori produttivi (capitale, lavoro ed energia). L'Italia che della sua capacità artigianale, dell'inventiva dei suoi piccoli e medi imprenditori, del genio dei suoi ricercatori ha saputo per anni fare motore della propria crescita deve tornare a puntare su queste caratteristiche uniche e non tentare di imitare pedissequamente la Germania o gli Stati Uniti: se Renzi riuscirà a imporre questo cambio di ritmo lasciando sullo sfondo le polemiche pro o contro l’euro, pro o contro gli F35, pro o contro le Provincie, le Regioni, il Senato, i costi della politica, le auto blu e tutta la consueta paccottiglia elettorale che da 20 anni distrae l’opinione pubblica, forse si riapriranno prospettive per noi e per i nostri figli. E magari l’Italia risalirà di qualche posizione la classifica dei più importanti paesi mondiali per valore di mercato.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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