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Tupac ucciso 18 anni fa, quando la morte si trasforma in mito

Tupac Shakur è stato assassinato diciotto anni fa, il 13 settembre 1996, a Las Vegas. Rimane fitto il mistero intorno al suo omicidio. Vita di strada, gang e rap si mescolano in una miscela esplosiva di testi musicali e vita reale. La povertà, il ghetto, il successo, i problemi giudiziari e la morte sono gli ingredienti salienti di un mito popolare.
A cura di Marcello Ravveduto
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Diciotto anni fa moriva, colpito da cinque proiettili, Tupac Shakur. La frase con cui viene ricordato, come un’epigrafe premonitoria, è un aforisma: «Se non hai qualcosa per cui vivere, trova qualcosa per cui morire». Una motivazione lui l’aveva: il rap. Se si considera che dopo la tragica fine sono stati venduti oltre 75 milioni di copie dei suoi dischi, si comprende con esattezza, al di là della retorica intorno alla violenza dei gruppi razziali, il senso di quelle parole. Non è stato il primo rapper ad essere ammazzato, ma il suo omicidio è un evento limite che ha reso evidente il corto circuito, tra vita vissuta e testi musicali, del gang ‘sta rap.

Prima di Tupak sono morti ammazzati Scott La Rock (1987), D-Boy Rodriguez (1990), Charizma (1993), Stretch (1995). Avevano un’età compresa tra i ventidue e i ventisette anni ed erano tutti afroamericani, cresciuti nel Bronx (tranne Charizma che era di San Josè in California) all’interno di una gang di strada. Scott è stato freddato durante una lite nel suo quartiere, mentre cercava di trovare un accordo tra bande rivali; D-Boy è stato trovato morto in una camera d’albergo a Dallas, vittima di una rapina (almeno così raccontano le fonti ufficiali); Charizma è stato sparato durante un’imboscata; Stretch è stato colpito alle spalle da quattro proiettili mentre era in giro con il suo SUV nel Queens Village (quartiere popolare newyorkese ad alta densità criminale).

Anche Shakur nasce a New York city, precisamente ad Harlem. Cresce in mezzo alle “Pantere nere” perché la madre, Afeni, è un’attivista del movimento: affronta addirittura la gravidanza in prigione per aver piazzato un ordigno esplosivo in un edificio pubblico. Il padre, Billy Garland, abbandona la famiglia dopo la sua nascita. Sarà Mutulu Shakur, primo marito della madre, a dargli il cognome (nell'agosto del 1988 il patrigno è condannato a sessant'anni di galera per rapina a mano armata, dopo essere stato per diversi anni nella lista dei 10 uomini più ricercati dell'FBI). Solo nel 1994 ha i primi contatti con il padre biologico. Già questo incipit è un ottimo viatico per la costruzione del mito: il bimbo di colore nato in cattività e senza padre. Ma la storia diventa sempre più triste, e letterariamente affascinante, quando si apprende che, dopo il divorzio della madre, Tupak è costretto a vivere con Afeni e la sorellastra in condizioni di estrema povertà: senza una fissa gira come una trottola tra i ricoveri per i senzatetto.

L’arte, però, scorre nelle sue vene plasmandone il Dna: è un poeta urbano precocissimo che lascia traccia indelebile di quella vita nel suo diario. A dodici anni entra nella compagnia teatrale di Harlem e interpreta la parte di Travis in “A Raisin in the Sun”. L’anno successivo gli offrono un contratto per mettere in musica i suoi versi, ma Afeni glielo impedisce perché “il figlio ha ancora molto da imparare sul mondo prima di entrare nell’industria discografica”. A quindici anni, trasferitosi con la madre a Baltimora, accede alla School for the Arts avendo l’opportunità di studiare teatro, ballo e musica. Nei racconti agiografici a questo punto si ricorda che Tupac, pur essendo ancora adolescente, si fa notare per le sue battaglie sull'uguaglianza razziale. In questo periodo scrive il primo pezzo rap sull’uso delle armi da fuoco, firmato con lo pseudonimo di "MC New York" e ispirato dalla morte di un suo caro amico.

https://www.youtube.com/watch?v=2cjv7hEAytU

Poi arriva la svolta californiana. Nel 1988 la madre lo manda a vivere presso un amico di famiglia a Marin City. Qui, lontano dal controllo di Afeni, sviluppa, estremizzando la lotta per l’affermazione razziale, una forte avversione al rispetto della legge: si mantiene spacciando droga. Tuttavia è proprio in questo ambiente che trova i contatti giusti per entrare nel mondo del rap. Più cresce la sua abilità nel rappare, più aumentano i problemi con la giustizia che ne complicano la vita privata e gettano ombre sulla sua immagine pubblica. Tuttavia, nonostante le esperienze di spaccio, solo dopo aver iniziato la carriera discografica la sua fedina penale si sporca. Nel 1991 viene arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, nel 1992 per una sparatoria a Marin City, in cui perde la vita un bambino di 6 anni colpito da una pallottola vagante; nel 1993, ferisce due poliziotti che stanno importunando e perseguitando un uomo di colore alla guida di un auto. Durante il processo viene fuori che entrambi gli agenti erano ubriachi e sotto l'effetto di cocaina e marijuana.

In quello stesso anno se da un lato ottiene il disco di platino per Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z., dall’altro è accusato di violenza sessuale di gruppo ai danni di una giovane fan. Il 7 febbraio 1995, Shakur è condannato a 4 anni e mezzo di prigione. Poco prima dell'annuncio del verdetto, durante un apparente tentativo di rapina subisce un’aggressione armata: nello studio in cui sta registrando entrano due uomini di colore sulla trentina, vestiti con tenute militari mimetiche. I due gli si avvicinano, impugnando una calibro 9, e lo obbligano mettersi con la faccia terra. In questa posizione gli sparano cinque colpi che raggiungono la testa, la coscia sinistra e l’inguine.

Sopravvissuto miracolosamente all’attentato si presenterà in tribunale sulla sedia a rotelle per ascoltare il verdetto in merito all'accusa di violenza sessuale. Comincia a scontare la pena nel febbraio 1995 in coincidenza con l’uscita del nuovo album Me Against the World, più volte disco di platino. In ottobre, dopo otto mesi di carcere, esce con la condizionale, grazie al pagamento di una cauzione di 1,4 milioni di dollari versata da Suge Knight, suo discografico e personaggio ambiguo, coinvolto nel narcotraffico. Nei pochi mesi di vita rimastigli scale ancora le classifiche con singoli sempre più arrabbiati ed esplicitamente avversi alle forze di polizia.

La notte del 7 settembre 1996, dopo aver partecipato all'incontro di pugilato Mike Tyson vs. Bruce Seldon tenutosi al MGM Grand di Las Vegas, scatena una maxi-rissa con un membro della gang dei Crips, Orlando Anderson, che alcune settimane prima ha picchiato e derubato una delle sue guardie del corpo. Dopo il violento diverbio, Shakur si reca al Club 662. Siede accanto al guidatore in una BMW E38 e lo seguono diverse vetture con membri del proprio entourage. Alle 23.15, una Cadillac bianca si ferma sul lato destro della BMW. Dall’interno della vettura si esplodono 13 colpi contro Shakur in rapida successione, colpendolo al petto, al bacino, alla coscia e alla mano destra. Trasportato in ospedale subisce diversi interventi chirurgici ma al sesto giorno di agonia un’emorragia interna lo stronca. È il 13 settembre 1996.

Il mistero si infittisce e il mito postumo cresce allorché vengono fuori piste che rimandano l’omicidio ad un regolamento di conti interno alla faida tra rapper dell’East coast e della West coast. In verità, nel corso degli anni, sono emerse ricostruzioni di ogni tipo: dalla guerra tra bande al traffico di droga, dall’esecuzione ad opera della criminalità organizzata alle invidie dei colleghi. Una cosa è certa molti dei personaggi coinvolti nella vicenda sono stati a loro volta assassinati, proprio come è accaduto a Notorius B.I.G. ritenuto, insieme a Puff Daddy, il principale mandate dell’omicidio. Forse è proprio l’inestricabile rompicapo della morte di Tupac ad averlo proiettato nell’Olimpo della scena musicale planetaria.

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