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Elezioni politiche 2018

Tasse universitarie, abolirle per tutti è giusto?

La promessa di abolire le tasse universitarie fatta da LeU, secondo Calenda e secondo il Pd, non funziona: servirebbe soltanto ad agevolare i più ricchi. Nella legge di Bilancio 2017 è stata introdotta già la “no tax area”. Ma quanti sono gli studenti universitari che attualmente godono già di un’esenzione?
A cura di Annalisa Cangemi
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Nella corsa verso il voto, in tema di tasse, la proposta di Liberi e Uguali, è quella di abolire del tutto le tasse per gli universitari. Un progetto che vuole fare concorrenza al Pd, che invece ha promesso di abolire il Canone Rai.

La misura secondo il leader di LeU, Piero Grasso, costerebbe 1,6 miliardi: "È un decimo dei 16 miliardi che ci costa lo spreco di sussidi dannosi all’ambiente, secondo i dati del ministero dell’ambiente", ha detto il presidente del Senato durante l'assemblea nazionale a Roma. L'università gratuita per tutti, secondo i detrattori della formula proposta da Grasso, andrebbe però contro il principio costituzionale della progressività, cioè il principio secondo cui il carico delle imposte per i cittadini, e quindi il contributo alla spesa pubblica, deve aumentare in maniera proporzionale rispetto alla ricchezza posseduta. Ma, ha spiegato Grasso, "La copertura non si carica sulla fiscalità generale ma sui sussidi alle aziende che inquinano". Nelle intenzioni del leader di LeU la misura vuole ampliare la platea dei giovani che possono permettersi l'università. Ma è veramente così?

Da una parte bisogna considerare che chi paga attualmente le tasse universitarie è anche chi accede concretamente all'istruzione accademica e che quindi usufruisce di un servizio. Se quelle risorse (1,6 miliardi) venissero spostate sulla fiscalità generale, significherebbe che anche chi non va all'università, i disoccupati, e i redditi bassi, dovrebbero accollarsi la spesa di chi frequenta gli atenei. E questa è la prima critica che viene mossa all'annuncio di Grasso. Il paradosso è proprio questo: se le risorse fossero ridistribuite, spalmate sulle imposte pagate da tutti, il cittadino più bisognoso che attualmente è già esentato dal pagamento delle tasse universitarie, si troverebbe comunque costretto a pagare quelle tasse, in modo indiretto, attraverso l'aumento della pressione fiscale.

Eliminando poi il gettito che proviene dagli studenti iscritti gli atenei di fatto dipenderebbero interamente dallo Stato, a scapito dell'offerta formativa. E gli studenti potrebbero essere meno motivati a completare in fretta gli studi, e la conseguenza del provvedimento sarebbe quindi un aumento esponenziale degli iscritti (e dei fuoricorso), senza per questo determinare un miglioramento generale della qualità degli studi.

Ma la proposta di della nuova formazione politica nasce esattamente dal presupposto opposto, cioè dalla volontà di assicurare il diritto allo studio, in un'ottica il più possibile egualitaria, secondo lo slogan "Per i molti, non per i pochi". Si legge infatti nel programma: "Nel corso dell’ultimo decennio si è assistito al continuo sotto-finanziamento del sistema universitario e della ricerca pubblica, accompagnato dal crollo delle immatricolazioni: l’Università diventa sempre di più un club per pochi. Contestualmente, gli enti pubblici di ricerca hanno subito una razionalizzazione selvaggia, un’esplosione del precariato in spregio all’utilità strategica di molti istituti. ​È irrinunciabile un investimento sulla progressiva gratuità dell’accesso, sul diritto allo studio, sul superamento del numero chiuso, sulla qualità dell’insegnamento, sulla valorizzazione di professori e ricercatori, sulla valutazione seria della ricerca".

Come funziona adesso la "no tax area"

Gli studenti che non pagano le tasse sarebbero un terzo del totale, grazie al cosiddetto "Student act" che con la legge di Bilancio del 2017 ha già incluso nella "no tax area" un iscritto su tre, prevedendo l'esenzione totale per chi sia in possesso di determinati requisiti di reddito, per la prima iscrizione, e anche di merito per gli anni successivi al primo. Le risorse per rendere operativa quest'agevolazione sono state sbloccate per l'anno accademico 2017/2018, attraverso il Fondo di Finanziamento Ordinario. Dopo il primo anno di studi universitari, per restare nella "no tax area" bisogna aver acquisito un certo numero di crediti formativi e non superare il primo anno fuori corso. In questo momento per godere dell'esenzione totale una famiglia deve dichiarare un reddito inferiore ai 13mila euro. Ma molte università l'hanno elevata a 15.000 e alcuni atenei addirittura a 23.000 euro. Gode di forti agevolazioni chi ha un ISEE (indicatore di reddito e patrimonio familiare) fino a 30 mila euro. Per la fascia compresa tra 15mila e 30mila la tassa non potrà superare il 7% della differenza tra ISEE e 13mila euro.

Secondo i dati di un'inchiesta del Sole24ore, al 21 novembre 2017, a fronte di un milione e 600mila iscritti all'università, sono state presentate oltre 543mila dichiarazioni Isee che dimostrano una posizione al di sotto dei 15mila euro. Come ha riportato anche l'Agi, le tasse universitarie sono in generale calate nell'ultimo anno: uno studente della Statale di Milano con Isee a 10mila euro è passato dal pagare una retta di 500 euro nel 2016 a sborsare solo 140 euro, che equivalgono alla sola tassa regionale per il diritto allo studio; allo stesso modo alla Sapienza di Roma non si pagano più gli oltre 600 euro d'iscrizione a un corso scientifico ma semplicemente la tassa regionale.

Le critiche alla proposta di Grasso

Anche il ministro dello Sviluppo economico Calenda è intervenuto nella questione, sostanzialmente bocciando l'idea di Grasso, perché, secondo lui, si tratterebbe di un'iniziativa che andrebbe soltanto a vantaggio delle famiglie più abbienti. Chi si trova in difficoltà di fatto oggi già è esentato: "Si caratterizza come un supporto fondamentale alla parte più ricca del Paese, credo che l'abbia costruita in modo erroneo. Oggi sono già esentati di fatto gli studenti con redditi bassi dalle tasse universitarie, se le metti a carico della fiscalità generale stai dicendo che anche i redditi bassi che non hanno figli a scuola devono pagare per mandare in molti casi persone che hanno reddito medio a scuola. È l'opposto di quello che Liberi e Uguali vuole fare, è una cosa trumpiana. Immagino che in queste ore la stia riguardando e vedendone bene le contraddizioni".

Giudizio critico anche quello espresso dal Pd, secondo cui la misura non cambierebbe molto, rispetto al panorama attuale: "Siamo di fronte ad una nuova gaffe del leader di Leu. L'abolizione delle tasse a tutti, infatti, sarebbe un favore alle famiglie più ricche, i cui studi sarebbero pagati dalla collettività e quindi anche dalle famiglie più povere. Per anni i colleghi di partito di Grasso hanno contestato l'abolizione della tassa sulla prima casa con la motivazione che sarebbe stata tolta anche ai ricchi, sebbene castelli e ville signorili siano stati esclusi, e ora vorrebbero far pagare l'università dei figli di Berlusconi o del fuoricorso Di Maio a tutti gli italiani? Sembrano un po' confusi", ha detto il deputato Pd Michele Anzaldi.

Per il Partito Democratico questa è una politica di destra travestita da una misura di sinistra, e sarebbe invece più equo far pagare le tasse a chi può permetterselo: "Poiché una buona parte di coloro che pagano l’Irpef hanno un reddito basso e non ricevono servizi universitari, scegliere di far finanziare gli Atenei interamente dalla fiscalità generale si traduce in un trasferimento di circa 2,5 miliardi dai “più poveri” ai “più ricchi”. Non propriamente una misura di sinistra, tantomeno “dura e pura”" spiega Luigi Marattin. La preoccupazione sollevata dal Pd è spiegata anche dal senatore dem e docente universitario Salvatore Margiotta, secondo cui la norma pensata da LeU danneggerebbe gli atenei pubblici: "Abolizione tasse universitarie lascerebbe in vita solo Atenei privati, o finanziati da privati, per ricerche di loro interesse. La fine della ricerca libera, autonoma, indipendente. In pratica, il contrario dei valori della sinistra". Il motivo, secondo Margiotta, è che alla ricerca accademica servirebbero finanziamenti aggiuntivi, come spiega su Twitter, e l'esenzione andrebbe garantita a chi ne ha bisogno, al di là del merito. E sottolinea la necessità di abolire il test d'ingresso, che rende oggi l'accesso all'università meno democratico.

Per la ministra dell'Istruzione Fedeli la misura è sbagliata già dalle premesse, perché le tasse per accedere all'istruzione superiore sono state già abbassate negli ultimi anni. Per la ministra dell'istruzione sarebbe più utile infatti pensare prima ai ragazzi più studiosi che ne hanno bisogno, incentivandoli: "Sulle tasse universitarie si sono già fatte operazioni importanti due anni fa con l'introduzione di una no tax area e abbiamo fatto interventi di calmieramento dei costi dell'Università. Ora dobbiamo spingere e incrementare i fondi per le borse di studio ai meritevoli".

I Paesi in cui non si pagano le tasse

Germania, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia sono i Paesi a cui l'Italia potrebbe allinearsi, secondo LeU. Nel nostro Paese si parte dai 190 euro ma si può toccare la soglia dei 1.200 euro. Gli studenti tedeschi e no nel Paese vanno all'università gratuitamente (al massimo alcuni Land possono imporre tasse se gli studi non vengono completati in tempo), quindi non occorre essere cittadini Ue per essere esentati.

In Danimarca le tasse per gli universitari vanno dai 6mila ai 16mila euro all’anno. E per alcuni corsi di specializzazione si può arrivare a oltre 35mila euro per gli studenti extra Ue. In Austria non pagano gli europei, un semestre costa invece circa 700 euro per gli altri. In Repubblica Ceca zero tasse se si rispettano i tempi: bisogna essere in regola con le materie, in lingua ceca. In Grecia non si paga la triennale, per la magistrale decidono gli istituti. In Francia la laurea triennale costa 189 euro l'anno, la magistrale 260. Costi un po' più alti in Spagna: da 700 fino a 2.000 euro all'anno per la triennale (più o meno come in Portogallo), fino a quasi 4.000 per la magistrale. Nei Paesi Bassi studiare costa invece quasi 2.000 euro.

Fanalino di coda per il Regno Unito, in particolare per l'Inghilterra, dove il leader laburista Corbyn, a cui si è ispirato Grasso, ha proposto infatti l'esenzione per tutti. In Inghilterra l'università richiede ingenti investimenti di denaro. Gli studenti pagano tra i 10 e gli oltre 11.000 euro all'anno per la laurea triennale. Ancora più oneroso il carico per gli studenti che non provengono dall'Ue. Segue a ruota il Galles, mentre in Scozia è gratis la triennale, ma ci vogliono circa 5.000 euro per la magistrale. In Irlanda si paga fino a 6.000 euro e addirittura fino a 30.000 per le magistrali. Ma se si prendono in considerazione i sostegni per gli universitari, cioè le borse di studio, la situazione italiana è ancora meno rosea: le borse di studio sono erogate per l’8-9% della popolazione universitaria; la Francia copre il 40% degli studenti, l’Europa del sud arriva a una media del 30% e in Germania a un quarto. Anche nel Regno Unito, più di uno studente su due riceve sostegno.

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