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Shevchenko non ci poteva credere: “Mi affacciai e vidi Inzaghi dimenarsi”. Era un’ossessione

Andriy Shevchenko torna sulla finale di Manchester e racconta cosa vide la mattina della partita affacciandosi al balcone dell’albergo. C’era Pippo Inzaghi da solo: correva e si dimenava. Stava giocando una partita che esisteva solo nella sua mente, con una porta immaginaria e un arbitro invisibile…
A cura di Paolo Fiorenza
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Per Andriy Shevchenko il momento di voltarsi indietro per riavvolgere i fili della sua carriera, ma anche della sua vita, è stato l'uscita nel 2021 del suo libro "Forza gentile. La mia vita, il mio calcio". Tanti gli aneddoti svelati dall'ex attaccante del Milan e Pallone d'Oro, qualcuno raccontato anche nell'intervista concessa al ‘Corriere della Sera'.

Impossibile non tornare alla notte di Manchester, con la finale di Champions League vinta sulla Juventus. Lo sguardo sicuro di Sheva prima di battere e segnare il rigore decisivo è rimasto nella memoria come uno dei momenti più iconici della competizione.

"Ho sempre avuto dubbi, mai paura. Dal cerchio di centrocampo al dischetto mi è venuto in mente di tutto. L’infanzia, Chernobyl, gli amici morti, tutto. Ma sopra ogni cosa mi dicevo di non avere dubbi. Una volta che hai deciso dove tirare, non importa cosa fa Buffon, non importa niente, basta non cambiare idea. Ricordo che mi sono passato la lingua sul labbro, e mi sono reso conto che avevo la bocca completamente secca. Ho fissato l’arbitro, perché il rumore dei tifosi copriva tutto e non avevo sentito il fischio. Lui mi ha fatto un cenno. E allora sono partito. A metà del tiro, con la palla ancora per aria, vedo Buffon che va giù dall’altra parte e capisco prima degli altri che è fatta, che quell’istante rimarrà per sempre. Il primo che abbracciai fu Dida, e tutti pensano ancora oggi che fosse un ringraziamento per le sue parate decisive. Non è vero. Manco me ne ero reso conto che era lui, correvo e basta, me lo trovai davanti".

C'è un'altra scena che Shevchenko non dimentica, stavolta non è lui il protagonista, ma un suo compagno di quel grande Milan, Pippo Inzaghi.

"Inzaghi è ossessionato dal calcio. La mattina della finale di Manchester mi sveglio presto e alzo le tapparelle. Eravamo in un albergo che dava su un campo da golf. Mi affaccio e vedo una persona che corre da sola, mima i movimenti di attacco, si gira a vedere se un arbitro invisibile ha fischiato il fuorigioco, si incita, indica una porta immaginaria. Era Pippo".

Altro palcoscenico, siamo al Meazza e di fronte c'è l'Inter. Sheva racconta l'incontro ravvicinato nel tunnel con un avversario che aveva fama di duro, Marco Materazzi.

"Nel sottopassaggio di San Siro, prima di un derby di Champions dove provavo a giocare con cinque placche di acciaio nello zigomo che mi ero fratturato due mesi prima, Materazzi mi disse cose poco carine su quel che sarebbe accaduto in campo alla mia faccia. Io gli risi in faccia. Non per fare lo sbruffone, ma perché sapevo che nella vita lui non era e non è così, è solo che facciamo parte di uno spettacolo, e ognuno ha la sua parte. La sua era quella del cattivo. E poi, la gente che cercava di intimorirmi dimenticava spesso da dove vengo".

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