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Reginaldo a Fanpage: “Mourinho mi voleva all’Inter, oggi cerco la salvezza con il Picerno“

A Fanpage.it Reginaldo parla della sua esperienza calcistica in Italia, dall’approdo al Treviso fino a Picerno: oggi il brasiliano è un riferimento della squadra lucana, rivelazione del girone C della Serie C.
A cura di Vito Lamorte
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9594 sono i chilometri che separano Jundiaí da Picerno. Due emisferi diversi, località completamente all’opposto, ma che, al momento, rappresentano dei punti fermi per Reginaldo Ferreira da Silva, da tutti conosciuto come Reginaldo. È in Basilicata da pochi mesi ma sembra che sia qui da anni per il modo in cui parla della sua squadra e della società del presidente Donato Curcio. L’ex attaccante di Fiorentina, Parma e Siena è a suo agio sull’Appennino lucano e nel paese del Melandro si sta divertendo: 20 presenze condite da 4 gol e prestazioni da leader che aiutano i rossoblu a muoversi in zona play-off contro ogni pronostico. Per la Leonessa della Basilicata è la seconda apparizione nel terzo campionato professionistico italiano ma la storia legata alla combine nell’anno della prima promozione è ancora una ferita aperta, non solo per motivi prettamente sportivi. La pagina di quella storia è stata voltata definitivamente e si guarda al futuro.

Del presente fa certamente parte Reginaldo che a 38 anni, dopo le esperienze di Monza, Reggio Calabria e Catania, ha sposato il progetto del direttore Vincenzo Greco e vuole dare una mano a centrare una salvezza nel girone C della Serie C che per un paese di nemmeno seimila abitanti varrebbe quanto uno Scudetto. Nel corso del girone d’andata il calciatore brasiliano ha dimostrato di stare bene fisicamente e con la sua esperienza sta dando una mano enorme al Picerno.

È arrivato in Italia nel 2000 girando tutta la penisola, con previ parentesi in Giappone e Brasile, e ora il suo percorso calcistico fa tappa in Lucania. A Fanpage.it Reginaldo ha parlato del presente, del passato e del futuro, spaziando dal calcio al gossip che lo ha riguardato negli anni precedenti al suo matrimonio.

Il Picerno è in zona playoff: dove crede possa arrivare questa squadra?
"Noi dobbiamo raggiungere prima di tutto la salvezza. Una volta centrato l’obiettivo cercheremo di porci altri traguardi ma prima di tutto viene la salvezza".

Dopo piazze come Reggio Calabria e Catania ha scelto Picerno, come mai? 
"Avevo altre richieste, anche interessanti, ma non mi hanno dimostrato la voglia di avere Reginaldo in squadra come il Picerno. Come giocatori siamo una cosa ma come uomini, come persone, nel mondo del calcio siamo altro. Quello che mi hanno dimostrato qui, di volermi non solo per le mie qualità, mi ha portato a venire qui".

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Cosa ti ha colpito di più di questa realtà finora?
"La voglia di voler fare le cose fatte bene. Una società piccola con una organizzazione da club che può lottare per vincere il campionato. Vogliono fare calcio ma facendo le cose come si deve. Il fatto di far trovare ad un giocatore tutto ciò che ha bisogno, senza strafare e con umiltà, è importante".

Con il gol al Palermo ha firmato uno dei momenti più importanti di questa società: dopo solo quattro mesi il suo nome è già storia qui, è cosciente di questo?
"Io sono un attaccante ed è importante segnare, ma sono più contento quando faccio degli assist per i miei compagni. Non è facile per un attaccante dire una cosa del genere. Quando ho giocato in squadre come Fiorentina e Parma e affrontavamo quelle più piccole c’era sempre quella cosina che ti fa pensare di essere superiore. Noi picernesi dobbiamo pensare di essere uguale a tutti e di poter essere in grado di giocare con tutti e batterli. L’umiltà del Picerno con la voglia che hanno i miei compagni possiamo giocarcela con tutti".

È arrivato in Italia 21 anni fa: quanto e in cosa è cambiato il calcio italiano?
"La mentalità è cambiata tantissimo. Il calcio era più tecnico, individuale, e c’erano giocatori che quando volevano decidevano le partite da soli. Ce ne sono ancora ma ormai si vedono gli attaccanti che fanno le diagonali in difesa".

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La sua migliore stagione, a livello realizzativo, è stata col Treviso l’anno della promozione con 13 reti: che ricordi si porta di quell’esperienza?
"È stato bello. Giocavamo io e Barreto avanti e giocavamo uno per l’altro. Venivamo entrambi dal Brasile e giovavamo già lì insieme. Ricordo che quell’anno venne il Genoa di Cosmi da noi, una squadra fortissima, e abbiamo vinto 3-0. C’era una voglia di giocare, stare insieme e io lì mi sono divertito perché facevo gol ma giocavamo veramente bene e poi siamo riusciti a portare il Treviso in Serie A. Un ricordo bellissimo".

La Fiesole cantava: “Insacca la palla Reginaldo”. La Fiorentina cosa ha rappresentato per lei?
"Arrivare a Firenze con giocatori del livello di Luca Toni, Jorgensen, Pazzini, Montolivo, Liverani. Pensavo di non fare nemmeno un minuto, perché mi trovavo insieme ai fenomeni, invece ho iniziato ad allenarmi con la serenità e la voglia che ho sempre avuto. La stessa che mi ha portato in Italia, la cattiveria e voglia di arrivare pensando alla mia famiglia che stava in Brasile. Alla quarta, quinta partita ho sentito questo coro e ho pensato ‘Ma davvero fanno questo per me’. E non vedevo l’ora di entrare. Quella città mi ha accolto come se ero già lì da due-tre anni ed è stata una delle stagioni più belle in Italia".

Quali sono le esperienza che ricorda con più piacere e quelle dove le cose potevano andare meglio?
"Quelle che mi sono rimaste un po’ più impresse sono le retrocessioni con il Siena e con il Parma perché potevamo fare bene ma non ci siamo riusciti. Io lì potevo andare via e rimanere in Serie A ma ho scelto di restare in B per cercare di risalire perché mi sentivo in debito con loro. Fortunatamente siamo riusciti a salire in entrambi i casi. A Parma dopo la promozione sono andato via, a Siena ci sono rimasto quattro anni perché stavo molto bene. Poi sono andato in Brasile".

Ha lavorato con Conte ai tempi di Siena: c’è qualcosa che le colpì subito di quel giovane tecnico che adesso è uno dei più vincenti d’Italia?
"La voglia che trasmetteva ai giocatori. Oltre ad essere un maestro ed essere uno forte, trasmette questa cattiveria ai calciatori che se lo segui è impossible non fare bene. La sua cattiveria e la sua voglia di fare bene a tutti i costi mi sono rimaste impresse".

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C'è stato un momento in cui è stato vicino a qualche big e poi è saltato tutto?
"Io sono stato vicino all’Inter perché mi ha fatto seguire José Mourinho per tre mesi. Il problema mio è che ho sempre vissuto le cose con la massima serenità, anche se mi dicevano che mi seguiva il Real Madrid io facevo sempre le stesse cose. Non rimpiango nulla di quello che ho fatto in Italia e che ancora farò, visto che ho ancora voglia di giocare".

Sul suo profilo Instagram c’è una frase: “Ho sempre lavorato da quando ho 8 anni quindi posso fare tutto”.
"Io non voglio fare la parte di quello che è venuto da Brasile, che è cresciuto nella favelas. Alcuni hanno avuto altre possibilità ma io sono cresciuto lì e ci vivo ancora perché credo nelle piccole cose. Ho sempre avuto voglia di fare qualcosa e da piccolo sono andato anche a lavorare con i muratori: se mi davano mille lire io compravo un pacco di biscotti e lo mangiavo con i miei fratelli. Io sono sempre stato così. È più per me che per gli altri, è una motivazione".

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Ha dichiarato più volte che il gossip sul suo conto ha oscurato le sue performance: quanto influisce sulla carriera di un calciatore tutto ciò che sta intorno? 
"Io ho quasi 500 presenze nei campionati italiani e mi piacerebbe che la gente parlasse di Reginaldo come giocatore, per quello che sono venuto a fare in Italia. Poi tutti hanno una vita privata, con le sue storie. Alla fine rimane quello che hai fatto sul campo, non quello del gossip. Sono sposato da nove anni e ho tre figli. Vorrei essere ricordato per il mio lavoro e non per altro".

Reginaldo ha 38 anni ma non ha nessuna intenzione di smettere: cosa la spinge ad andare avanti?
"Finché il fisico mi permette di giocare e finché me la sento, lo farò. Non voglio rubare il posto a nessuno perché ci sono tanti ragazzi giovani che vogliono fare questo ma devono capire che questo è un lavoro, non è solo divertimento. Noi che giochiamo a calcio dobbiamo capire che siamo fortunati perché lavoriamo un’ora e mezza, un’ora e 45 al giorno, ma in quel momento devi dare il massimo, perché c’è la gente che si sveglia alle 6 del mattino e forse riesce a tornare a casa per la sera per stare con la famiglia. Il giorno dopo lo stesso. E sono contenti. Noi facciamo molto meno e quindi dobbiamo andare a mille. Questo è il mio modo di pensare e finché starò bene giocherò. Dopo vorrei fare qualcosa per stare un po’ di più con la mia famiglia e con i miei figli".

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