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Marco Van Basten il re del gol tradito dalla caviglia troppo fragile

Marco Van Basten è stato il centravanti simbolo del Milan di Sacchi e Capello, con il Milan ha vinto tutto, ma avrebbe dovuto giocare nella Fiorentina. Ha segnato il primo e l’ultimo gol in Serie A allo stesso portiere, Alessandro Nista. Contro Dassaev, numero 1 dell’URSS, ha realizzato il secondo gol più bello nella storia del calcio.
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Di Marcel, o come dicevan tutti Marco, Van Basten ce n'è solo uno. I tifosi del Milan l'hanno scandito in coro per anni, quelli dell'epopea di Sacchi e del berlusconismo rampante. Con quel nome italianizzato come i filosofi medievali, e uno stile principesco, ha offerto un posto nella storia della moda al giubbotto di renna. Lo indossava sopra una camicia rosa quando salutò San Siro per l'ultima volta, e se lo ricordano tutti.

La sua storia illumina i dettagli, i comprimari e gli avversari nella stessa luce densa della predestinazione. E' la storia di Crujff, che gli lascia il posto nel giorno del suo esordio fra i professionisti: la sostituzione più famosa, e una delle più simboliche, del calcio. E' la storia di Olde Riekerink, modesto difensore che ha giocato con Sparta Rotterdam e Dordrecht, il primo ad avergli rovinato le caviglie. E' la storia di Enzo Scifo, colpo dell'Inter che la Gazzetta dello Sport annuncia lo stesso giorno della presentazione di Van Basten al Milan e nella stessa pagina. Al belga è riservato lo spazio maggiore. Ma anche quella di Ray Wilkins, il "Rasoio" che arrivò al Milan nel 1984 da capitano dell'Inghilterra e ci rimase tre anni. Lasciò la sua casa a Van Basten.

Van Basten firmò per la Fiorentina

Eppure, la sua prima destinazione avrebbe dovuto essere Firenze. Claudio Nassi, ex dirigente dei viola, ha ancora il contratto firmato da Van Basten, capitano dell'Ajax a ventun anni, con la Fiorentina nel 1986. Lo racconta Gianluca Di Marzio nel suo libro "Grand Hotel Calciomercato". Nassi l'ha visto giocare solo in videocassetta, ma gli è ampiamente bastato per volare ad Amsterdam e strappare un accordo. Sei miliardi da pagare in tre rate all'Ajax, seicento milioni di lire netti a stagione di ingaggio per il Cigno.

Van Basten avrebbe dovuto giocare con Roberto Baggio, Ramon Diaz e Wim Kieft, olandese con cui era cresciuto all'Ajax che si sarebbe liberato nell'estate del 1986 dal Pisa. Sarà proprio Kieft a segnare un gol essenziale contro l'Eire all'Europeo del 1988. Senza di lui, non avremmo visto Van Basten scandire la finale con un capolavoro dell'ingegno e dell'intuizione.

Sembra fatta, quella grande Fiorentina resta solo un progetto (come chiarito in un aneddoto custodito da Claudio Nassi, ex direttore generale della viola, e raccontato da Gianluca Di Marzio nel libro Grand Hotel Calciomercato) e Van Basten è soltanto un fiore non colto. Cifre, ingaggio e altri dettagli inseriti nell'accordo divengono carta straccia. Salta tutto Arriverà in Italia un anno dopo per fare grande il Milan.

A Nista il primo e l'ultimo gol in Serie A

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Mentre la futura moglie Lisbeth si allena a cucinare gli spaghetti, Marcel o come dicevan tutti Marco si allena a conoscere l'Italia. Si abitua al caldo che dura quattro mesi e alle colazioni leggere. Il pubblico della Serie A lo vede esultare per la prima volta nel giorno del suo esordio, a Pisa, il 13 settembre 1987. Ripete due volte un calcio di rigore, e due volte lo segna, alla sua maniera, col saltello. Il servizio della Domenica Sportiva si apre col trio Lescano: "Parlano d'amore i tuli-tuli-tuli-pan". Parlano di gol, si celebra soprattutto un gran colpo di testa di Ruud Gullit.

Quel giorno, il Cigno simbolo del Milan sacchiano e calvinista osserva Alessandro Nista, il primo dei tanti portieri che invano hanno provato a sfidarlo, a fermarlo. Come lui, è all'esordio in Serie A, le loro parabole andranno avanti insieme, simili e distanti, senza interferire quasi mai.

Nista, che sarà per anni riserva di Luca Bucci e Gigi Buffon al Parma, ha avuto più volte la sfortuna di partecipare alla storia dalla parte dello sconfitto, di chi è vinto e battuto e non vede nessuno dietro la collina. Gli succede anche la settimana successiva al rigore di Van Basten. Il Pisa gioca a Pescara e perde 2-1. Decisivo un altro tiro dagli undici metri. E' il primo gol in Serie A di Gian Piero Gasperini.

Sei anni dopo, il 9 maggio 1993, Nista è il portiere titolare dell'Ancona ormai praticamente retrocesso. Torna allo stadio il presidente dei marchigiani, a processo per truffa, che ha portato l'Ancona per la prima volta in Serie A. I tifosi lo accolgono al grido di "Longarini in galera". Torna dal primo minuto anche Van Basten, che non gioca una partita intera dal 13 dicembre dell'anno prima, match d'andata di campionato contro l'Ancona. Segnerà il gol numero 13 della stagione. L'ultimo della sua carriera.

Al Del Conero, Van Basten si eleva di fronte ai modesti difensori col morale a pezzi. Salta, ancora regale, un'ultima volta. Di fronte allo stesso portiere che aveva assistito al suo decollo in Serie A. La malinconia di quell'ultimo gol anticipa il destino dei duellanti. Il Milan vincerà lo scudetto, Van Basten però smetterà di fatto di giocare. Nista non sarà più titolare in una squadra di Serie A. L'olandese annuncerà l'addio al calcio nell'agosto del 1995. Pochi mesi dopo, Nista giocherà la sua ultima partita intera in Serie A, Cremonese-Parma 0-2.

Van Basten e il gol all'URSS

Cosa voglia dire essere un portiere di fronte all'apparir di un esemplare di centravanti ritroso di fronte alla sua stessa vicinanza alla perfezione, lo testimonia Rinat Dassaev. Ovvero l'uomo che ha subito il secondo gol più bello nella storia del calcio. Ma solo perché per il primo posto non si compete, lo slalom del “Barrilete cosmico” Maradona rimane fuori competizione. “Marco ha dovuto smettere quando stava per diventare il più grande di tutti” dirà il Pibe de Oro, “forse Dio non vuole più che siano segnati gol belli”.

Quella di Marcel, o come dicevan tutti Marco, Van Basten è una storia di predestinazioni. L'applicazione dell'immaginazione allo stravolgimento della fisica che decide la finale del campionato 1988 chiude una ferita e anticipa il destino. Quel 25 giugno del 1988 finisce il sogno europeo dell'Unione Sovietica, il paradigma della scienza applicata dal pallone da Valery Lobanowski. Finisce per un arcobaleno lanciato ai confini dell'infinito di cui Dassaev si è scoperto incantato e involontario ammiratore. “Ha segnato una rete incredibile, per potenza e prontezza, un colpo che nella vita riesce pochissime volte – ha ammesso allora il portiere dell'URSS -. Non mi ha dato neanche il tempo di pensare”.

Van Basten, che l'Europeo l'aveva iniziato in panchina, lo chiude da capocannoniere e con un gol da leggenda. L'Olanda è campione a Monaco di Baviera, nello stadio della finale del Mondiale del 1974 persa contro la Germania Ovest. Una partita fondante di una certa narrazione identitaria del calcio olandese. Due scontri di filosofie, a quattordici anni di distanza, con lo stesso condottiero, il ct Rinus Michels. “Ha vinto l'Olanda con i calciatori del Milan” ammette Van Basten. Vent'anni dopo, da allenatore di un'Olanda senza giocatori del Milan, perderà un quarto di finale europeo contro la migliore Russia degli anni Duemila.

"Pensavo fosse calcio e invece era Van Basten"

Al Milan ha vinto tutto: tre Scudetti (1987-88, 1991-92, 1992-93), due Coppe dei Campioni (1989, 1990), due Coppe Intercontinentali (1989, 1990), due Supercoppe Europee (1989, 1990), tre Supercoppe Italiane (1989, 1992, 1993). Ha chiuso due stagioni da capocannoniere in Serie A, ha ricevuto tre volte il Pallone d'Oro. Ha segnato 124 gol. E' andato a segno in 85 partite diverse, e di queste il Milan non ne ha persa nessuna. Mai. Funzionava così, come ha ricordato Carlo Ancelotti alla Gazzetta dello Sport per i cinquant'anni dell'ultimo numero 9 dei rossoneri senza il cognome sulla maglia e il numero personalizzato. “Mi ripeteva una cosa sola: dammi la palla, poi corri ad abbracciarmi. È successo tante volte”. Ha funzionato praticamente sempre.

Ha giocato la sua ultima partita a San Siro tra Coppa dei Campioni e Champions League il 25 novembre del 1992, contro il Goteborg. L'interprete regale del legame fra il calvinismo e l'etica del lavoro ne segna quattro, come alla prima partita europea, contro il Vitocha Sofia. Quattro assi di un colore solo, compresa una rovesciata da poster. Anche se ha sempre sostenuto che quella segnata contro il Den Bosch fosse ancora più bella.

Quegli ultimi quattro gol nelle coppe a San Siro li ha realizzati contro un portiere di origini italiane, per diversi anni il calciatore svedese con più presenze in nazionale: Thomas Ravelli. “Mi segnò quattro gol e un quinto che fu annullato” ha ricordato in un'intervista alla rivista francese So Foot. “Segnava di sinistro, di destro, di testa. Aveva tutto. Per me era il migliore”.

Dopo quell'esibizione di completezza e razionale estro, il mensile Forza Milan ha sintetizzato in un titolo di copertina il senso di meraviglia di fronte all'apparizione di un calciatore così dentro il suo tempo e insieme fuori dal tempo. Un attaccante che Fabio Capello, commosso fino alle lacrime nel giorno del suo addio al calcio, ha fatto studiare a un certo Zlatan Ibrahimovic. Il messaggio della rivista dei tifosi rossoneri resta come un canto d'ammirazione che vale per tutti, compagni e avversari, per chi l'ha visto e per chi non c'era. “Pensavo fosse calcio invece era Van Basten”.

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