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Il calcio italiano non ha capito che per fortuna o “purtroppo” la legge è uguale per tutti

Il focolaio di Covid-19 nel Torino mostra ancora una volta come appellarsi al protocollo non basta per giocare in sicurezza, nel rispetto della salute pubblica e delle leggi. E che quel pacchetto di norme, redatto in un periodo differente rispetto alle condizioni sanitarie attuali, è divenuto ancora una volta carta straccia per l’evoluzione dei contagi. Ecco perché non ha alcun senso la partita Lazio-Torino. Come se in piena emergenza sanitaria le decisioni da assumere in materia di salute pubblica abbiano una scadenza e l’immediatezza o meno di un provvedimento sia una discriminante opinabile.
A cura di Maurizio De Santis
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Il focolaio Covid nel Torino (dopo quello nel Genoa) dimostra che fare riferimento al protocollo non basta per giocare in sicurezza, nel rispetto della salute pubblica e delle leggi. E che quel pacchetto di prescrizioni, licenziato in un periodo differente rispetto alla condizioni di emergenza attuali, è divenuto ancora una volta carta straccia per l'evoluzione degli eventi e dei contagi. Lega Serie A e Federcalcio ne hanno preso (finalmente) atto ma fare capriole con le parole per dire che Lazio-Toro è cosa differente da Juve-Napoli (e Napoli-Genoa) certifica la debolezza progettuale della Federazione e dell'intero movimento. Finora incapace di prevedere un "piano b" per un campionato che non si disputa sulla luna ma in un Paese in piena terza ondata e a quota 100 mila morti per la pandemia.

Con buona pace del "per noi si deve giocare, purtroppo c’è il precedente di Juve-Napoli" utilizzato dal presidente dei club, Paolo Dal Pino, per giustificare l'impossibilità di adottare soluzioni alternative al rinvio di una partita (Lazio-Torino) che non ha alcun senso autorizzare a tutti i costi, obbligando una squadra ferma da una settimana, con un numero ridotto di calciatori, a presentarsi in campo violando le leggi dello Stato e quelle non scritte del buon senso per la minaccia incombente della sconfitta a tavolino e della penalizzazione. Ne sarebbe occorsa tanta di ragionevolezza anche prima e dopo Napoli-Genoa, per il cluster che tra le fila del Grifone esplose in maniera anche più virulenta. Era diritto/dovere dei vertici del calcio italiano gestire la questione nella massima trasparenza, ascoltando le istanze legittime delle parti e trovare una soluzione giusta per tutti. Ma allora si preferì minimizzare la gravità della vicenda appellandosi alla rigidità di un documento all'interno del quale il ruolo e i poteri delle autorità competenti (le Asl) erano già normati e non avevano bisogno di alcuna interpretazione.

Con buona pace anche dei distinguo del numero uno della Figc, Gabriele Gravina, che ha chiarito come "non c'entra la sentenza del Collegio di garanzia su Juve-Napoli. Sono situazioni differenti, questa della Asl non è una decisione dell'ultim'ora". Come se in piena emergenza sanitaria le decisioni da assumere in materia di salute pubblica abbiano una scadenza e l'immediatezza o meno di un provvedimento sia una discriminante opinabile. Si può essere padroni di un calendario, non della vita delle persone

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Da venticinque anni nel mondo dell’informazione. Ho iniziato alla vecchia maniera, partendo da zero, in redazioni che erano palestre di vita e di professione. Sono professionista dal 2002. L’esperienza mi ha portato dalla carta stampata fino all’editoria online, e in particolare a Fanpage.it che è sempre stato molto più di un giornale e per il quale lavoro da novembre 2012. È una porta verso una nuova dimensione del racconto giornalistico e della comunicazione: l’ho aperta e ci sono entrato riqualificandomi. Perché nella vita non si smette mai di imparare. Lo sport è la mia area di riferimento dal punto di vista professionale.
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