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Dietro le dimissioni di Prandelli il peso del rapporto difficile con lo spogliatoio della Fiorentina

L’addio di Cesare Prandelli nasce da profondi motivi personali, la lettera a cuore aperto con cui l’ha accompagnato lo conferma. Eppure, le dimissioni hanno radici di natura anche sportiva e calcistica, con un complicato rapporto con lo spogliatoio. Sintomatico che nel giorno del massimo sconforto, un solo giocatore abbia ringraziato e salutato pubblicamente il tecnico.
A cura di Alessio Pediglieri
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L'addio di Cesare Prandelli alla Fiorentina, oltre all'aspetto umano ha conseguenze importanti sul piano sportivo e anche sotto il profilo del campo e dello spogliatoio si è consumato il dramma personale dell'uomo, ancor prima che dell'allenatore. "L'ombra" di cui ha parlato il tecnico, il "non riconoscersi più in questo calcio" cela anche un soffocato rifiuto di confrontarsi con un ambiente che fa fatica ad accettarlo.

La Fiorentina, sotto questo punto di vista, ha le sue certificate responsabilità: all'annuncio delle dimissioni, di fronte alla lettera a cuore aperto, al di là di considerazioni di rito da parte della dirigenza, nessun giocatore – a parte Vlahovic – ha salutato o ringraziato il mister per ciò che è stato in questi mesi.

La solitudine in cui si è sentito schiacciato Prandelli nasce da considerazioni strettamente personali, ma arriva anche dalla realtà viola con cui si è dovuto confrontare ogni giorno, senza scomodare i massimi sistemi calcistici. Una squadra che perde il suo timoniere senza nemmeno ritrovarsi a scrivere due righe – che probabilmente arriveranno nelle prossime ore – evidenzia il disagio che Prandelli ha dovuto subire in questo periodo, la ‘pressione' di un calcio che non solo non lo ha più stimolato e che gli si è riversato contro.

Una Fiorentina che ha una media da retrocessione e che deve pensare a salvarsi, diversi malumori interni tra i vari giocatori, il silenzio assordante di un gruppo che non commenta l'addio del tecnico, il fastidio di qualche big per scelte e decisioni non condivise. Tutto ciò ha maledettamente pesato, portando Prandelli a riflettere sul "mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più". Eppure, nei suoi mesi in viola, ha provato a dare un volto e un senso a questa stagione, evidentemente fallendo all'interno dello spogliatoio.

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Stress, incomprensioni, un entusiasmo trasformatosi in peso. Dalla voglia di riordinare Firenze all'indomani del testimone ricevuto da Iachini per volontà della dirigenza, pochi mesi dopo, si è passati al ‘male di vivere‘ cui ha contribuito esponenzialmente il rapporto, mai costruito, con i giocatori e con  piani dirigenziali che hanno lasciato solo il tecnico in una gestione nella quale mai ha avuto reale supporto.

Riavvolgendo il nastro a posteriori, arriva lo stridio del silenzio dei giocatori davanti alla lettera del tecnico, e risuonano i malcontenti dei vari Caceres, Ribery, Almarat, Kouame. L'assenza colpevole di una società per un mercato schizofrenico dove non si è mai sostituito Chiesa, si sono ceduti a lavori in corso i vari Cutrone, Lirola, Duncan, Saponara per acquistare Kokorin o Malcuit, ancora oggetti semioscuri dell'universo viola. Al di là delle considerazioni e del malessere personale, la realtà è che nel momento del maggior supporto, Prandelli si è sentito solo e abbandonato. Quel solitario "Grazie mister, non dimenticherò mai tutto quello che hai fatto per me e in bocca al lupo" di Vlahovic ora risuona più forte che mai.

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