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Diego Lugano a Fanpage: “Chiellini gran difensore, ma con Suarez commise un peccato mortale”

L’ex difensore e capitano della nazionale uruguayana Diego Lugano ha vissuto tantissime avventure in un campo da calcio. Dalla vittoria del mondiale per club all’episodio di Chiellini e Suarez, passando per una storica bagarre nel derby di Istanbul. Lugano racconta la sua carriera a Fanpage.it e parla anche di Marco Verratti, compagno ai tempi del PSG.
A cura di Antonio Moschella
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Diego Lugano è idolo in tre luoghi: il suo Uruguay natale, Istanbul e San Paolo, metropoli brasiliana nella quale ancora vive in quanto dirigente del club paulista. Intervistato da Fanpage.it, l'ex difensore e capitano della nazionale uruguaiana ricorda alcuni episodi della sua carriera: dalla Turchia al Paris Saint-Germain (con Marco Verratti), partendo dalla Celeste e da quella sfida con l'Italia ai Mondiali 2014 consegnata alla storia per le scintille tra Luis Suarez e Giorgio Chiellini.

Lei era in panchina quel giorno a Natal, ma vide tutto quello che accadde tra Suarez e Chiellini…
"Ti dico io cosa successe. L'Italia si sarebbe qualificata con il pareggio e quindi i difensori azzurri avevano pensato bene di picchiare e intimorire Suarez durante tutta la partita, perché sapevano che era il nostro miglior giocatore. E fin qui va bene, perché in campo si gioca per vincere dando tutto. Ma Chiellini è stato scorretto quando si è lamentato con l'arbitro, quando ha fatto da alcahuete (spione in spagnolo rioplatense). In campo tutto è permesso, tranne piangere con l'arbitro denunciando un avversario. Appena finisce la partita finisce tutto".

Circa un anno prima Edinson Cavani, al Napoli, aveva subito anche lui un duro trattamento da Chiellini, il quale gli aveva addirittura tirato i capelli.
"È il calcio, fa parte del gioco. Anche tirare i capelli. Io posso perdonare qualsiasi cosa, perché anch'io entravo e giocavo duro, ma quanto succede in campo resta in campo e appartiene ai calciatori, non agli arbitri. Quella partita era carica di tensione, ricordo ancora che all'intervallo siamo quasi arrivati alle mani con gli italiani ed è dovuta intervenire la security per evitare la rissa".

Cosa pensa del Chiellini calciatore?
"Parlano i fatti: si tratta di uno dei migliori difensori degli ultimi dieci o dodici anni, oltre che di una persona molto colta e anche di un tipo simpatico. Ma quel giorno in Brasile commise un peccato mortale, che alla fine l'Italia pagò con l'eliminazione".

Sta parlando di karma?
"Non esattamente. Luis (Suarez ndr) aveva risposto alle provocazioni e aveva provocato a sua volta, mettendo psicologicamente Chiellini fuori dalla partita, facendogli perdere la concentrazione. E infatti poco dopo fu lui a perdersi Godin sul corner con il quale passammo in vantaggio e ci qualificammo".

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Suarez fu messo alla gogna dopo il morso a Chiellini…
"Si scatenò una tempesta mediatica su di lui. Oltre ai brasiliani, che non avevano voglia di incontrarci più avanti nella competizione perché ricordano sempre coi brividi il Maracanazo (vittoria dell'Uruguay sul Brasile nella finale mondiale del 1950 ndr), anche gli inglesi si scatenarono su Suarez, che aveva fatto una doppietta contro la loro nazionale. Fu una campagna mediatica scandalosa, ci privarono del nostro miglior giocatore, lo squalificarono per quattro mesi e gli impedirono di giocare in nazionale per due anni. Per giunta, la polizia brasiliana lo espulse dal paese come se fosse stato un delinquente. E tutto questo per una protesta da spione".

Anche lei, però, era rognoso e arcigno come lui quando giocava.
"Io sono convinto che nel calcio tutto vale, che giochiamo per vincere, e quindi dobbiamo giocare sul filo del rasoio. Sono nato e cresciuto in Uruguay, un paese dove il calcio è vita ed è una possibilità di avere rivincita sociale sui paesi più importanti. In Uruguay il calcio si vive come in nessun altro luogo".

Poco più di tre milioni di abitanti e un palmarés migliore di quello dell'Argentina…
"Siamo la storia del calcio. La Celeste è per gli uruguaiani molti di più di quanto lo sia l'Albiceleste per gli argentini, la Verdeamarela per i brasiliani e l'Azzurra per l'Italia. La Celeste è un marchio di paese, qualcosa che va oltre i titoli ed è impregnata nella nostra cultura. Una cultura dello sforzo, dell'andare contro le avversità".

Da capitano lei ha vinto una storica Coppa America nel 2011 in Argentina.
"La mia più grande gioia da calciatore. La nostra era una generazione di grandi campioni (Forlán, Suarez, Cavani ndr) che aveva bisogno della consacrazione con un titolo. E in quell'occasione abbiamo fatto nuovamente la storia. L'Uruguay è una nazionale vincente e ha vinto la Coppa America in Argentina e in Brasile, dove ha vinto anche un mondiale, mentre né l'Argentina né il Brasile sono mai riuscite a vincere in Uruguay. Ma quella vittoria fu unica perché trionfammo in Argentina contro la squadra di Messi e contro il sistema di Grondona (Julio Humberto, potentissimo ex presidente della federazione argentina ndr)!".

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Cosa ricorda in special modo di quella vittoria?
"Dopo aver eliminato l'Argentina ai quarti a Santa Fe mi aspettavo molta ostilità da parte dei tifosi locali. E invece sia per andare dallo stadio all'hotel, sia dall'hotel all'aeroporto, e stesso a Buenos Aires siamo stati accompagnati dagli applausi della gente locale. Ancora oggi quando ne parlo mi viene la pelle d'oca, fu qualcosa di incredibile. E fu la dimostrazione che ci eravamo guadagnati la cosa più difficile, ossia il rispetto della gente, il rispetto di tifosi delusi dall'eliminazione. Fu una gran conquista".

A livello di club, invece, la sua più grande vittoria fu la FIFA World Cup del 2005?
"Assolutamente! Era il San Paolo contro il Liverpool, loro erano favoriti. La nostra fu una partita praticamente perfetta, anche perché non avevamo alternative visto il divario tecnico, qualcosa che oggi si fa sempre più grande tra squadre sudamericane ed europee".

In quell'occasione lei tornò a farne una delle sue con un'entrata dura e senza complimenti su Steven Gerrard…
"Un fenomeno, un giocatore a tutto campo. Gerrard era ammirevole ma quel giorno era il mio nemico, e io sapevo che per vincere il titolo mondiale lo avrei anche spazzato via dal campo se necessario".

Lei ha potuto giocare sia un derby di San Paolo sia uno di Istanbul, durante la sua permanenza al Fenerbahçe. Quale dei due è più intenso?
"Non c'è partita. Il derby di Istanbul va oltre ogni immaginazione. Nonostante sia meno mediatico a livello mondiale, lo scontro tra Galatasaray e Fenerbahçe ha implicazioni sociali, politiche e in parte anche religiose. Era poi una sfida caldissima a livello emotivo, che esaltava le mie caratteristiche".

Caratteristiche da attaccabrighe…
"Guarda, nel mio storico dei derby turchi ho segnato tre gol e sono stato espulso tre volte. Una volta, all'Ali Sam Yen,  diedi vita a un'autentica battaglia campale tra le due squadre alla fine della quale fummo espulsi in quattro. Ma non è tutto, perché poco dopo anche i tifosi sugli spalti iniziarono a dare di matto, bruciando sediolini e creando uno scenario infernale. Il giorno dopo mi arrivò una carta intestata dal presidente Erdogan in persona, nella quale mi diceva che ero un pessimo esempio…".

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Parliamo di calcio attuale. Stasera il Paris Saint Germain, sua ex squadra, affronta il Barcellona al Camp Nou senza Neymar. Al suo posto da mezzapunta giocherà Marco Verratti, che lei ha conosciuto bene.
"Ricordo quando arrivò a Parigi nell'estate del 2012. Casualmente c'ero io all'entrata del centro sportivo, e andai a salutarlo. Quando lo vidi da vicino, alto un metro e mezzo e con quella faccia da bambino gli dissi ‘Aspetta qui e vieni a cambiarti in spogliatoio quando sarai diventato uomo', ridendo. Dopo un attimo arrivò Zlatan Ibrahimovic e mi disse ‘Non hai idea di come gioca questo ragazzino'. Io dubitavo molto del suo fisico, ma al primo allenamento ne notai subito le enormi capacità tecniche palla al piede, un'abilità naturale. Marco è inoltre un ragazzo simpatico, dalla personalità molto latina, ed è fortissimo. A Parigi avevo un ottimo rapporto con lui e Salvatore Sirigu".

Potrà rendere bene anche stasera al Camp Nou nel ruolo di trequartista centrale, quello del grande assente Neymar?
"Marco è un giocatore moderno. E in quanto tale, viste le sue condizioni tecniche credo che possa perfettamente occupare questo ruolo. Poi è chiaro che l'assenza di Neymar è determinante, ma il Barça di oggi non è una squadra solida. E credo che mai come stavolta il PSG possa eliminarlo".

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