Cristian Brocchi si sfoga: “Dicevano fossi il cocchino di Berlusconi, questa bugia mi segue ancora”

Cristian Brocchi si è raccontato ai microfoni di Fanpage.it: gli inizi con Galliani e Berlusconi, l’esperienza al Milan e gli incontri con i personaggi più importanti della sua carriera.
A cura di Ada Cotugno
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Dalla sua Milano ha raggiunto il tetto d'Europa, vincendo tutto con la maglia del Milan e lasciando il segno anche su Fiorentina e Lazio prima di costruire la carriera da allenatore. La vita di Cristian Brocchi è legata a doppio filo ai colori rossoneri che ha indossato per la prima volta quando era solo un ragazzino. "Il presidente Berlusconi e il dottor Galliani sono state due persone fondamentali nella mia vita" ricorda con affetto ripensando a due figure che lo hanno accompagnato nell'esperienza al Milan – prima come giocatore e poi come allenatore – e anche sulla panchina del Monza dove ha gettato le basi per costruire la squadra che sarebbe poi arrivata in Serie A.

A Fanpage.it Brocchi ha raccontato della sua nuova vita da allenatore, delle tappe più importanti della sua carriera da giocatore e del rapporto speciale con le persone che più hanno segnato il suo cammino nel mondo del calcio.

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Cosa fa oggi Brocchi a 6 mesi dall’esonero al Vicenza?
"Sto con i miei figli dopo quest’esperienza molto bella, molto coinvolgente che si è chiusa non tanto per demeriti sportivi ma per altro. Sono cose che nel calcio purtroppo succedono"

Saresti anche pronto a intraprendere il percorso di Inzaghi che dalla Serie A col Milan è ripartito dal Venezia in C per costruire la sua carriera da allenatore?
"L’ho fatto anche io, la nostra carriera è simile con la differenza che lui ha avuto la possibilità di partire dalla Serie A facendo una stagione intera. Io sono partito dal Milan dopo il settore giovanile, poi sono andato in prima squadra solo per due mesi e mezzo. Per me non è un problema, è stato un discoro di motivazioni, di progetti e trovare le persone giusta che possano darti la possibilità di lavorare bene".

Cosa ricordi dell’incarico da allenatore del Milan ad interim? È vero che era considerato il “cocchino” di Berlusconi?
"Purtroppo sì, ma è una delle più grandi bugie in assoluto. In quei due mesi e mezzo al Milan da tifoso milanista fui chiamato per allenare in prima squadra e sembrava che avessi fatto il lavaggio del cervello al presidente, che ero il cocchino. Purtroppo questa cosa me la porterò sempre dietro ed è anche una cosa che in questo momento della mia vita condiziona anche il pensiero di molti dirigenti, presidenti o anche di qualche tifoso. Invece Berlusconi mi aveva scelto perché aveva visto le mie partite al Milan giovanile, aveva visto come allenavo".

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La chiamata del Monza per proporti il ruolo di allenatore. Cosa ricordi di quella telefonata di Galliani?
"Il Monza non era ancora il Monza di Berlusconi e Galliani, mancavano tantissime cose, le strutture, i giocatori per poter vincere subito. L’anno dopo grazie a quel lavoro dove abbiamo messo le basi abbiamo stravinto un campionato e quindi i meriti non erano più del Brocchi allenatore ma di tutto ciò che girava intorno".

Fu una sorpresa venire chiamato da Berlusconi e Galliani per vivere questa esperienza da allenatore?
"Non fu una sorpresa ma non me lo aspettavo. Sono stato contento di ricevere la telefonata, ma è stata la prima volta dove ho sentito una grandissima responsabilità alle spalle, forse ancora di più di quando sono stato chiamato per allenare la prima squadra del Milan. In quei due anni e mezzo mi sono legato tantissimo a Monza, ancora oggi quando vedo il Monza vedo qualcosa di mio dentro. Quello che ha il Monza oggi c’è qualcosa che ho creato io all’inizio, le basi sono state messe. Magari io in quei due anni e mezzo non sono stato amato sempre da tutti, è l’unica cosa che mi a lasciato un po’ perplesso".

Cosa ti disse Berlusconi e qual è il più grande ricordo che ti lega all’ex presidente di Milan e Monza?
"Il primo incontro quando sono andato a Monza è stato semplice, ci conoscevamo già. Mi ha detto ‘Sapevi già della stima che ho in te come allenatore, ti metto nelle mani un progetto. Se ho chiamato te è perché ti stimo e sono sicuro che ci possa portare quanto prima in Serie B. Il mio obiettivo è portare il Monza in A nel giro di tre anni’. Non avrei potuto dire di no. I ricordi migliori li ho quando andavo a cena a casa sua. Lui ti parlava di tante cose ma la sensazione più bella era quando uscivi. Uscivi da casa sua e potevi mangiarti il mondo, sentivi una carica dentro, una forza, mi dicevo ‘cos’è che ha toccato dentro di me?’".

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Cosa è andato storto al Monza e perché hai dichiarato di esserti sbagliato a fidarti di una determinata persona? Era un elemento della società?
"Oggi ti dico che ho sbagliato a dire quella frase, nella vita si sbaglia. Se l’ho detta è perché ero in un momento di grande delusione, l’ho detta ma dovevo evitare perché i panni sporchi si lavano in famiglia".

Hai giocato nel Milan di Pirlo, Kaka, Inzaghi, Seedorf, Nesta. Qual è l’aneddoto che più ricordi emerso da quello spogliatoio?
"Eravamo talmente un gruppo di amici, bello, sano, pieno di valori che di aneddoti ce ne sarebbero tanti. Mi ricordo che anche in altre squadre la sera prima della partita l’allenatore guardava chi era concentrato, per noi invece sembrava una festa. È il segreto che avevamo in quegli anni lì per vincere anche le partite difficili".

Al Milan hai avuto anche la possibilità di lavorare sotto la guida di Ancelotti. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
"Ancelotti per me è prima una grandissima persona che un grandissimo allenatore. Gli allenatori che io ho amato di più mi hanno conquistato prima dal punto di vista umano. Lui aveva delle grandissime qualità, riusciva a gestir le problematiche a modo suo, i malesseri, la società".

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Prandelli è stato uno dei tuoi mentori, prima al Verona e poi alla Fiorentina dove hai giocato una delle migliori stagioni in carriera…
"Prandelli è il più influente in assoluto nella mia carriera. Sono arrivato a Verona a giocare come il ragazzino che si impegnava tantissimo a ogni allenamento, lavoravo sempre di più. Prandelli mi ha dato qualcosa in più dal punto di vista tattico, della preparazione alla gara. Prandelli mi ha aiutato a trovare la consapevolezza della ricerca di una tattica in squadra, mi ha dato tantissimo, forse è stato quello che più ha influito più di tutti nella mia voglia di fare l’allenatore".

Perché poi hai scelto di tornare al Milan?
"Non ho scelto di tornare al Milan, devo essere sincero. Il Milan per me è tutto, ma a Firenze ho fatto uno dei tre migliori anni della mia carriera. L’applauso a 7-8 minuti dalla fine della prima partita Fiorentina-Sampdoria al Franchi, quando sono uscito, l’ho ancora impresso perché quell’applauso veniva da due mesi di sofferenza. A fine stagione ero contento, vado dal direttore Corvino, avevo trent’anni. Ho detto ‘A Firenze ho due anni di contratto, al Milan me ne offrono tre al doppio dello stipendio. Io non sto chiedendo soldi, va bene guadagnare la metà, mi faccia solo un anno in più di contratto’. Adoro Pantaleo, non è una critica, ma lui mi ha dato una risposta che mi ha dato fastidio. ‘Non ti faccio fare la pensione qui a Firenze'. Mi sono sentito ferito nell’orgoglio perché pensavo di aver dato tutto per la Fiorentina e così ho deciso di tornare a casa mia, al Milan".

Hai vissuto tanti anni di Lazio con Lotito: un ricordo che ti ha lasciato?
"Io sono stato il primo acquisto di Igli Tare, Mi metto d’accordo con il presidente Lotito per il contratto, saluto tutti a Milanello, piango, saluto i miei amici e casa mia perché sono nato e cresciuto Milano e dovevo andare via a 32 anni. Arrivo a Roma per firmare il contratto e nei tre anni di contratto c’era un 10% in meno rispetto a quanto pattuito. Il presidente Lotito mi fa ridere perché mi guarda e mi fa ‘A Brocchi ma che te frega, con tutto quello che hai vinto al Milan’. Non ne ho mai fatto una questione economica nella mia vita. Ho detto al presidente che non mi sembrava giusto ma ormai avevo fatto la scelta di andare alla Lazio. E lui ‘Fai bene quest’anno, l’anno prossimo ti rinnovo e ti metto il 10% in più in tutti gli anni.’. L’anno fu importante, abbiamo vinto la Coppa Italia, mi tolgo la soddisfazione di vincere con una maglia diversa, una gratificazione immensa. A fine anno mi chiama Lotito, mi allunga il contratto di un anno e mi ridà i soldi che mi aveva tolto prima".

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Conservi ancora la maglietta "Brocchi si nasce, campioni si diventa”?
"La prima che ho usato sì, è la stessa che ho messo durante la finale di Champions League. È a casa ben custodita, per me quella maglia è un qualcosa di bello. È nata dall’idea di un ragazzo di Verona che nell’anno della mia esplosione in Serie B si presenta e mi dice ‘ti ho fatto questa maglia’. Io impazzisco perché non ci avevo mai pensato io, che erano anni che mi rompevano le scatole con questo cognome. Al Milan nel settore giovanile c’era qualche dirigente che diceva ‘Come facciamo a portare a San Siro uno che si chiama Brocchi?' Ti immagini, dicono la formazione numero 11 Brocchi’. Non era una battuta. Questa maglia è stata un po’ lo slogan della mia vita e della mia carriera".

Come si è conclusa l'avventura all'Inter dopo appena un anno?
"È stata una stagione difficile per tutti. Per me perché inizio il ritiro e dopo un mese mi succede un infortunio grave alla schiena che mi costringe a fermarmi per cinque mesi, entro prima delle vacanze di Natale. È stata per me la prima stagione in una squadra grossa, in una società che aveva fatto la squadra per vincere il campionato ma era in difficoltà. A un certo punto mi dicono che c’era la possibilità di uno scambio con il Milan, io però volevo restare per giocarmi le mie carte. Una mattina arrivo a Interello e trovo sul mio armadietto il nome di un altro giocatore. Mi hanno detto che avevano fatto lo scambio".

Negli anni hai coltivato un bel rapporto con Bobo Vieri, ma com'è andato il vostro primo incontro?
"Il primo incontro è stato un po’ difficile, quando ero al Verona: giochiamo la prima partita Inter-Verona a San Siro, la prima di Bobo con l’Inter, mister 90 miliardi, pubblicità da divo di Hollywood. Se ti avvicinavi per salutarlo ti guardava, adesso è completamente diverso, ma all’epoca neanche ti rispondeva. Mancano cinque minuti alla fine, abbiamo perso 3-0 con la sua tripletta, vado a prendere la mia maglia negli spogliatoi, fuori dal tunnel arriva Bobo e gli dico di scambiare la maglia, lui mi guarda e va via. Resto lì come un cretino con la mia maglia in mano. L’anno dopo mi prende l’Inter, Il direttore della Pinetina mi manda da Vieri perché non voleva andare lui. Mi sono detto che non dovevo aver paura del mio compagno di squadra. Lui stava giocando a biliardo con Ronaldo. Lo guardo e gli chiedo se posso dormire nella sua stanza. In quel momento è rimasto stupito perché ero andato io a chiederglielo, avevo avuto la personalità di andare lì. Mi fa ‘Ok, ma stasera mi porti la camomilla però’. Gli dico che non c’era problema perché la bevo anche io tutte le sere. Da lì è nata la nostra amicizia".

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Hai ricevuto qualche chiamata per allenare in questo periodo?
"Ho ricevuto chiamate l’anno scorso e quest’anno, ma l’ultima mia situazione mi ha lasciato un po’ di strascichi. Prima di ricominciare vorrei avere la certezza di avere a che fare con delle persone che hanno voglia di avere una persona perbene".

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