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Così la Francia ha fermato il calcio: “I giocatori avevano paura, rischio infortuni moltiplicato per sei”

Dopo Belgio e l’Olanda, la Francia è stata la terza nazione a chiudere in anticipo la stagione calcistica. Una scelta partita dal cuore del movimento stesso: dai giocatori, spaventati dal virus e dalle possibili conseguenze di un ritorno affrettato in campo. Il racconto esclusivo di Sylvain Kastendeuch, co-presidente dell’associazione calciatori francese.
A cura di Sergio Chesi
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Gli ultimi tentativi di salvare la stagione calcistica in Francia si sono esauriti nel tardo pomeriggio dello scorso lunedì. Poche ore prima dell’annuncio del governo alla nazione: “Niente sport fino a settembre, il campionato è finito”. Gli sforzi, da giorni, erano concentrati su quello che si è rivelato essere un rompicapo irrisolvibile anche per medici specializzati e professionisti del settore: il protocollo sanitario per la ripresa delle attività. Il medesimo snodo intorno al quale si deciderà il futuro della Serie A e del calcio italiano. Con una differenza sostanziale, rispetto alle faccende di casa nostra. Il fronte d’opposizione contrario al ritorno in campo è emerso dall’interno stesso del sistema calcistico francese. Dalla sua componente più importante: i calciatori.

La decisione del governo rappresenta un atto responsabile”. Sylvain Kastendeuch è stato un elegante difensore ad ottimi livelli. Frequentemente ruvido, visto il ruolo, ma mai oltre i limiti. Nelle oltre 600 partite da calciatore professionista – buona parte con la maglia del Metz – non è mai stato espulso. La vocazione alla difesa e l’evidente abilità diplomatica lo accompagnano da 14 anni nella co-presidenza della UNFP, l’associazione calciatori francese, insieme a Philippe Piat. Nelle ultime settimane ha avuto un ruolo di raccordo cruciale nel confronto tra governo e istituzioni calcistiche nella ricerca di un nuovo punto di partenza post-pandemia. “La Francia ha capito che l'emergenza economica non deve avere la precedenza sulla salute pubblica – ha raccontato in esclusiva a Fanpage.it –. È ciò che chiediamo dall'inizio della crisi. Preservare la salute dei calciatori è sempre stato al centro delle nostre preoccupazioni”.

Sylvain Kastendeuch, co-presidente dell'UNFP
Sylvain Kastendeuch, co-presidente dell'UNFP

Quei calciatori che nel dibattito generale – in Italia come all'estero – non godono di grande considerazione, schiacciati tra ipotesi di tour de force in piena estate e protocolli medici studiati per terre ancora inesplorate. Eppure il virus non li ha lasciati insensibili. In Francia qualcosa ha smosso le coscienze sin dalle prime fasi dell'emergenza. Un sussurro, poi una voce, fino a diventare un coro. "Ci siamo accorti subito che tra i calciatori si respirava una certa ansia e che questo sentimento stava diventando sempre più diffuso – ha spiegato Kastendeuch –. Abbiamo sentito il bisogno di interrogarli in gran numero attraverso un questionario. I risultati hanno confermato le nostre impressioni: i calciatori non erano disposti a saltare nell'ignoto, avevano paura di contagiare le loro famiglie, i loro bambini".

L'ignoto, come lo ha definito Kastendeuch, presenta tante sfaccettature. Tra queste anche una domanda che in tanti si pongono, dai calciatori ai medici responsabili delle singole squadre: cosa succederà, dopo uno stop così lungo, quando si tornerà all'attività serrata tra allenamenti e partite? Al di là delle possibilità di contagio, in questa situazione assolutamente inedita anche la risposta del fisico degli atleti rappresenta un'incognita: "Tanti avevano paura di infortunarsi dopo un prolungato periodo di inattività e una fase di riatletizzazione molto breve, in tutti i vari scenari proposti. Uno studio scientifico ha dimostrato che dopo un lungo periodo di inattività e un recupero troppo rapido, il rischio di infortunio dopo la seconda gara competitiva va moltiplicato per sei".

Junior Sambia, difensore del Montpellier colpito dal Covid-19
Junior Sambia, difensore del Montpellier colpito dal Covid-19

In un clima di profonda riflessione, la storia di Junior Sambia è stata la miccia che ha innescato definitivamente l'allarme tra i calciatori francesi. Ricoverato per problemi intestinali, in ospedale è stato interessato da un peggioramento delle condizioni a livello polmonare. È passato in terapia intensiva, gli è stato indotto il coma farmacologico, ha lottato per diversi giorni su un campo da gioco diverso rispetto a quelli a cui è abituato. Oggi sta decisamente meglio, ma il suo caso – la prima positività in Ligue 1 – è servito per alzare ulteriormente la soglia dell'attenzione.

"È emblematico di questa crisi – osserva Kastendeuch –. Informazioni che cambiano, dichiarazioni contraddittorie, andiamo avanti senza la minima certezza. Prima che Sambia fosse così gravemente colpito dalla malattia ci veniva detto che i calciatori, in quanto atleti, sarebbero stati colpiti solo leggermente, che non rischiavano molto. La sua storia dimostra che nessuno è immune, atleti o no".

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Ricominciare a giocare vuol dire prepararsi a convivere con il virus. In questa fase, quasi a sfidarlo. Il calcio, sport di contatto, cerca ancora una soluzione all'enigma che tiene in standby campionati e coppe praticamente ovunque: cosa fare al cospetto di un nuovo caso positivo? Soluzioni ne sono state avanzate. Quella proposta dalla Figc in Italia non convince, altrove – come in Germania – stanno provando a testarla sul piano pratico, alle prese con le prime positività dopo la ripresa degli allenamenti.

In Francia si sono arresi: non hanno trovato una risposta che fosse ritenuta valida. "Abbiamo immaginato di riprendere il campionato. Dopo una o due partite un giocatore di una squadra contrae il virus. Quindi tutta la squadra, compreso il personale extra-campo, viene messo in quarantena. Forse anche la squadra avversaria appena incontrata. Per queste due squadre diventa impossibile continuare il campionato. E si torna al punto di partenza".

La sospensione definitiva ha inevitabilmente aperto una voragine economica nel sistema calcio in Francia. Kastendeuch, come tutte le componenti del settore calcistico, si rende conto dei danni a cui servirà porre rimedio. Ma, nascosta tra le macerie, si cela una grande possibilità: voltare pagina e cominciare a scrivere un futuro diverso per il calcio. "Questa crisi deve aprire le porte ad una nuova concezione del calcio che tanto amiamo. È giunto il momento: mettiamo insieme le condizioni per una ripresa esemplare. Accettiamo l'idea di una forma di distruzione creativa generata da questa pandemia. Facciamo oggi la scelta della ragione affinché un domani si possa fare di nuovo quella del cuore".

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