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Calhanoglu distrugge Lautaro Martinez: “Il vero leader non cerca un colpevole quando è facile”

In un lungo messaggio condiviso su Instagram il centrocampista turco smentisce la ricostruzione fatta su di lui e replica agli attacchi di Lautaro e Marotta dopo l’eliminazione dal Mondiale per Club.
A cura di Maurizio De Santis
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Hakan Calhanoglu ha letto e ascoltato tutto poi ha risposto con altrettanta durezza su Instagram a chi lo ha messo sul banco degli imputati. La sintesi della sua replica è che "un vero leader non cerca un colpevole quando è facile" per scaricargli addosso tutte le colpe. Ha risposto così dopo aver incassato lo sfogo di Lautaro Martinez, che non ha fatto nomi ma con quel "chi non vuole restare, se ne vada" ha aperto un fronte polemico nell'Inter. Ha rispedito al mittente l'attacco frontale del presidente, Giuseppe Marotta, che ha tirato in ballo proprio il centrocampista turco dando un volto alle allusioni fatte dall'attaccante dopo la sconfitta al Mondiale per Club contro il Fluminense.

Un post sui social della moglie ("persone che non sono leali") ha fatto da apripista poi è intervenuto direttamente il calciatore a censurare alcune sortite, smentendo e accusando a sua volta. L'incipit del messaggio è un chiarimento che Calhanoglu piazza là, in cima così da sgombrare il campo da qualsiasi ricostruzione fantasiosa sulla mancata partecipazione al torneo negli Stati Uniti.

Dopo l'infortunio nella finale di Champions League, abbiamo comunque deciso che partissi con la squadra per gli Stati Uniti. Essere lì, anche senza poter scendere in campo, è stato importante per me. Volevo stare vicino al gruppo, dare il mio supporto. Purtroppo, durante un allenamento negli USA, ho riportato un altro infortunio – in una zona diversa. La diagnosi è stata chiara: uno strappo muscolare. Per questo non ho potuto giocare in questa competizione. Non c'è altro. Nessun retroscena.

Fissato il primo punto, Calhanoglu va al nocciolo della questione e dice apertamente di aver preso male alcune considerazioni sulla sua persona. Non gli sono piaciute le ritiene offensive sia come uomo sia come sportivo. E lo sottolinea nelle frasi successive con il cenno alle "parole che dividono".

Ieri abbiamo perso. E fa male. L'ho vissuta con tristezza, non solo da calciatore, ma da persona che tiene davvero a questa squadra. Nonostante l'infortunio, subito dopo il fischio finale ho chiamato alcuni compagni per far sentire il mio sostegno. Perché quando ci tieni, è quello che fai. Quello che mi ha colpito di più, però, sono state le parole arrivate dopo. Parole dure. Parole che dividono, non uniscono. In tutta la mia carriera non ho mai cercato scuse. Mi sono sempre preso le mie responsabilità. Ho giocato anche con il dolore. E nei momenti difficili, ho sempre cercato di essere un punto di riferimento. Non a parole, ma con i fatti.

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Rispetto. È la parola che Calhanoglu cita come esempio ma a detrimento delle espressioni usate da Lautaro e dal massimo dirigente. E qui distrugge l'uno e l'altro.

Rispetto ogni opinioneanche quella di un compagno, anche quella del presidente. Ma il rispetto non può essere a senso unico. L'ho sempre dimostrato, dentro e fuori dal campo. E credo che nel calcio, come nella vita, la vera forza stia proprio nel sapersi rispettare, soprattutto nei momenti più delicati. Non ho mai tradito questa maglia. Non ho mai detto di non essere felice all'Inter. In passato ho ricevuto offerte – anche molto importanti -. Ma ho scelto di restare. Perché so cosa rappresenta per me questa maglia. E pensavo che le mie scelte parlassero da sole.

Infine, la stoccata diretta al bomber argentino da cui è rimasto profondamente deluso. Il turco gli comunica biasimo con una riflessione che fa molto rumore.

Ho avuto l'onore di essere il capitano della mia nazionale. E lì ho imparato che il vero leader è quello che resta accanto ai suoi compagni, non quello che cerca un colpevole quando è più facile farlo. Amo questo sport. Amo questo club. E amo questi colori, per cui ogni giorno ho dato tutto. Il futuro? Lo vedremo. Ma la storia ricorderà sempre chi è rimasto in piedi. Non chi ha alzato di più la voce.

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