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Le 5 squadre più deludenti di inizio stagione in NBA

5 squadre, motivi diversi, stesso epilogo: dopo 20 partite si può già parlare di delusione, con le dovute precauzioni. Tra chi paga la fatica, chi naviga a vista senza obiettivi e chi era partito con enormi aspettative salvo scontrarsi con una realtà di estrema mediocrità, eccovi le 5 squadre più deludenti di inizio anno.
A cura di Luca Mazzella
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Piccola premessa da fare: dopo 20 partite e poco più di un quarto di stagione NBA giocata è prematuro fare classifiche del genere. Lo è a maggior ragione considerando le fatiche a cui tante squadre sono state chiamate fino a ottobre, riducendo al minimo la finestra per ricaricare le pile in vista dell'NBA 2020/21. Ciò nonostante, con le dovute precisazioni, una mini graduatoria di quelli che ad oggi sono i gruppi partiti con maggiori aspettative e finora nei bassifondi della classifica nelle rispettive Conference, si può fare. E allora ecco le 5 squadre più deludenti di inizio anno:

Dallas Mavericks (record 8-13)

Prima precisazione: i Mavs hanno giocato nella bolla fino al primo turno di Playoffs, quando sono stati eliminati dopo 7 combattutissime partite contro i Los Angeles Clippers. Una serie che non aveva ragione di esistere, ma che il fenomeno sloveno Luka Doncic ha reso equilibrata a suon di prodezze. Seconda precisazione: proprio aver visto Dallas così competitiva contro una delle più accreditate squadre a vincere l'anello lo scorso anno deve aver leggermente fatto sopravvalutare la qualità del roster a disposizione di coach Carlisle. Infine, il mercato. Davanti a due impellenti necessità, quella di affiancare una valida spalla offensiva alla loro star e quella di aggiungere un difensore perimetrale per coprire le spalle sempre allo sloveno, le valutazioni della dirigenza hanno evidentemente ripiegato sulla seconda opzione, e allora ecco dentro Josh Richardson dai Philadelphia 76ers e fuori Seth Curry, clamoroso tiratore reduce dai migliori numeri in carriera che oggi, nella Phila del nuovo corso targato Rivers, si sta imponendo come uno dei primissimi NBA. In più, Dallas ha puntato, e molto, sul completo recupero fisico di Kristaps Porzingis che per ora è parente lontano del giocatore visto ai Knicks. Come ultimo elemento: il deus ex-machina dell'attacco della squadra, Stephen Silas, è partito in direzione Houston dopo aver reso l'attacco della squadra il migliore, numeri alla mano, della storia NBA.

La somma di questi fattori ha portato sinora a un disastroso record di 8-13, terzultimo ad Ovest, più tanti episodi di nervosismo tra l'allenatore Rick Carlisle e alcuni giocatori del roster, su tutti proprio uno spazientito Doncic. L'impressione è che la squadra si risolleverà, ma chi prevedeva una qualificazione ai Playoffs senza patemi resterà deluso.

New Orleans Pelicans (7-12)

I Pelicans vengono si dalla bolla, come una delle squadre sulla cui qualificazione l'NBA puntava al massimo, desiderosa di un primo turno tra la stellina Zion Williamson e il Re di Los Angeles, LeBron James, ma l'eliminazione è arrivata già nell'appendice di stagione regolare, senza nemmeno qualificarsi alla post-season. L'attenuante della stanchezza tiene poco, mentre a incidere e parecchio sul rendimento pessimo avuto finora (7-12, penultimi ad Ovest) è un roster mal assortito e con enormi incongruenze e contraddittorietà. Come può imporsi, nell'NBA dei giorni nostri votata al tiro da 3, una squadra senza gioco perimetrale e con una serie di giocatori che definire anacronistici è un eufemismo? Bledose-Ball-Ingram-Zion-Adams è un quintetto che fa rabbrividire non tanto nei nomi dei singoli, ma nelle spaziature offerte in campo. Il nuovo coach, il redivivo Stan Van Gundy lontano da una panchina NBA da anni, è rimasto forse intrappolato in un basket che non c'è più e ne stanno pagando tutti le conseguenze, compreso il nostro Nicolò Melli utilizzato col contagocce. In ogni caso, per chi dispone di due future superstar come Zion Williamson e Brandon Ingram, i risultati visti finora sono davvero sotto le aspettative. È molto probabile che dal mercato arrivi una spinta per cambiare il trend.

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Washington Wizards (4-13)

A Washington siamo vicini al punto di non ritorno. Il motivo è molto semplice: la squadra è partita con ambizioni di un certo tipo, puntando sulla voglia di rivalsa di quel Russell Westbrook scambiato con il lungodegente John Wall, e sull'accoppiata tra lui e la bandiera Bradley Beal. In più la scelta numero 9 al draft, Deni Avdija, unita a un lungo in forte ascesa come Thomas Bryant, allo specialista dal perimetro Davis Bertans (fresco di rinnovo) e al sophomore Rui Hachimura, facevano davvero indicare da più addetti ai lavori i Wizards come una delle possibili rivelazioni. Quello che però doveva essere l'anno della rinascita sta diventando un incubo. Westbrook, per ora, ha lottato a lungo con una serie di problemi fisici che sembra lentamente superare (i 41 contro i Nets ci dicono tanto in questo senso); Thomas Bryant ha subito un season-ending injury e le voci sul malcontento di Bradley Beal rendono ormai ogni partita l'ennesimo pretesto per invocare a gran voce la cessione della guardia più desiderata sul mercato, che continua però a giurare fedeltà alla franchigia. Ed è cosi che i Wizards si ritrovano nei bassifondi della Eastern Conference, con zero margini di manovra sul mercato e uno spogliatoio pronto ad esplodere. L'unica speranza, per quanto assurdo possa sembrare, è ripartire da capo cercando acquirenti proprio per Beal. Perché che qualcuno avanzi richieste per Westbrook e per i suo 132 milioni da qui a fine 2023, è davvero dura. A meno che la prestazione offerta contro Brooklyn non segni l'inizio della sua rinascita.

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Miami Heat (7-13)

Anche qui è necessaria una precisazione: la franchigia della Florida ha giocato le Finals NBA, quindi di fatto è stata l'ultima squadra a staccare dalla vecchia stagione assieme ai Lakers. In più, il covid-19 ha tenuto il leader della squadra Jimmy Butler fuori per gran parte delle partite da inizio anno, mentre a turno hanno saltato diverse gare anche Tyler Herro, Avery Bradley, Goran Dragic e, notizia dell'ultima ora, il lungo Meyers Leonard resterà fuori tutta la stagione per problemi fisici. Insomma, Miami è stanca e decimata e la risalita, molto probabilmente, inizierà solo nelle prossime partite visto il rientro del loro leader. Inserirli nelle delusioni non è figlio della pessima classifica (7-13, terzultimi a Est), ma dell'atteggiamento spesso arrendevole mostrato nelle tante sconfitte. Un modo di capitolare decisamente fuori dalle corde per una squadra che proprio nella culture si è dimostrata la più motivata di tutte a lavorare oltre i propri limiti. Sono concessi i tanti esperimenti fatti finora per colmare le defezioni, ma nelle prossime sfide gli Heat avranno tante gare abbordabili e la possibilità di risalire la china. Per tornare una delle mine vaganti più temute dell'NBA.

Minnesota Timberwolves (5-15)

Prima scusante: il miglior giocatore della squadra ha giocato 4 partite su 20 disponibili. Stop, sono finite le giustificazioni. Una squadra con la prima scelta assoluta, Anthony Edwards, un assoluto talento come l'ex Lakers, Nets e Warriors D'Angelo Russell e una serie di giovani figli degli ultimi draft non può avere così poca voglia di emergere e lasciarsi praticamente scorrere davanti ogni partita senza un sussulto. Le sconfitte in serie, in un quadro più ampio di annate su annate deludenti, rischia di provocare un corto circuito totale dal quale non sarà possibile riprendersi facilmente. Demoralizzati e demoralizzanti: ultimi per offensive rating, 27esimi per defensive rating, 30esimi per net rating, ultimi per punti concessi agli avversati, 27esimi per punti fatti. Un quadro totalmente desolante che, questo si può dire già dopo solo 1/3 di stagione, suggerisce di guardare direttamente al prossimo anno cercando semplicemente di chiudere questo con dignità. La strada da fare per Minnesota è davvero lunga.

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