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La prepotente ascesa di Christian Wood, dall’incubo al messaggio inaspettato

Mai scelto, finito ai margini delle squadre NBA e pronto a sbarcare in Europa, per Christian Wood era solo questione di tempo prima di salutare definitivamente il suo sogno di diventare un “pro”. Ma proprio quando stava per perdere definitivamente le speranze, ecco il destino che gli sorride. Oggi Christian si sta consacrando star in quel di Houston.
A cura di Luca Mazzella
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Prima della stagione 2019-2020, Christian Wood aveva collezionato la miseria di 72 partite in 3 stagioni, di cui solo 4 da titolare. Finito nel dimenticatoio dell’NBA, il passo successivo probabilmente sarebbe stato quello di sondare il mercato europeo o le leghe minori americane. Oggi, Christian (in attesa del totale recupero di John Wall che procede a passi da gigante) è il miglior giocatore di una franchigia NBA, gli Houston Rockets che guardano al futuro e a un nuovo progetto tecnico senza l’ormai ex James Harden, che in Texas ha segnato un’epoca.

La squadra durante la scorsa settimana si è tolta la soddisfazione di battere anche i più quotati Portland Trail Blazers, bissando poi 48 ore dopo la W, questa volta contro i Pelicans, e proseguendo nel momento positivo stanotte, con il 136-106 sugli Oklahoma City Thunder. In totale, fanno 6 vittorie di fila dopo la cessione del "Barba", che hanno spinto Houston in quel gruppetto di squadre che sperano di conquistare i Playoffs, ad appena mezza partita di distanza dal settimo posto dei Golden State Warriors. Christian, come sta accadendo spesso in questa stagione, ha giocato una partita straordinaria con Portland, chiusa con 22 punti, 12 rimbalzi e pochissimi errori dal campo, con tanto di "Sento di meritare l'All-Star Game, sono uno dei migliori lunghi della Western Conference", ha ribadito il concetto contro New Orleans, con 27 punti e 9 rimbalzi, e stanotte ha chiuso in doppia-doppia da 18 punti e 11 rimbalzi in appena 26 minuti. Da inizio anno non è mai sceso sotto i 18 punti, inanellando 15 partite di fila in doppia cifra. Una consapevolezza nei propri mezzi acquisita dopo una lunga rincorsa.

L'incubo

Portiamo indietro le lancette. Siamo al draft 2015. Il Commissioner Adam Silver ha da poco annunciato i 60 giocatori scelti dalle 30 franchigie NBA e il nome di Christian non è tra questi. Diverse previsioni lo vedevano in orbita scelta numero 35-40 ma alla fine, per una combinazione di eventi e giocatori chiamati ben prima di quanto previsto, la chiamata arriva.

Mentre piange in una delle mille salette predisposte in attesa della chiamata del per giocatori e famiglie, a consolarlo ci sono la mamma, il nipote, il suo coach universitario. Voleva le persone più importanti del suo percorso per il grande evento. C’è anche la ragazza, che come ha fatto sapere poi lui stesso pensa bene di non farsi più vedere dopo la mancata chiamata NBA. A pochi chilometri di distanza, invece, Christian aveva addirittura detto agli amici di organizzare una grande festa: li avrebbe raggiunti subito dopo il draft per stare svegli tutta la notte.

L’ottimismo era evidente. Durante il draft aveva addirittura twittato live un “Attendo solo di sentire il mio nome”, per poi farsi fiducia via via che i nomi scorrevano con un "Sono uno dei più sottovalutati di questo draft” e finire con un "Attendo" a cui poi è seguita l’enorme delusione.

La via per il successo dei cosiddetti “undrafted”, i giocatori non scelti al draft, è tortuosa e molto raramente vede la luce. Si parte con dei provini, una chance di training camp e di Summer League, per poi entrare nel vortice dei tagli quando i roster vanno rifiniti. Qualche ora dopo la cocente disfatta del draft, per Christian arriva una chiamata dagli Houston Rockets con un contratto non garantito. Da lì a pochissimi giorni viene però tagliato. Si fanno vivi anche i Philadelphia Sixers, poi la D-League (la lega di sviluppo della NBA), gli Charlotte Hornets, i Milwaukee Bucks, i New Orleans Pelicans. 70 partite o poco più in 4 anni. Di solito, una parabola del genere in NBA ha un solo possibile epilogo, che si avvicina a grandi passi.

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La grande chance

L’anno scorso, nella più inaspettata delle occasioni, per Christian è arrivato un messaggio dalla dirigenza dei Detroit Pistons. 60 partite, 13 punti di media, tanto potenziale finalmente mostrato a tutti che però non sufficiente è per meritarsi un nuovo contratto.

E quindi su Christian Wood, 25 anni, da Long Beach, hanno puntato di nuovo gli Houston Rockets, i primi a dargli anni prima un assaggio del sogno NBA. Questa volta però lo hanno fatto in modo importante, investendo 41 milioni su di lui con un lungo contratto che ha fatto storcere il naso a tanti visti i tanti dubbi sul giocatore.

Finora Christian viaggia a 23.3 punti, 10.7 rimbalzi, 1.7 stoppate e tira con un sensazionale 56% dal campo. In difesa, partita dopo partita, sta salendo paurosamente di livello prendendo ulteriormente consapevolezza del suo potenziale atletico, grazie anche a una rapidità di piedi sicuramente anomala per i suoi pari ruolo.

Tra i candidati al Most Improved Player of the Year, premio che l’NBA dà al giocatore più migliorato rispetto alla stagione precedente, il suo nome figura in ogni possibile previsione presente sul web.

La notte del draft 2015 è solo un brutto ricordo. Oggi, Christian Wood è una solidissima realtà.

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