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Il misterioso ultimo messaggio di Elnaz Rekabi su Instagram: non sembra scritto da lei

La situazione e le condizioni della 33enne scalatrice asiatica restano avvolte nel mistero. La storia di Instagram condivisa sui social network non convince del tutto: la versione dei fatti raccontata nel messaggio presenta strane incongruenze e, soprattutto, di Elnaz Rekabi non si hanno più notizie certe.
A cura di Maurizio De Santis
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La scalatrice iraniana, Elnaz Rekabi, ritratta dal fotografo Marco Dullnig (immagine tratta da Instagram).
La scalatrice iraniana, Elnaz Rekabi, ritratta dal fotografo Marco Dullnig (immagine tratta da Instagram).

"Mi scuso per le preoccupazioni che ho causato". Qualcosa non quadra nel messaggio che Elnaz Rekabi ha condiviso sui social network. La story su Instagram della scalatrice iraniana di arrampicata sportiva è stato come luce improvvisa nel buio di informazioni che c'è intorno alla sua persona. È stata inghiottita nel nulla e dal nulla è riemersa all'improvviso, dopo il clamore suscitato dalla partecipazione alla gara in Corea del Sud senza velo.

Il volto non era fasciato dall'hijab, la chioma corvina era libera, raccolta con un elastico. Un sacrilegio per il regime degli ayatollah che attraverso il regolamento sportivo impongono alle atlete all'estero di coprirsi il capo.

Perché Rekabi non l'ha indossato? È stato forse un atto di protesta e di solidarietà per il movimento che ha infiammato l'Iran dopo la morte di Mahsa Amini? La spiegazione fornita dalla donna non convince. La sua sarebbe stata una scelta dettata dalla fretta, dai tempi di ristretti, una cosa fatta "in maniera involontaria" (dice ancora nel messaggio) e non per esprimere sostegno alla lotta delle donne oggetto della violenta repressione della ‘polizia della morale' (il braccio ‘armato' della legge islamica sguinzagliato per soffocare la rivoluzione).

Rekabi ha partecipato ai campionati di arrampicata sportiva in Corea del Sud.
Rekabi ha partecipato ai campionati di arrampicata sportiva in Corea del Sud.

"Nel round finale degli Asian Climbing Championships svoltosi in Corea del Sud – si legge ancora -, a causa della programmazione inappropriata e della chiamata imprevedibile per arrampicare, il mio abbigliamento ha avuto involontariamente un problema. Sono attualmente rientrando in Iran con la squadra, secondo il programma prestabilito". Una riflessione ripresa con molta cautela dalla stampa internazionale, che sembra voler smorzare l'attenzione e la preoccupazione per la reazione del regime iraniano nei suoi confronti e alimenta un sospetto: è lei l'autrice di quel messaggio?

La versione dei fatti viene considerata inattendibile sia per il clima che s'è creato intorno alla donna e, più in generale, si vive attualmente nel Paese asiatico, sia per le notizie frammentarie e discordanti sugli episodi e la cronologia degli eventi che sono legate alla sua persona e all'ambito familiare. Elnaz Rekabi è già tornata in patria? Davvero le sono stati sequestrati cellulare e documenti personali? Quando avrebbe scritto quelle parole se il suo telefono è stato messo sotto sequestro? Suo fratello è stato arrestato realmente e tenuto in ostaggio quasi a obbligarla a rientrare in patria? Dove si trova adesso? È libera oppure è stata condotta nel carcere di Evin?

Tutti interrogativi scaturiti da un particolare: non si hanno più contatti con la donna che sembra divenuta un fantasma nonostante le rassicurazioni lasciate filtrare dall'ambasciata iraniana a Seoul respingano ogni speculazione sulle sue condizioni. "È insieme ad altri membri della squadra" a Teheran, citano fonti riportate dalla BBC.

Ma il mistero resta fitto, nessuno è in grado di dire con certezza se è ancora una libera cittadina oppure è detenuta. Lo stesso network britannico ha ribadito come domenica scorsa il personale della missione diplomatica iraniana abbia sottratto passaporto e telefonino a Rekabi prima che facesse ritorno nel Paese.

Le immagini dello scandalo: la 33enne scalatrice iraniana esegue la sua prova senza indossare l'hijab.
Le immagini dello scandalo: la 33enne scalatrice iraniana esegue la sua prova senza indossare l'hijab.

Quanto accaduto all'arrampicatrice entra nel corredo accessorio di limitazione ai diritti civili e della condizione della donna in Iran. Due anni fa un'altra sportiva si rese protagonista di un gesto simile: Kimia Alizadeh, prima medaglia olimpica iraniana (bronzo nel taekwondo a Rio 2016), si rifiutò di tornare nel suo Paese dopo una competizione parlando di sé come "una delle milioni di donne oppresse" e accusando il governo iraniano di aver strumentalizzato i suoi successi per farsi propaganda. A Tokyo 2020 gareggiò sotto le insegne team dei rifugiati.

Storia identica per Shohreh Bayat, un'arbitra di scacchi che denunciò le minacce di morte ricevute perché in una foto scattata al Campionato mondiale di scacchi femminile a Shanghai sembrava senza hijab. Fuggì in Inghilterra e vi rimase chiedendo asilo politico. Se fosse tornata in Iran l'avrebbero arrestata.

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