L’Eredità, il curatore Flavio De Giovanni: “Ha cambiato il quiz in Italia, Frizzi è sempre con noi”
L'Eredità ha raggiunto il traguardo delle 5mila puntate. Da oltre vent'anni in onda, il gioco pomeridiano di Rai1 oggi condotto da Flavio Insinna è una colonna indiscutibile del palinsesto della prima rete del servizio pubblico e, a dispetto del tempo che scorre, pare immune ad un fisiologico effetto di invecchiamento. Una longevità che si può spiegare in tanti modi, ma che meglio di chiunque altro può spiegare Flavio De Giovanni, memoria storica de L'Eredità, un programma cui lavora da oltre 15 anni, testimone delle principali evoluzioni di questo fortunatissimo format scovato da Amadeus e da lui potato in Italia, prima che venisse ereditato da vari volti Rai.
Da quanto, precisamente, segui L'Eredità?
Dalle prime edizioni di Carlo Conti, quando ereditavamo la gestione Amadeus. Delle 5mila puntate ne ho fatte un bel po'.
Il programma è cambiato molto negli anni, pur conservando una struttura definita. La longevità di questo quiz è del tutto casuale, o ve l'aspettavate?
Direi di no, all'epoca Gori e la vecchia Magnolia non credo immaginassero che sarebbe durato così tanto. Indubbiamente quando venne fuori mostrava qualcosa che gli altri quiz non avevano, alcune caratteristiche che hanno favorito questo successo. Sicuramente questa struttura con il tratto fortemente distintivo del passaggio di eredità da un concorrente all'altro, che è lo scheletro, ma anche una cornice di cui spesso puoi cambiare il quadro. Al suo interno, fin da subito, si è provato a costruire un percorso di puntata che sfruttasse dei giochi che non giocassero troppo sullo stesso tema e clima.
In che senso?
L'Eredità negli anni ha sempre avuto una struttura che partiva da giochi più leggeri, fino al trionfo della parte più classica nel finale. L'atmosfera, però, non diventa mai troppo sacrale, l'allegria di fondo resta. Andare avanti e indietro tra la sacralità del quiz e l'armonia di un programma di intrattenimento è sempre stato un po' il segreto.
Se il clima è rimasto intatto, molti giochi sono cambiati di stagione in stagione.
La struttura solida del punta il dito e la possibilità di cambiare giochi ci ha permesso di rimanere al passo coi tempi, o comunque di capire quando un gioco era un po' troppo spremuto. La presenza di costanti novità ha favorito l'affermazione del format.
L'Eredità è simbolo di una Tv invasa dai format internazionali, ma allo stesso tempo della capacità di adattarsi alla perfezione alla Tv italiana.
Il format attualmente è di Banijay ed è tra i pochi format di cui si esporta la struttura. Qualsiasi format acquisito dall'estero subisce un processo di adattamento, ma è vero che L'Eredità ribalta le proporzioni, la versione italiana ha preso definitivamente il sopravvento e da allora il programma si è strutturato su cose che immaginavamo più adatte al nostro pubblico.
La caratteristica de L'Eredità è sempre stata quella di risultare accessibile a tutti, poi negli ultimi anni c'è stata una svolta verso alcuni "concorrenti personaggio/fenomeno". Come mai?
È stato tutto figlio del caso e di un'evoluzione naturale. Partiamo dal presupposto che i concorrenti che arrivano da noi si iscrivono da soli, a dispetto di altri programmi in cui un ufficio casting va a cercare i concorrenti. Noi effettuiamo test sui candidati per capirne la televisibilità, simpatia e spigliatezza, oltre che la preparazione. Ma gli stessi test non sono infallibili, visto che spesso ci sono capitati concorrenti bravissimi nelle selezioni che, colpa dell'emozione o chissà cos'altro, sono capitolati. Chiaro che questa flessibilità ci permette di capire che tipologie di concorrenti arrivano e, in presenza di particolari profili, provare ad esaltarne le caratteristiche.
L'arrivo della Ghigliottina cambia tutto.
Sì, è un gioco che funziona come perfetto finale. Nei quiz vecchio stile lo spettatore stava lì, ammaliato davanti alla bravura incredibile di un concorrente che rispondeva a tutte le domande. La Ghigliottina innesca un processo diverso, lo spettatore gioca con il concorrente. Non c'è una competenza nozionistica che determina la vittoria, si deve saper giocare con le parole ma avere anche capacità di intuizione. Quel gioco ha funzionato e continua a funzionare come sfida allo spettatore, oltre che al concorrente. Credo che questo, più di ogni altra cosa, ne ha determinato il successo. Ed era anche l'idea da cui è germogliato. L'effetto di questa dinamica si intuisce anche dalla reazione sui social, dove sono nati gruppi e hashtag serali su cui le persone si confrontano per trovare la risposta giusta.
Quello è il solo gioco rimasto invariato. Come mai?
Intanto perché ha un meccanismo molto semplice, chiaro ed evidente. Ha un tempo prestabilito e quindi un carattere tensivo, poi allo stesso tempo ha la dinamica di quel classico gioco che, anche se non hai indovinato, alla fine ti dici "ah cavolo, c'ero quasi".
Quando viene introdotta e come nasce?
La Gigliottina arriva nell'ultima edizione condotta da Amadeus, era la stagione 2005-2006. Ci siamo resi conto subito che funzionasse e comunque sentivamo ci fosse dentro qualcosa di forte. Poi un conto è l'ipotesi, un altro è lo sviluppo pratico.
Tra le caratteristiche de L'Eredità c'è l'effetto meme che esalta lo strafalcione, forse invitando lo spettatore a credere che chiunque possa partecipare al programma.
Assolutamente sì, si slega dall'idea che si potesse fare il concorrente de L'Eredità solo se si possiedono conoscenze fuori dal comune. In questo devo dire che tutti i conduttori del programma sono stati fondamentali. Hanno sempre saputo gestire lo strafalcione del concorrente mai in maniera punitiva, ma sempre divertita. È un attimo e generi l'effetto contrario, quello di impaurire il concorrente e lo spettatore. Amadeus, poi Carlo Conti, Fabrizio Frizzi e Flavio Insinna, tutti si sono perfettamente calati nell'idea di giocare sugli scivoloni di alcuni concorrenti senza offendere.
Ci vuole quella capacità di non imporsi sul programma, ma inserirsi nelle dinamiche, non voler essere protagonisti ma essere comunque incisivi.
Certo, anche perché le strutture dei quiz richiedono sempre una conduzione molto agile e veloce, in più quando hai a che fare con concorrenti che si mettono in gioco, devi saper giostrare vari registri, quello tensivo, quello comprensivo, quello divertente. Condurre una puntata de L'Eredità può sembrare facile, ma non lo è.
In questi anni c'è sempre stato un flusso di aspiranti concorrenti molto ampio. Il quiz è visto ancora come la svolta della vita?
Credo di sì, abbiamo avuto il più alto numero di iscrizioni durante il Covid, perché forse in quel periodo molte persone hanno ripensato alla propria posizione, o forse non lavoravano. Lo stesso Massimo Cannoletta arriva così a L'Eredità.
Cinquemila puntate, ore e ore di Tv macinate. Qualcosa che ti è rimasto particolarmente impresso?
Difficile isolarne alcuni. Uno è un ricordo brutto, quando ci arrivò la notizia della morte di Fabrizio Frizzi, che ci colse alla sprovvista in un momento in cui pensavamo che le cose fossero avviate in un'altra direzione. Fabrizio ci ha dato tanto e insegnato tanto, continua a essere sempre citato in molti momenti dietro le quinte. Di piacevole direi proprio la cavalcata di Massimo Cannoletta che è stata, a memoria mia, una delle cose più strabilianti che abbia visto. Era un momento particolare, non capivamo se fossimo usciti o meno dal Covid e trovammo questo personaggio che, nella sua assoluta normalità e gentilezza nei modi, macinava risposte su risposte. È stata una bellissima storia, anche per il modo in cui decise di andare via, sbagliando volontariamente per lasciare spazio ad altri. Non credo sia casuale che abbia trovato spazio in televisione.