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Vittorio Emanuele Parsi rivive i giorni del coma: “Ho rivisto i miei genitori, poi il volto di Tiziana”

Vittorio Emanuele Parsi racconta in un’intervista tutto quello che è accaduto dal 27 dicembre scorso, quando ha avvertito un malore ed è stato portato d’urgenza in ospedale. Dopo il delicato intervento al cuore ricorda ogni attimo, da quelli più bui del coma a quelli più sereni, come la vista di Tiziana Panella, la sua compagna da due anni.
A cura di Ilaria Costabile
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Dopo il malore e l'intervento delicatissimo subito lo scorso dicembre, Vittorio Emanuele Parsi torna a parlare, in un'intervista al Corriere della Sera, delle sensazioni provate in quegli attimi prima del ricovero in ospedale e del successivo intervento. Il politogo è stato in coma e ha raccontato di aver vissuto un'esperienza premorte che lo ha segnato, profondamente, della quale ricorda alcuni dettagli importanti, fino al momento della serenità: quando ha visto il volto della compagna, la giornalista di La7 Tiziana Panella.

Il malore e la diagnosi in ospedale

Era il 27 dicembre, quando dopo la presentazione del suo ultimo libro, tenutasi a Cortina, Vittorio Emanuele Parsi ha accusato un forte malore dopo il quale è stato portato d'urgenza in ospedale: "Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea. Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale “Codivilla". Inizialmente si pensava fosse un infarto, ma dopo gli esami negativi, si è scoperto che si trattava della dissezione dell'aorta, come gli comunicò il medico a Belluno dopo gli accertamenti a cui fu sottoposto e che gli comunicò: "Mi ha detto due cose che ricorderò sempre. La prima: dobbiamo farle un’operazione salvavita. La seconda: può andare male". Dopo questa notizia, Parsi chiama sua figlia maggiore e la compagna Tiziana Panella, con la quale ha una relazione da due anni e dopodiché viene portato in elicottero a Treviso, dove è stato seguito da un equipe di medici.

I ricordi del coma

Per giorni, però, le sue condizioni sono in bilico, resta in uno stato in cui il pericolo non è ancora del tutto scampato: "Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane". In quei momenti, pur sentendosi stanco e non dolorante, ha pensato più volte che non ce l'avrebbe fatta, per poi pensare alle figlie e alla sua Tiziana:

Ho visto il suo volto, potevo rivederlo. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: “Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi”. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che vendevano nei ruggenti anni’70 e ’80, che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano… Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me.

L'esperienza premorte

Il professore dell'Università Cattolica di Milano ritiene di aver vissuto un'esperienza premorte, che lo ha particolarmente scosso: "Penso fosse l’Ade, il fiume delle anime morte". Parsi ha poi aggiunto di non aver mai temuto l'arrivo della morte: "Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo.Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura". I momenti più duri, secondo il politologo, sono stati quelli che hanno preceduto l'inizio della sua ripresa, in cui i medici riflettevano sul da farsi:

Sentivo lo estubiamo domani, lo estubiamo oggi…”. Avrei voluto che lo facessero subito. Ho cercato di strapparmi tutto, hanno dovuto legarmi al letto. Nelle ore finali, intubato, guardavo l’orologio, vedevo passare i quarti d’ora uno per uno. Uno strazio. Quando mi hanno tolto i tubi è stato come rinascere. Avevo una sete tremenda: gli addetti della rianimazione usavano un bellissimo lavabo d’acciaio con una profusione d’acqua e mi dicevo: tra poco mi attacco sotto alla manichetta, mi dovranno portare via. Invece mi strozzavo anche solo con un cucchiaino.

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