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Diego Dalla Palma: “La mia università è stata la povertà. Un giorno mi prostituii per un panino”

Diego Dalla Palma si è raccontato in un’intervista in cui ha ripercorso la sua infanzia, vissuta nelle malghe venete, la povertà che ha patito negli anni e poi la conquista del suo lavoro, di un’identità che gli ha permesso di essere il professionista che è oggi.
A cura di Ilaria Costabile
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Diego Dalla Palma, truccatore, costumista, scenografo e talvolta anche sceneggiatore e attore, si è raccontato approfonditamente in un'intervista al Corriere della Sera, in occasione della pièce teatrale "Bellezza Imperfetta, tra vacche e stelle". Il make up artist veneto, cresciuto tra le montagne, ha raccontato di come la povertà lo abbia profondamente segnato, ma che allo stesso tempo gli abbia dato la possibilità di diventare la persona che è oggi, nonostante il bagaglio pieno di sofferenze.

L'infanzia in Veneto

Alla domanda su come ha deciso di diventare un make up artist, Diego Dalla Palma ha risposto parlando di uno degli eventi più significativi della sua infanzia e di cui, ancora oggi, conserva un ricordo vivissimo:

Incontrando la morte. A 6 anni fui colpito da meningite linfocitaria. Una sorta di privilegio. In coma non vidi alcun tunnel, ma solo una luce lillà, fortissima, che mi dava un senso di trasparenza e di ristoro. Mia madre restò accanto a me in ospedale per molti giorni, solo con un’immagine di sant’Antonio stretta al petto. “Al risveglio eri contrariato”, mi raccontò

Cresciuto tra le montagne, nelle malghe dove si producevano burro e formaggi, non torna sulle alture venete, a Enego dove è nato, ormai da anni: "Manco da tanto tempo. Ho sofferto troppo. Mi deridevano: «Femminuccia». A distanza di anni, temevano che li contagiassi con il meningococco. Ah, l’ignoranza!". Da lì è andato via appena maggiorenne: "A 18 anni. Il viatico di mio padre Ottavio fu: “Ricòrdate sempre che sémo gente povera, no povera gente". 

Il primo lavoro da costumista

La sua destinazione fu Milano, dove iniziò a vivere di stenti, ma l'intento era quello di dare una svolta alla sua vita, anche se ha dovuto affrontare situazioni difficili: "Non sapevo dove lavarmi, dove dormire. Finii nel pensionato Belloni, viale Fulvio Testi, fra barboni ubriachi che scoreggiavano. Fame vera. Un giorno mi prostituii per un panino. La mia università è stata la povertà". Furono momenti bui, ma dopo tanta sofferenza, ebbe il suo riscatto con il primo lavoro:

Costumista e scenografo. Un Natale mi presentai per la terza volta alla Rai in corso Sempione. Maud Strudthoff mi batté una mano sulla spalla: “De Palma, torna a casa”. Manco rammentava il cognome. L’ascensore era rotto, vagai nei corridoi. Lei mi rivide, s’impietosì: “Vabbè, ti provo in Un’ora per voi, condotto da Corrado e Mascia Cantoni per i nostri emigrati in Svizzera. Solo tre puntate”. Divennero 30. Da Guido Stagnaro a Enzo Trapani, per 10 anni lavorai con tutti i registi.

Ha truccato le attrici e le cantanti più belle e note dello spettacolo italiano: "È la telecamera il fondotinta, anzi il cerone. Tira fuori il peggio della nostra vanità" ha detto parlando di come la televisione, la notorietà spesso possano cambiare le persone.

Gli abusi da ragazzino e la sua sessualità

Parlando di sé, invece, ha ribadito il suo essere pansessuale, come aveva dichiarato in un'intervista: "Sono nato in una casa priva di infissi. Non ho porte, non ho confini. Di due grandi amori, Anna e Mario, preferisco ricordare Anna. Studiava alla Scala per diventare soprano. Mi ha donato equilibrio. Il sesso era il primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera. Oggi osservo sgomento il mio corpo plissé e mi astengo. Eppure, di sofferenze, ne ha subite tante come gli abusi quando aveva solo 15 anni:

Quasi tutti i giorni, per due anni, al collegio Cavanis di Venezia. Dormivo nell’ala degli sfigati che non potevano pagare la retta. Padre Ugo, 120 chili, era suadente: “Dammi del tu”. Dapprima fu una violenza mentale, sulle note della Sinfonia n. 103 di Haydn. Conservo ancora tre pile di vinili che mi regalò. Anni fa la mia segretaria mi passò al telefono un asmatico. Era padre Ugo: “Stavolta benedicimi tu, sto morendo. Mi vuoi bene, Diego?”. Non conosco il rancore. Ci pensai un minuto. Risposi: sì, le voglio bene. Che mi cambiava, a perdonarlo? “Grazie, figliolo”, fu il suo congedo.

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