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Squid Game 3, la recensione: quando a salvare la serie ci pensano la violenza e il tradimento

Squid Game 3 è violento e brutale senza filtri. Dopo una seconda stagione ‘lenta’, tornano i giochi e persino l’iconica bambola gigante. Ma c’è molto altro nel capitolo finale: Gi-hun, il giocatore 456, convive con il senso di colpa e la rabbia, eppure non mette mai sé stesso prima degli altri. E se è vero che tutti i giochi finiscono, ci sono finali che non sono altro che nuovi inizi.
A cura di Elisabetta Murina
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Squid Game 3 torna alle origini. Dimenticate la seconda stagione, il passato dei giocatori e i ritmi lenti. Nei nuovi episodi (dal 27 giugno su Netflix) ci sono violenza e brutalità e forse ne siamo un po' contenti. Senza questi due elementi, uniti a soldi e a giochi sempre più folli, la serie coreana non sarebbe decisamente la stessa. Ma nel finale c'è molto di più: fiducia tradita, paura, amore e senso di colpa.

"Perché mi avete lasciato vivere?" grida Gi-hun quando realizza di essere l'unico sopravvissuto alla rivolta che lui stesso aveva organizzato per fermare il gioco. Una domanda che non trova risposta e che continua a tormentarlo, tra la disperazione di aver perso degli amici e il senso di colpa per esserne il responsabile. Il giocatore 456 inizialmente non vuole rendersene conto e, anziché guardarsi dentro, si sfoga contro il numero 338 incolpandolo di non aver portato in tempo i caricatori per le armi. "È colpa tua se sono tutti morti", gli dice puntandogli un pugnale alla gola.

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Violenti, sempre di più, sono anche i giochi scelti per gli episodi finali, dopo una seconda stagione in cui questo aspetto era decisamente passato in secondo piano per lasciare spazio all'introspezione. Torna l'iconica bambola del Un, due, tre Stella in una nuova versione, così come i simboli del triangolo, cerchio e quadrato. Più presenti e più cruciali. Chi partecipa viene messo di fronte a scelte morali estreme: morire o uccidere la persona che si ama per sopravvivere. Sono diversi i personaggi ‘costretti' a prendere una decisione: dalla coppia mamma-figlio con cui abbiamo empatizzato, messi inevitabilmente una contro l'altro, alla giocatrice 222 incinta, Jun-hee, faccia a faccia con la morte ma anche con una nuova vita.

Qualsiasi strada si scelga, il senso di colpa diventa un macigno con cui fare i conti e che, a volte, porta a gesti estremi nel tentativo di liberarsene. "Le persone cattive fanno cose terribili, danno la colpa gli altri e non gli importa niente. Invece le persone buone incolpano e stesse per ogni cosa che va male", dice l'anziana giocatrice 149 dopo un tradimento che è stato necessario.

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Gi-hun non esita a mostrare il lato più violento e brutale di sé, tanto che gli altri giocatori lo considerano un ‘pazzo' e arrivano ad averne persino paura. Eppure la rabbia, il senso di colpa e il tradimento subito non lo portano mai a mettere sé stesso prima degli altri. Non è il ‘cattivo' della storia, non lo è mai stato, anzi, è quello che più si è messo in gioco per fermare l'intero meccanismo. Il faccia a faccia tanto atteso con il Front Man, il ‘traditore' per eccellenza, finalmente arriverà e anche in quell'occasione il giocatore 456 gli dimostrerà di non essere come lui pensa.

Come tutti i giochi, anche Squid Game prima o poi finisce. Ma forse, in questo caso, la fine non è altro che un nuovo inizio. Dipende sempre dalla prospettiva con cui si sceglie di leggere la storia.

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Giornalista professionista, classe 1997. Scrivo per l'area Spettacolo di Fanpage.it dal 2021. Ho conseguito il Master in Giornalismo e svolto un periodo di praticantato nella redazione di Tgcom24.
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