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Opinioni

Qual è il piano del governo per fermare gli sbarchi, dunque?

Qual è la proposta che l’Italia ha portato nel vertice europeo e che possibilità ha di essere tenuta in considerazione nei prossimi appuntamenti tra Bruxelles e Strasburgo. Ma soprattutto, quali sono le idee del nostro governo per risolvere il “problema” legato agli sbarchi dei migranti sulle nostre coste?
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“L’Europa è chiamata ad una sfida cruciale. Se non riesce a realizzare un'efficace politica di regolazione e gestione dei flussi migratori, rischia di perdere credibilità tutto l'edificio europeo. Occorre un approccio integrato, multilivello che coniughi diritti e responsabilità. L'Italia vuole contribuire costruttivamente alla formulazione di questo nuovo approccio. Dobbiamo passare dalla gestione emergenziale, alla gestione strutturale del fenomeno immigrazione”. Comincia così il breve documento denominato “European Multilevel Strategy for Migration” e presentato al vertice informale di Bruxelles dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Si tratta della proposta italiana per superare la crisi politica a apertasi nelle ultime settimane intorno alla questione degli sbarchi dei migranti in Italia, Spagna e Grecia; una serie di linee guida, che sono state sottoposte all’attenzione degli altri partecipanti al vertice informale che ha preceduto la ben più complessa riunione del Consiglio Europeo di fine mese, un appuntamento cruciale che potrebbe condizionare le relazioni internazionali per i prossimi anni.

Cosa prevede la European Multilevel Strategy for Migration

Il documento è articolato in dieci punti, che affrontano diversi aspetti della questione, con la pretesa di restituire un approccio sistemico e mettere in campo interventi ad ampio raggio d’azione.

  1. Intensificare accordi e rapporti tra Unione europea e Paesi terzi da cui partono o transitano i migranti e investire in progetti. Ad esempio la Libia e il Niger, col cui aiuto abbiamo ridotto dell'80% le partenze nel 2018.

Il primo punto rimanda alla necessità di rafforzare i rapporti con i Paesi di partenza e transito dei migranti, come fatto per esempio da Minniti con la Libia. Si tratta di una indicazione contenuta anche nel dimenticato “Migration Compact”, il piano presentato dal governo Renzi nel 2016, che in linea di principio è accettata anche dagli altri stati della Ue.

  • 2. Centri di protezione internazionale nei Paesi di transito. Per valutare richieste di asilo e offrire assistenza giuridica ai migranti, anche al fine di rimpatri volontari. A questo scopo l'Ue deve lavorare con UNHCR e OIM. Perciò è urgente rifinanziare il Trust Fund UE-Africa (che ha attualmente uno scoperto complessivo di 500milioni di euro) che incide anche su contrasto a immigrazione illegale su frontiera Libia-Niger.

Questo è un passaggio particolarmente controverso, che certamente sarà un banco di prova importante per la proposta italiana. Il fondo cui fa riferimento Conte è di vitale importanza ma sono molti i paesi europei che non fanno fronte agli impegni finanziari (fanno eccezione l'Italia, la Germania e solo in parte la Francia). Più controversa la questione dei "centri nei paesi di transito". Se, in effetti, negli ultimi mesi l'UNHCR è potuta tornare a fare ispezioni nei centri di detenzione "ufficiali" della Libia, ci sono molti ostacoli di natura giuridica e politica alla costituzione di veri e propri hotspot in cui esaminare le richieste di asilo politico. Lo ha ribadito anche il vicepresidente della Libia Ahmed Maiteeq dopo l'incontro con Salvini: "Rifiutiamo categoricamente la possibilità di ospitare campi in territorio libico, è proibito dalla legge". L'ipotesi "successiva" è quella di spostarli al confine meridionale della Libia, forse in territorio nigerino, ma è chiaro che la questione sia complicata e certamente non di immediata risoluzione.

  • 3. Rafforzare le frontiere esterne. L'Italia sta già sostenendo missioni UE (EUNAVFOR MED Sophia e Joint Operation Themis) e supportando la Guardia Costiera Libica, occorre rafforzare queste iniziative.

Scritto così, sembrerebbe un semplice invito al rafforzamento delle operazioni di controllo delle frontiere esterne, al momento interessate già da missioni internazionali, o una richiesta di fondi da indirizzare alla Libia, la cui Guardia Costiera è al momento aiutata dall'Italia con mezzi e know how. Una formulazione di questo tipo vorrebbe dire coinvolgere maggiormente gli altri paesi europei nelle attività di pattugliamento del mare, magari con maggiore impiego di uomini e mezzi. Ma si tratta anche di un passo ulteriore verso la cosiddetta "esternalizzazione delle frontiere", che sostanzialmente equivale a una sorta di militarizzazione della frontiera (ricordiamo che già nei mesi scorsi, come spiega OpenMigration, la stessa missione EUNAVFOR MED "da contrasto al traffico di migranti è diventata uno degli organi di formazione – in collaborazione con i militari italiani – della Guardia costiera libica, dando così il proprio contributo, nel 2017, al respingimento nell’inferno libico di 20 mila uomini, donne e bambini"). Il rafforzamento delle frontiere esterne, se letto in questa chiave, è una delle richieste del blocco di Visegrad, e potrebbe essere interpretato come una sorta di "blocco navale mascherato". Non bisogna sottovalutare, inoltre, il rischio che si aprano nuove rotte, ancor più pericolose per gli stessi migranti, esattamente come avvenuto quando la UE ha appaltato alla Turchia il controllo delle frontiere esterne.

  • 4. Superare Dublino. Nato per altri scopi, è ormai insufficiente. Solo il 7% dei migranti sono rifugiati. Senza intervenire adeguatamente rischiamo di perdere la possibilità di adottare uno strumento europeo veramente efficace. Il Sistema Comune Europeo d'Asilo oggi è fondato su un paradosso: i diritti vengono riconosciuti solo se le persone riescono a raggiungere l'Europa, poco importa a che prezzo.

Si tratta di uno dei punti cruciali della proposta italiana, anche se non vengono esplicitati i dettagli e le ipotesi intorno alle quali lavorare per riscrivere il trattato di Dublino. La situazione, al momento, è la seguente.

Da tempo si discute della riforma del trattato di Dublino e tutte, ma proprio tutte, le forze politiche italiane sono d’accordo nell’individuare nelle norme in vigore il primo problema del nostro Paese. Il punto è che riformare il trattato non è semplice, perché, come ben spiegato su OpenMigration, in Europa ci sono due blocchi contrapposti: “Chi per il principio di solidarietà chiede la ripartizione di richiedenti asilo e rifugiati fra tutti i paesi secondo un sistema di quote; e i fautori della linea dura, che invece puntano sull’esternalizzazione delle frontiere e un coinvolgimento dei paesi soltanto finanziario”. L’ultimo recente tentativo di riforma è praticamente naufragato, nonostante un primo via libera dal Parlamento europeo. Contro si è espressa anche l’Italia, perché, ha spiegato Salvini, “vogliono appesantire i Paesi del Mediterraneo, come Italia, Cipro Malta, Spagna, ulteriormente dandoci migliaia di migranti per dieci anni”. Una posizione sostenuta anche dal M5s, secondo cui con la riforma “in Italia resterebbero comunque tutti i migranti economici” (in realtà, nella proposta iniziale del Parlamento, la distinzione tra aventi diritto alla protezione internazionale e migranti economici avveniva al termine della procedura, quando cioè il richiedente asilo è già stato trasferito in un altro stato).

La proposta iniziale del Parlamento europeo, che certamente era perfettibile, avrebbe però permesso di superare agevolmente il principale “problema” italiano: ovvero la norma che impone che la richiesta di asilo debba essere fatta nel Paese di primo approdo. E avrebbe anche messo a regime il sistema delle quote:

“Per ogni paese Ue si calcola una quota di rifugiati da accogliere in base a Pil e popolazione. La lista comprende quindi i quattro paesi con il numero più basso di richiedenti rispetto alla propria quota. Se il richiedente non effettua una scelta, è assegnato allo stato con il più basso tasso di candidati. Lo stato così individuato esamina la domanda d’asilo. Infine, se il richiedente asilo dimostra di avere altri legami (culturali, familiari in senso ampio o linguistici) con uno stato, può chiedere di esservi trasferito. In sintesi: a esaminare la domanda di asilo non è più lo Stato di primo ingresso, ma quello cui il richiedente asilo è assegnato in forza di un legame rilevante o del meccanismo della lista. I costi di trasferimento del migrante sono a carico del bilancio Ue”.

La sintesi fatta dalla Presidenza bulgara, invece, lasciava sostanzialmente tutto il peso sulle spalle del paese di primo arrivo, peraltro aumentando il tempo di "responsabilità" e il controllo sui movimenti secondari

L'idea italiana è quella di cambiare questo paradigma allocando in Africa i centri in cui fare domanda di asilo politico, una questione che presenta notevoli complessità, anche perché, come detto, non c'è la disponibilità dello stato africano a ospitare un hotspot sul proprio territorio (e l'idea di farlo alla frontiera col Niger è solo una suggestione).

Peraltro, Conte afferma che solo il 7% dei migranti è ascrivibile alla categoria dei rifugiati. Un dato falso se riferito al complesso degli arrivi in Europa e approssimativo anche se riferito all'Italia, perché non tiene conto delle altre tipologie di protezione internazionale accordate negli anni (tra rifugiati, protezione umanitaria e sussidiaria si parla di risposta positiva da parte dello Stato nel 40% dei casi).

  • 5. Superare il criterio Paese di primo arrivo. Chi sbarca in Italia, sbarca in Europa. Riaffermare responsabilità-solidarietà come binomio, non come dualismo. È in gioco Schengen.

Al momento un migrante che volesse fare la richiesta di asilo politico sarebbe tenuto a farla esclusivamente nel paese di primo arrivo. Superare questo criterio era uno degli obiettivi anche della già citata proposta del Parlamento europeo, mentre la bozza presentata dal Consiglio Europeo non andava in tale direzione. L'Italia potrebbe chiedere che si torni a parlare della possibilità per un migrante di fare domanda d'asilo in un qualsiasi stato UE, oppure che l'intera procedura di gestione delle domande sia "a livello europeo", con un meccanismo di ricollocamento automatico. Come nota il giornalista David Carretta, il punto è che da anni la Commissione Europea prova a intervenire sul punto con il sistema delle quote, senza successo:

  1. 6. Responsabilità comune tra Stati membri sui naufraghi in mare. Non può ricadere tutto sui Paesi di primo arrivo. Superare il concetto di ‘attraversamento illegale' per le persone soccorse in mare e portate a terra a seguito di Sar. Bisogna scindere tra porto sicuro di sbarco e Stato competente ad esaminare richieste di asilo. L'obbligo di salvataggio non può diventare obbligo di processare domande per conto di tutti.

Con questa misura l'Italia intende superare quello che è giudicato un vero e proprio vulnus, dovuto soprattutto alla sovrapposizione di vari "livelli" (il diritto del mare, i Trattati internazionali e le regole di ingaggio delle operazioni in corso). Ad esempio, si chiede di cambiare la prassi che vuole che i migranti recuperati in mare da mezzi della Guardia Costiera o della Marina militare italiana, sotto il coordinamento del MRCC di Roma, debbano essere accompagnati sulle coste italiane, indipendentemente da quale sia il porto sicuro di sbarco più vicino. Cambiare questa "prassi", o meglio normare queste situazioni in maniera chiara, significherebbe aprire alla possibilità di portare i migranti in Tunisia o a Malta (a seconda della zona in cui avviene il salvataggio). Resta una delle questioni più complesse e difficilmente l'Italia otterrà risultati, come vi abbiamo spiegato qui.

  • 7. L'Unione europea deve contrastare, con iniziative comuni e non affidate solo ai singoli Stati membri, la ‘tratta di esseri umani' e combattere le organizzazioni criminali che alimentano i traffici e le false illusioni dei migranti.

Anche questo punto è già stato affrontato, ci sono diverse iniziative in corso e possono essere agevolmente rafforzate, ma per combattere sul serio la tratta di esseri umani servono operazioni in Libia. Che difficilmente possono essere autorizzate senza conseguenze (e senza autorizzazioni dell'ONU o accordi con la Libia, ammesso che il governo di Tripoli abbia il controllo delle zone interessate).

  • 8. Non possiamo portare tutti in Italia o Spagna. Occorrono centri di accoglienza in più paesi europei per salvaguardare i diritti di chi arriva e evitare problemi di ordine pubblico e sovraffollamento.

Questa parte della proposta è piuttosto singolare, come riconosciuto anche da altri osservatori. Non è chiarissimo quale sia il modello di sistema di accoglienza che immagina l'Italia, probabilmente si tratta di una proposta che mira a velocizzare e snellire il collocamento automatico negli altri paesi europei dei migranti che giungono in Italia, Spagna e Grecia.

  • 9. Contrastare i movimenti secondari. Attuando principi precedenti, gli spostamenti intra-europei di rifugiati sarebbero meramente marginali. Così i movimenti secondari potranno diventare oggetto di intese tecniche tra paesi maggiormente interessati.

Sui movimenti secondari si gioca invece una partita fondamentale. Come noto, per il Regolamento di Dublino la domanda di asilo deve essere fatta nel Paese di primo arrivo, dunque i richiedenti dovrebbero restare in tale nazione per tutto il tempo necessario al disbrigo delle pratiche. Secondo alcuni Stati membri, ciò non sempre accade, soprattutto perché l’Italia non è in grado di controllare i “movimenti secondari” dei richiedenti asilo, che spesso riescono a raggiungere gli altri Stati membri. Francia e Germania chiedono che l’Italia si impegni maggiormente nel controllo di questi flussi interni alla Ue e auspicano la possibilità di “accordi bilaterali per facilitare il trasferimento nei Paesi di primo ingresso dei richiedenti asilo che si muovano nell'Ue”. Tradotto in soldoni: riportare in Italia i richiedenti asilo che nel frattempo si siano spostati negli altri Paesi europei. L’Italia non dice apertamente di no a questa ipotesi, ma non intende accettarla fino a che non si abbiano certezze sul meccanismo di redistribuzione dei migranti tra i vari stati membri, anche quelli cosiddetti “economici”.

  • 10. Ogni Stato stabilisce quote di ingresso dei migranti economici. È un principio che va rispettato, ma vanno previste adeguate contromisure finanziare rispetto agli Stati che non si offrono di accogliere rifugiati.

L'ultimo punto intende spingere gli altri stati membri a mettere in piedi dei meccanismi "certi" di ingresso nel proprio territorio dei migranti "economici", ma anche rilanciare la possibilità di sanzionare quegli Stati che non accolgono rifugiati. Va detto che, anche su questo punto, la proposta della Commissione UE prevedeva delle sanzioni per chi si fosse rifiutato di aderire al meccanismo della relocation, che peraltro si è arenato senza alcuna conseguenza.

Complessivamente, come ci ha spiegato l'eurodeputata Elly Schlein, il piano di Conte non è affatto rivoluzionario, ma mette insieme approcci distinti e ricette anche in contrasto fra loro: l'esternalizzazione delle frontiere e la cancellazione del criterio del Paese di primo ingresso, le sanzioni a chi si rifiuta di accogliere i rifugiati e la disponibilità a fermare i movimenti secondari, l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo e le quote di migranti economici. Gran parte di queste proposte erano peraltro presenti nel documento approvato da due terzi del Parlamento Europeo, ma M5s e Lega votarono contro.

Certo, bisognerà attendere nel dettaglio le misure e le proposte, ma quello che emerge è un tentativo di compromesso, portato ai tavoli UE dopo settimane di attacchi e accuse reciproche con gli unici partner interessati a intervenire sulla questione.

PS: Nel documento di Conte non c'è alcun riferimento diretto all'attività delle ONG; non sarà che, effettivamente, si sta esagerando con la polemica nei confronti di chi sta aiutando la GC e la Marina a salvare decine di migliaia di vite?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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