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L’Europa ci multa e vuole che usiamo la forza coi migranti

Recentemente la Commissione europea ha chiesto all’Italia “un’accelerazione” alla questione hotspot, “per permettere l’uso della forza per la raccolta delle impronte”. Il nostro paese è ancora a rilento nella costituzione di questi centri, ma le “prove generali” delineano già un quadro preoccupante.
A cura di Claudia Torrisi
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Recentemente la Commissione europea ha chiesto all'Italia "un'accelerazione" nel "dare cornice legale alle attività di hotspot". In un report pubblicato ieri, l'organo europeo ha esortato il nostro paese a sbrigarsi, "in particolare per permettere l'uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza". Malgrado "i sostanziali incoraggiamenti" dall'Europa, "solo uno dei sei hotspot designati è pienamente operativo, a Lampedusa. La Commissione si aspetta che altri due centri, Pozzallo e Porto Empedocle siano aperti a giorni". "Sappiamo che l'Italia sta facendo un grande lavoro, ma sul fronte degli hotspot è ancora indietro. È necessario sapere chi ha diritto a restare e chi no. Frontex sta aiutando, ma resta ancora molto da fare sul fronte dei rimpatri", ha detto il primo vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans.

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Il report è stato pubblicato poco dopo la notizia dell'avvio di una procedura di infrazione contro l'Italia da parte della Commissione europea per una "non corretta applicazione del regolamento europeo", che prevede che vengano raccolte le impronte digitali a tutti i profughi. La questione è stata giudicata dal ministro dell'Interno Alfano "ingiusta e irragionevole". Sul fronte dell'apertura degli hotspot, invece, Alfano ha ribadito che "il piano strategico dell'Ue è fatto anche del ricollocamento dei profughi e dei migranti, quindi è chiaro che noi dobbiamo aprire degli hotspot ma è anche altrettanto chiaro che deve funzionare il processo di ricollocamento".

Cosa sono gli hotspot

Gli hotspot sono il fulcro della nuova strategia dell'Unione europea per fronteggiare l'emergenza immigrazione. Si tratta di strutture già esistenti, che saranno ampliate. In teoria, dovrebbero funzionare trattenendo i migranti fino all'identificazione rapida – entro 48 ore dall'arrivo, prorogabili a 72 – e alla registrazione, prendendo anche le impronte digitali, e selezionando i candidati all'asilo e gli immigrati per motivi solo economici – che vanno rimpatriati. Le informazioni vengono poi inviate a una banca dati Ue istituita con il regolamento Eurodac. Nel caso rifiutino di essere registrati, i migranti verranno trasferiti nei Cie – Centri di identificazione ed espulsione, prima di essere rimandati nel loro paese. Negli hotspot la polizia italiana sarà coadiuvata delle agenzie europee Europol, Eurojust, Frontex ed Easo.

A settembre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto che era "urgente" che Grecia e Italia si dotassero di queste strutture. Nel nostro paese sono già stati individuati sei luoghi per gli hotspot: Lampedusa – che è l'unico attivo – Pozzallo (Ragusa), dove il Centro di primo soccorso e accoglienza sta già facendo le prove generali e dovrebbe essere pronto entro dicembre, e poi quelli di Porto Empedocle (Agrigento), Trapani, Augusta (Siracusa) e Taranto. Sono previsti 500 posti a Lampedusa, 300 a Pozzallo, 300 a Porto Empedocle, 400 a Trapani, 300 ad Augusta e 400 a Taranto. Il tutto, secondo i piani dell'Ue, doveva essere pronto intorno a novembre.

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In effetti il progetto sta andando parecchio a rilento, complice anche il forte rallentamento dei ricollocamenti dal nostro paese, come mostra l'appendice al report della Commissione Europea. Secondo il documento Ue, "nonostante i ricollocamenti siano iniziati in Italia prima della Grecia, il paese è molto lontano dalla velocità necessaria per raggiungere l'obiettivo di trasferire 39.600 persone in due anni". "Trovo strabiliante che in Europa qualcuno abbia pensato di aprire una procedura di infrazione perché non tutte le persone che abbiamo salvato in mare sono state identificate con impronte digitali. Abbiamo aperto il primo hotspot, domani si aprirà il secondo, siamo pronti con Taranto e Pozzallo, siamo pronti ad intervenire tenendo fede agli impegni presi. Chiederemo agli europei se sono loro in grado di tenere fede ai loro impegni, al momento sta andando avanti solo la parte italiana. Prima di aprire una procedura di infrazione bisognerebbe collegare la realtà con le proprie idee e talvolta non sempre avviene", ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi.

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I lavori sono ben lontani dall'essere completati e se, come riporta Repubblica, a Pozzallo la struttura che dovrebbe tramutarsi in hotspot è quella attualmente adibita a Cpsa al porto, relativamente semplice da attrezzare ad hotspot, "a Porto Empedocle non c’è assolutamente nulla. La tensostruttura che sorge sul molo, unico presidio (praticamente aperto) in cui vengono ospitati i profughi al momento degli sbarchi, è stata dichiarata inagibile dai vigili del fuoco ed è dunque inutilizzabile".

Prove generali di hotspot tra violazioni e diritti negati

Nonostante non siano ancora pienamente attivi, gli hotspot sollevano già diverse perplessità. Secondo le associazioni Oxfam, Agi e A buon diritto, nei futuri centri di identificazione si verificherebbero già "gravi violazioni dei diritti dei migranti": chi sbarca viene privato della libertà personale, gli viene impedito di uscire dal centro di accoglienza senza che ci sia stato un intervento del giudice, senza informazioni circa la possibiltà di chiedere protezione internazionale o comunicazioni su quali siano i propri diritti. La denuncia si rivolge in particolare al Cpsa di Pozzallo, dove, sostanzialmente, ci si sta preparando a quello che succederà una volta in attività l'hotspot. Quello che crea maggiore disagio è la totale mancanza di un'informativa legale, anche per persone che arrivano da paesi in cui hanno subito violenze e torture. Secondo Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne di Oxfam Italia, "molte delle associazioni che lavorano in Sicilia come partner di Oxfam hanno denunciato che i migranti vengono di fatto detenuti in strutture dove, in assenza di ordinanza di un giudice, non potrebbero essere trattenuti per più di 48 ore. Nessuna informazione viene fornita rispetto alla possibilità di chiedere protezione internazionale nel nostro paese, come invece esplicitamente previsto dalla normativa europea. Il diritto di asilo in questo modo viene completamente calpestato".

La questione è stata sollevata anche da un'interrogazione presentata in Parlamento dal senatore Luigi Manconi, che, nel chiedere chiarimenti al governo su queste violazioni, ha ricordato l'articolo 13 della Costituzione, secondo cui

"La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto".

Secondo il rapporto redatto da Medici Senza Frontiere sul centro di Pozzallo, il Cpsa "si presenta in uno stato di deterioramento progressivo e necessita di lavori di manutenzione che fino ad oggi, nonostante le molteplici segnalazioni, non sono stati eseguiti. Il centro, che ha una capienza massima di 220 persone, si trova spesso a rispondere all’arrivo di numeri molto più alti, senza garantire un’adeguata separazione tra individui di diverso sesso, e una protezione adatta alle persone vulnerabili. Gli ospiti del Cpsa riferiscono spesso di non possedere l’informativa legale. I beneficiari del centro non hanno, inoltre, la possibilità di uscire o chiamare i propri familiari, a causa della mancanza di accesso a linee e schede telefoniche".

Nell'hotspot – già attivo – di Lampedusa la situazione non è migliore, tra situazione igienica al collasso, persone che dormono fuori e incuria generalizzata. Come denuncia un collettivo attivo sull'isola, "le schede telefoniche non vengono distribuite regolarmente e il cibo all'interno dell'hotspot è di pessima qualità per cui molti dei migranti cercano di comprare/chiedere del cibo all'esterno del centro. I vestiti che la Misericordia dà in dotazione a chi vive nell'hotspot non sono sufficienti". Un altro problema pratico "è il cambio dei dollari in euro. Sull'isola non c'è la possibilità di cambiare valuta e alcune volte avvengono vere e proprie truffe con tassi di cambio da strozzini da parte di privati".

Ma c'è un altro punto. La nuova procedura degli hotspot prevede identificazioni e registrazioni veloci, a costo di usare la forza, così come ha chiesto l'Unione europea nel suo sollecito. Le associazioni lamentano che questo spesso si tramuta in interviste sommarie effettuate dalla polizia per distinguere i candidati a richiedere la protezione dai migranti economici – che vanno rimpatriati. Interviste fatte, il più delle volte, a persone appena sbarcate, sopravvissute a viaggi indicibili. Secondo Lorenzo Trucco, presidente dell’Asgi, ormai sono centinaia i casi di cosiddetti "respingimenti differiti": "persone sbarcate sulle coste siciliane, spesso ancora traumatizzate dal viaggio e da quanto vissuto in Libia, sottoposte a sommarie interviste di cui non comprendono la finalità e infine oggetto di un decreto di espulsione senza che la loro situazione individuale venga minimamente presa in considerazione". Intervistato dal Redattore Sociale, Francesco Rita, psicologo di Msf, ha raccontato che subito dopo lo sbarco, al Cpsa di Pozzallo "un funzionario di Frontex fa le domande anagrafiche, a cui negli ultimi tempi ne è stata aggiunta una: ‘perché sei qui?' se la risposta è ‘per lavorare' saranno espulsi in due giorni, anche se non sanno perché, anche se non sanno cosa significa asilo, anche se sono costretti a rispondere dopo giorni di mare, in cui hanno rischiato di morire". Un sistema che, secondo alcuni esperti, rischia di diventare un "tritacarne" per i migranti, che si ingolferà ed è destinato a fallire.

Chi rifiuta l'identificazione finisce nei Cie, una realtà di cui l'Italia non potrebbe andare particolarmente fiera. Per la campagna LasciateCIEntrare, nei centri di identificazione ed espulsione inizia a verificarsi "l'effetto hotspot": "diviene il luogo dove rinchiudere in attesa di rimpatrio le persone che, appena approdate dopo essere state salvate in mare anche da navi di soccorso ‘indipendenti' come quelle di Msf, sono state evidentemente registrate, subito dopo la fotosegnalazione, come ‘Cat 2' (ingresso irregolare)". Quindi, appena approdati, i profughi vengono divisi "presumibilmente in base alla nazionalità, atteso che non viene fornita loro alcuna informativa sulla possibilità di chiedere protezione, tra ‘irregolari' e ‘ricollocabili' ovvero potenziali richiedenti asilo". Anche il meccanismo del Cie, già di per sé inumano, si irrigidisce e finisce per allargare le sue maglie.

Se questo è il quadro, il richiamo della Commissione europea ad accelerare con gli hotspot e consentire "l’uso della forza per la raccolta delle impronte e prevedere di trattenere più a lungo i migranti che oppongono resistenza" assume toni piuttosto cupi. Significa legittimare certe pratiche di restrizione della libertà personale e dei diritti di chi arriva sulle nostre coste. Se la procedura è rigida – identificazione e poi smistamento – ma le modalità possono essere "anche coercitive" pur di raggiungere il risultato, la discrezionalità diventa il metro per spingersi o meno più in là, mentre si distingue tra migranti di serie A e serie B.

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