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In Italia vivono dai 3.000 ai 15.000 apolidi: le persone che nessuno Stato riconosce

È stato presentato il report “L’impatto dell’apolidia sull’accesso ai diritti umani in Italia, Portogallo e Spagna”, realizzato dall’Ufficio Regionale dell’UNHCR per il Sud Europa. “Si stima che vi siano dalle 3.000 alle 15.000 persone apolidi o a rischio di apolidia che al momento vivono in Italia”.
A cura di Francesco Di Blasi
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Che futuro può avere una persona senza diritto all'istruzione, all’ottenimento di un’occupazione regolare o all’accesso ai regimi sanitari? È la domanda a cui cerca di rispondere il nuovo report UNHCR, che descrive l’impatto dell’apolidia sull’accesso ai diritti umani in Italia, Spagna e Portogallo. Nella definizione fornita dal diritto internazionale, gli apolidi sono persone che nessuno Stato considera quali propri cittadini. Non avendo un vincolo legale con alcuno Stato, gli apolidi non possono beneficiare della protezione garantita ai titolari di cittadinanza.

Come si diventa apolidi?

È importante non confondere l’apolidia con lo status di rifugiato, dal momento che le due condizioni fanno riferimento a quadri giuridici distinti e comportano gradi variabili di protezione internazionale. In molti casi, a differenza dei rifugiati, gli apolidi sono nati e cresciuti nel Paese in cui vivono. Le cause per le quali un soggetto è apolide sono diverse.

  • La mancata registrazione della nascita costituisce un fattore cruciale capace di esporre le persone al rischio di apolidia. In assenza di prove documentali di informazioni vitali, quali luogo di nascita e parentela, può divenire estremamente difficile individuare il legame con uno Stato e dimostrare il proprio diritto a una cittadinanza.
  • In secondo luogo i conflitti fra le norme sulla cittadinanza di Stati diversi possono rendere gli individui apolidi.
  • Anche la successione di Stati è fra le cause dell’apolidia, come è accaduto in particolare nel contesto europeo in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e della Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia. Gli Stati di nuova indipendenza hanno la giurisdizione per definire chi ha diritto alla cittadinanza: alcuni individui potrebbero non soddisfare i requisiti o essere esclusi intenzionalmente dalla possibilità di acquisire la cittadinanza, e diventare così apolidi.
  • Ostacoli amministrativi, burocratici e pratici possono inoltre determinare l’apolidia allorché gli individui che potrebbero soddisfare i requisiti non hanno la possibilità di seguire le procedure necessarie per acquisire una cittadinanza.

La popolazione apolide in Italia

Secondo i dati ufficiali, attualmente in Italia la popolazione apolide conta 822 persone formalmente riconosciute, ma si stima che vi siano dalle 3.000 alle 15.000 persone apolidi o a rischio di apolidia che al momento vivono nel nostro Paese. Molte di queste persone sono membri delle comunità rom originarie dell’ex-Iugoslavia che si sono stabilite in Italia alcuni decenni fa. Il resto della popolazione apolide è composto principalmente da persone originarie dell’ex Unione Sovietica, dei Territori Occupati palestinesi, della Cina (Tibet), di Cuba, dell’Eritrea e dell’Etiopia.

Nel nostro Paese, sottolinea il dossier, in assenza di un riconoscimento di apolidia di un soggetto, l'apolidia ricade anche sui figli dello stesso. Nei casi in cui un bambino nasce da genitori apolidi in Italia, la salvaguardia contro l’apolidia alla nascita acquisisce efficacia solo quando lo status dei genitori è già stato formalmente riconosciuto tramite una procedura di determinazione dell’apolidia, un risultato che solo una minoranza degli apolidi che vivono nel Paese riesce a conseguire per vari motivi. Pesano soprattuto la difficoltà nell’espletare le procedure burocratiche o anche semplicemente perché gli apolidi non sono al corrente di tali procedure.

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