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Gimbe: “Misure del Dpcm sono troppo deboli. Se non anticipiamo il virus andiamo dritti a lockdown”

La fondazione Gimbe lancia l’allarme: le ultime misure introdotte con il Dpcm del fine settimana sono troppo deboli. Invece di inseguire con nuovi provvedimenti i numeri dei contagi giorno per giorno, serve una strategia che sia in grado di anticipare il virus: “La non-strategia di inseguire i numeri del giorno con uno stillicidio di Dpcm che, settimana dopo settimana, impongono la continua necessità di riorganizzarsi su vari fronti, spingerà inevitabilmente il Paese verso quel lockdown che nessuno vuole e che non possiamo permetterci”, commenta il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta.
A cura di Annalisa Girardi
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Le nuove misure introdotte dal governo con l'ultimo Dpcm cercano di limitare i rischi di assembramento intervenendo sui luoghi della movida, ma toccano solo marginalmente settori dove si continuano a registrare un gran numero di contagi, come i trasporti o i luoghi di lavoro. La scelta di non mettere in campo misure più drastiche, compiuta per tutelare l'economia, potrebbe però rivelarsi una strategia troppo debole rispetto alla rapida avanzata del coronavirus. Questo l'avvertimento lanciato dalla fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario e che dall'inizio dell'emergenza ha monitorato lo sviluppo della situazione epidemiologica. L'obiettivo di rallentare la curva epidemica, sottolineano i ricercatori, è illusorio: se le misure introdotte ora dovessero avere effetto, questo non si vedrà prima di due o tre settimane e sarà comunque neutralizzato dalla vertiginosa crescita dei casi.

Andiamo ad analizzare il contesto in cui sono state approvate le ultime norme anti-contagio. Nelle ultime settimane la curva epidemiologica si è impennata ogni giorno di più e abbiamo visto gli ospedali continuare a riempirsi inesorabilmente, "come un deja-vu", sottolinea Gimbe. "La necessità di emanare due Dpcm in una settimana conferma che il contenimento della seconda ondata viene affidato alla valutazione dei numeri del giorno con la progressiva introduzione di misure troppo deboli per piegare una curva dei contagi in vertiginosa ascesa", aggiunge il presidente della fondazione, il dottor Nino Cartabellotta.

Perché non ci si può lasciar guidare dal numero giornaliero di casi nella lotta contro il virus

Secondo Gimbe, quindi, lasciare la guida della lotta al virus ai numeri del giorno, modellando su questi le varie misure di contenimento da introdurre, costituisce una "non-strategia". Non verrebbero cioè considerate le dinamiche dell'epidemia, che sono molto diverse da quelle della prima ondata, facendo sì che l'importante ascesa dei contagi vanifichi gli effetti dei provvedimenti approvati. Questo perché, in primo luogo, i numeri che vengono riportati quotidianamente dal bollettino della Protezione Civile non rispecchiano affatto i dati giorno per giorno: infatti, dal contagio alla notifica di avvenuta infezione trascorrono in media 15 giorni. Il tempo mediano tra inizio dei sintomi e diagnosi è circa di tre giorni, ma questo potrebbe anche allungarsi considerando i tempi di analisi in laboratorio e quelli che ci vogliono per la refertazione. Questo almeno per quanto riguarda le persone con sintomi. Per gli asintomatici la questione si fa ulteriormente più complessa in quanto la tempestività della richiesta del tampone dipende dall'efficacia dell'attività di testing & tracing. Inoltre, la comunicazione dei nuovi casi dalle Regioni alla Protezione Civile non avviene in tempo reale. Se si prende in considerazione il monitoraggio della fondazione per il periodo tra il 5 e l'11 ottobre, infatti, meno di un terzo dei casi è stato notificato entro due giorni dalla diagnosi. Il 54% dei casi tra i tre e i cinque giorni e il 14% oltre i sei giorni: chiaramente man mano che crescono i casi anche la macchina burocratica si vede rallentata.

Va poi considerato il fatto che la curva dei contagi ha ormai assunto il trend esponenziale. Tra il 13 e il 19 ottobre il numero degli attualmente positivi è salito da 82.764 a 134.003 (+53,7%) e il rapporto tra positivi e casi testati è cresciuto dal 6,4% al 10,4%. Questi aumenti, chiaramente, si riflettono anche sul carico per gli ospedali: i pazienti ricoverati con sintomi nell'ultima settimana sono aumentati da 4.821 a 7.676 (+59,2%) e quelli in terapia intensiva sono passati da 452 a 797 (+76,3%). Oltre a un progressivo aumento della letalità, alcune Regioni iniziano anche a segnalare situazioni di sovraccarico che potrebbero presto farsi critiche. Inoltre, l'affanno del sistema di tracciamento dei contatti aumenta la possibilità di sottostimare i casi che realmente abbiamo in Italia, in quanto l'espansione del bacino di asintomatici non isolati accelera ulteriormente la diffusione dell'infezione. Per tutte queste ragioni, sottolinea Gimbe, gli effetti delle misure restrittive che potremo valutare tra due o tre settimane saranno neutralizzati dal trend di crescita esponenziale della curva epidemica.

"Oggi dobbiamo anticipare il virus. Inseguire i numeri del contagio non è una strategia"

Un secondo passo di questa "non-strategia" adottata dal governo nella lotta contro il virus secondo Gimbe è il mancato allineamento tra le misure degli ultimi due Dpcm e quanto previsto dalla circolare del 12 ottobre del ministero della Salute e dell'Istituto superiore di sanità. Nel documento, infatti, vengono delineati quattro possibili scenari di evoluzione dell'epidemia: si indicano diversi livelli di rischio e vengono allo stesso tempo segnalate delle relative misure da attuare in vari settori. "Considerato che diverse Regioni sono ormai nella fase di rischio alto/molto alto, è inspiegabile che le misure raccomandate non siano state introdotte dal nuovo Docm, che ha seguito le indicazioni del Comitato tecnico scientifico, né attuate dalle Regioni, che hanno partecipato alla stesura del documento", commenta Cartabellotta.

La terza componente, infine, secondo Gimbe è il mancato approccio di sistema basato su responsabilità e alleanza tra politica e cittadini, oltre che sull'efficienza dei servizi sanitari. "Numeri a parte, il contenimento della seconda ondata doveva inevitabilmente poggiare, già alla fine del lockdown, su tre pilastri integrati: massima aderenza della popolazione ai comportamenti raccomandati, potenziamento dei servizi sanitari territoriali e ospedalieri, e collaborazione in piena sintonia tra governo, Regioni ed enti locali", ribadisce il presidente della fondazione. E ancora: "Non essere riusciti a prevenire la risalita della curva epidemica quando avevamo un grande vantaggio sul virus oggi impone la necessità di misure di contenimento in grado di anticipare il virus. Tali misure devono essere pianificate su modelli predittivi di almeno due o tre settimane, perché la non-strategia di inseguire i numeri del giorno con uno stillicidio di Dpcm che, settimana dopo settimana, impongono la continua necessità di riorganizzarsi su vari fronti, spingerà inevitabilmente il Paese verso quel lockdown che nessuno vuole e che non possiamo permetterci".

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