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Fino a 9 anni di carcere per chi diffama un giudice o un politico: è polemica

Un articolo contenuto all’interno del ddl volto al contrasto del fenomeno ritorsivo nei confronti degli amministratori locali contiene l’inasprimento delle pene previste per il reato di diffamazione: diffamare un politico o un magistrato costituirebbe un’aggravante e, conseguentemente, la pena edittale verrebbe aumentata di un terzo in caso di condanna. I giornalisti rischiano fino a 9 anni di carcere. L’approvazione della norma ha scatenato un’accesa polemica.
A cura di Charlotte Matteini
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Diffamare un politico o un magistrato potrebbe costare molto caro. In un disegno di legge al vaglio della Commissione giustizia del Senato spunta un articolo che inasprisce le pene previste dal reato di diffamazione qualora a essere diffamate siano personalità della classe politica o giudiziaria. Nel testo proposto dalla senatrice del Partito Democratico Doris Lo Moro, si legge: "Art. 339-bis. – (Circostanza aggravante. Atti intimidatori di natura ritorsiva ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario). Le pene stabilite per i delitti previsti dagli articoli 582, 595, 610, 612 e 635 sono aumentate da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di un componente di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario a causa dell'adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio". L'articolo 595 è quello relativo alla diffamazione – nella versione originale era previsto l'inasprimento anche per il reato di ingiuria, poi stralciato in commissione – e attualmente prevede che chi, comunicando con più persone, offenda l'altrui reputazione è punito con la reclusione fino a un anno o con una multa da 1032 euro. Qualora l'offesa venisse arrecata a mezzo stampa, la pena prevista dall'articolo 13 della legge 47 del 1948 va da uno a sei anni. In pratica, se dovesse invece essere definitivamente la nuova norma proposta dalla senatrice del Partito Democratico Doris Lo Moro, i giornalisti che dovessero diffamare un politico o un magistrato potrebbero rischiare fino a 9 anni di carcere. L'approvazione preliminare dell'articolo 3 del ddl 1932-A, che si inserisce all'interno di un ddl volto a contrastare il fenomeno delle intimidazioni di danni degli amministratori locali, ha provocato un'accesa polemica.

ddl Lo Moro

Il senatore di Idea, Carlo Giovanardi, ha duramente contestato le votazioni che hanno portato all'approvazione del disegno di legge, sostenendo che nonostante abbia presentato numerosi emendamenti per modificare la norma al centro delle polemiche, non sono stati presi in considerazione dai colleghi parlamentari. "Siamo ai limiti dell’assurdo: i parlamentari sono già tutelati dal privilegio dell’insindacabilità delle opinioni espresse per le quali non sono, pertanto, perseguibili mentre i magistrati sono giudicati da altri magistrati. Se passasse una norma del genere non vedo con che faccia chi l’ha proposta e sostenuta potrebbe lamentarsi quando vengono accusati di essere una casta", ha dichiarato. Dello stesso avviso è Gaetano Quagliariello: "Se un giornalista diffama un cittadino la pena è quella ordinaria, se diffama un politico o un magistrato la pena viene aumentata anche della metà. Questa strabiliante trovata, che non ha nulla a che vedere con l’equilibrio fra i poteri e consiste invece in un mero privilegio che ha l’effetto di una intimidazione preventiva, è stata allegramente approvata dalla Commissione Giustizia del Senato con la fiera e quasi solitaria opposizione del movimento Idea. Dall’uguaglianza davanti alla legge si passa alla legge del marchese del Grillo: io so’ io e voi…", ha duramente commentato il senatore.

Il provvedimento è stato criticato anche dall'Ordine dei Giornalisti e dalla Fnsi. In una nota stampa diramata nella serata di ieri a firma del comitato esecutivo dell'Odg, si legge: "Da un lato si sbandiera come già realizzata l’abolizione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa, dall’altro, con un blitz, si inaspriscono le pene determinando una disparità di trattamento tra politici e magistrati, che vengono considerati cittadini di serie A, e tutti gli altri. Non può essere giustificabile la motivazione secondo cui il provvedimento nasce da una presunta tutela degli amministratori pubblici da intimidazioni, violenze o minacce finalizzate a bloccarne il mandato. Anzi in realtà si accentua il tentativo di intimidire i giornalisti limitando il diritto dei cittadini ad essere informati”.

Il relatore del disegno di legge, Giuseppe Cucca, senatore del Partito Democratico, ha cercato di calmare le acque, sostenendo che l’aggravante prevista dall'articolo in questione riguarderebbe solamente la diffamazione a carattere ritorsivo, non la diffamazione tout court. La firmataria del provvedimento nell'occhio del ciclone mediatico ha tentato di spiegare la ratio della norma presentata in commissione Giustizia: "La proposta in questione non si occupa di giornalisti e del reato di diffamazione a mezzo stampa. Incorrerebbe nell’aggravante prevista solo un privato cittadino che diffami un amministratore locale perché, magari, gli ha negato una concessione o una delibera o perché ha dato corso alla demolizione di un immobile abusivo".

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