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Come stanno davvero le cose sul taglio dei fondi al Mezzogiorno nell’emergenza Coronavirus

Mentre il governo lavora a un piano di rilancio dell’economia dopo l’emergenza coronavirus, in questi giorni sta facendo polemica una bozza diffusa dalla stampa in cui si legge che l’esecutivo sarebbe pronto a sospendere la clausola del 34% sugli investimenti pubblici e il superamento del Fondo di sviluppo e coesione: due strumenti con i quali ad oggi si è sostenuta l’economia del Mezzogiorno. Facciamo chiarezza.
A cura di Annalisa Girardi
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Il governo sta continuando a lavorare alla Fase 2, il periodo successivo alla fine del lockdown in cui si dovranno mettere in campo una serie di misure economiche volte a contrastare la crisi innescata dall'emergenza coronavirus. In questi giorni la stampa ha fatto circolare una bozza proveniente dal Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (Dipe) e intitolata "L'Italia e la risposta al Covid-19", in cui viene programmato il rilancio dell'economia. Si tratta di un documento di circa 150 pagine che presenta un piano di crescita economica e di ingenti investimenti pubblici. E che è finito al centro delle polemiche per un punto in particolare: quello in cui si propone la sospensione della quota del 34% e del criterio di riparto del Fondo sviluppo e coesione (Fsc). Ma che cosa rappresenta questa clausola? E che funzione svolge il Fsc? Facciamo chiarezza.

La clausola del 34% sugli investimenti pubblici

Nel 2016 il governo Gentiloni, nel decreto Mezzogiorno, aveva inserito una clausola che obbligava a destinare il 34% degli investimenti pubblici nel Sud Italia. Una quota proporzionata alla popolazione residente con l'obiettivo di colmare il divario di flussi di capitale pubblico tra le Regioni meridionali e quelle del Centro Nord. Infatti, sebbene la popolazione residente nel Sud del Paese sia il 34% di quella totale, quest'area ha in media ricevuto circa il 26% delle risorse pubbliche. Questa condizione era rimasta tuttavia sul piano teorico fino all'ultima legge di Bilancio, approvata nel dicembre 2019. Uno studio dell'Agenzia per la coesione territoriale aveva sottolineato che la clausola avrebbe aumentato di circa 1,6 miliardi di euro all'anno gli investimenti destinati al Meridione.

Il decreto varato dal governo Gentiloni prevedeva un "criterio di assegnazione differenziale di risorse" che assicurasse ad Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna un "volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento". Facendo riferimento ai dati Istat, questo corrisponde appunto al 34% degli stanziamenti.

Nel 2018, secondo quanto riportato dai Conti pubblici territoriali, le risorse della Pubblica amministrazione centrale destinate al Sud è stata circa del 28%, mentre per il Centro-Nord è arrivata al 71,6% nonostante la popolazione in queste Regioni sia il 65,6% del totale. Nel 2018 gli investimenti ordinari sono stati del 27,6%. Secondo lo schema con riferimento alla popolazione, nel Mezzogiorno sarebbero dovuti arrivare 9,5 miliardi di euro. Tuttavia in quell'anno si sono contati 6,2 miliardi di investimenti pubblici. Le differenze sono ancora più evidenti se si considera in questo senso la spesa pro-capite. Nel settore sanitario, lo Stato spende 168 euro di differenza tra un cittadino della provincia di Bolzano e uno calabrese.

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione

Il Fsc inizialmente si chiamava Fondo per le aree sottoutilizzate: è lo strumento attraverso il quale il governo effettua investimenti nelle zone meno sviluppate del Paese. Il Fondo è sostenuto da risorse nazionali aggiuntive che si vanno a sommare a quelle ordinarie e a quelle comunitarie e nazionali di confinanziamento e si pone l'obiettivo di favorire la ripresa della produttività in determinati territori. L'ammontare degli stanziamenti dedicati al Fsc viene stabilito nella legge Finanziaria annuale: è poi compito del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) assegnarle ai diversi settori e alle diverse aree geografiche.

Nel sito del governo si legge:

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020 è stato da ultimo ulteriormente rifinanziato dalla legge n. 160 del 27 dicembre 2019, recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e il bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. L’importo totale del rifinanziamento è pari a 5.000 milioni di euro distribuiti su 5 anni (dal 2021 al 2025). Con tale ulteriore somma, la dotazione complessiva del FSC per il periodo di programmazione 2014-2020 sale a 68.810 milioni di euro.

La denuncia dei parlamentari meridionali

La questione è stata messa in evidenza dal deputato di Messina, Pietro Navarra, che insieme ad altri parlamentari provenienti dalla Regioni del Mezzogiorno ha inviato una lettera ai ministri competenti in cui si richiede che le risorse dei fondi strutturali rimangano nel Meridione e che resti in vigore la clausola del 34%. I parlamentari del Sud definiscono "ingiustificate" le proposte di superamento dell'attuale ripartizione del Fsc, che destina l'80% del fondo al Mezziogiorno e il 20% al Centro Nord, e di sospensione della norma per cui il 34% di stanziamenti in conto capitale della Pa vadano destinati al Sud.

I parlamentari, inoltre, ricordano quanto emerge dai dati dei conti pubblici degli ultimi dieci anni: "Un trasferimento dalle Regioni meridionali a quelle del Centro-Nord di circa 4 miliardi all'anno di risorse ordinarie in conto capitale per una perdita complessiva di oltre 40 miliardi nel decennio", si sottolinea in ragione della differenza tra la percentuale di popolazione e quella di risorse pubbliche destinate al territorio. L'arretramento infrastrutturale del Mezziogiorno, appare quindi come l'effetto inevitabile del taglio di risorse per la spesa in conto capitale.

"Riteniamo doveroso chiedere al nostro partito e ai suoi rappresentanti al Governo di salvaguardare la ripresa del Mezzogiorno, un territorio che dovrà recuperare non solo gli effetti negativi dovuti all’emergenza sanitaria di questi ultimi mesi, ma anche un divario economico, sociale e infrastrutturale ereditato dal passato e in buona parte frutto di scelte politiche sbagliate che hanno sottratto ingiustificatamente risorse alle imprese, alle famiglie e ai lavoratori delle aree più deboli del Paese", conclude la lettera.

La replica del Dipe

La risposta del Dipe è arrivata per bocca del senatore pentastellato Mario Turco, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alla programmazione economica e agli investimenti. "Si tratta solo di una bozza di lavoro propedeutico ad uno studio del Dipe, ancora incompleta e non terminata, a natura ricognitiva di proposte preesistenti, non definitive e alcune di esse superate. Tale bozza non è stata ancora sottoposta, proprio perché ancora incompleta, al vaglio dell’autorità politica", ha scritto Turco in un post su Facebook.

Il senatore ha rimarcato che la soluzione alla crisi economica derivata dal lockdown non sia certo da cercare nelle norme che tutelano il Mezzogiorno. "È inopportuno creare contrapposizioni futili all'interno del Paese", ha aggiunto, affermando come oggi più che mai l'Italia abbia bisogno di unità per sostenere la ripresa economica. "Ecco perché è impensabile sospendere la clausola che destina il 34% delle risorse dei Fondi Ordinari per la spesa in conto capitale al Sud, così come il criterio di ripartizione dei fondi Fsc. Da ultimo, tutte misure che sono state rafforzate proprio per garantire una maggiore equità territoriale", ha concluso.

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