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Brusca in un video di 5 anni fa: “Chiedo scusa a familiari delle vittime, a cui ho creato dolore”

In una video intervista di 5 anni fa, pubblicata in esclusiva dal Corriere della Sera, Giovanni Brusca dichiarava: “Ho cercato di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia”. Cosa Nostra è “una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un’agonia continua”.
A cura di Annalisa Cangemi
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La liberazione del boss di Cosa nostra Giovanni Brusca, uscito dal carcere dopo 25 anni per aver collaborato con la giustizia per importanti inchieste di mafia, continua a far discutere. Il boss di San Giuseppe Jato è uno degli esecutori materiali della strage di Capaci in cui venne ucciso il giudice Falcone. Lo scorso 31 maggio ha lasciato il penitenziario di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna.

In una videointervista rilasciata 5 anni fa, pubblicata in esclusiva da ‘CorriereTv', diceva: "Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito. Ho deciso per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell'anima (che è nata l’intenzione ndr) di farlo, di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere". 

"Ho cercato di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia. E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana. Perché consente di mettere fine a questo, Cosa nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un'agonia continua". 

La pm che lo interrogò: "Mi tese la mano, la rifiutai"

In un'intervista a ‘la Repubblica' Franca Imbergamo, ex pm della Procura di Palermo oggi sostituto della Procura nazionale antimafia che segue il "dossier Brusca" racconta il suo primo incontro con Brusca: "La prima volta che l'ho interrogato c'erano ancora tanti dubbi sulla sua collaborazione, era stato arrestato da poco. Giovanni Brusca mi tese la mano, io mi rifiutai di dargliela. Era il 1996. Venticinque anni dopo, invece, risponderei a quel saluto. Brusca è un uomo che ha avviato un percorso di ravvedimento. E non lo dico io, ma le tante persone che lo hanno seguito in questi anni", ha raccontato al giornalista di Repubblica Palermo Salvo Palazzolo.

"Bisogna innanzitutto dire che ha lasciato il carcere perché ha finito di scontare le condanne che gli erano state inflitte dai giudici che si sono occupati di lui – sottolinea -. In tutti i processi, sono state riconosciute a Brusca le speciali attenuanti previste per i collaboratori di giustizia che danno un contributo ritenuto attendibile e importante".

E in merito alle polemiche sulla scarcerazione afferma: "Ho grande rispetto per il dolore dei familiari. Ma vorrei che non si dimenticasse che lo strumento dei collaboratori di giustizia ha consentito di assestare colpi determinanti alla Cosa nostra delle stragi, che è stata quasi del tutto smantellata". Per Imbergamo "la legge sui collaboratori può essere di sicuro migliorata, come sarebbe auspicabile il rafforzamento del servizio centrale di protezione, soprattutto per controllare i collaboratori di giustizia in libertà".

Il fratello del piccolo Di Matteo: "Non potremo mai perdonarlo"

"Non possiamo perdonare Brusca, a noi non ha mai chiesto scusa, ma se anche lo facesse non lo scuseremmo comunque. Uccidere un bambino innocente a quell'età, che nemmeno si poteva difendere, è un crimine orrendo". Lo ha detto all'Agi Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il ragazzino fatto strangolare per ordine di Giovanni Brusca il 12 gennaio 1996 in contrada Giambascio, a San Giuseppe Jato (Palermo). Il bambino, prima di essere ucciso, è stato recluso per oltre due anni: era stato fatto rapire da Brusca perché figlio del pentito Santino Di Matteo.

"Non ci aspettavamo che facessero male a un bambino – prosegue il quarantenne Nicola Di Matteo – non potevamo pensarlo. Giovanni Brusca ha mangiato a casa nostra, io e mio fratello eravamo piccolini e lo vedevamo con nostro padre. Come abbia potuto fare quello che ha fatto a Giuseppe io veramente non lo so. Quindi nessuno mi chieda di perdonarlo". Il giorno in cui fu rapito, il 23 novembre 1993, ricorda, "ero a casa con mio fratello, abbiamo pranzato insieme, poi lui è uscito e non si è ritirato più".

Il rapporto col genitore pentito è buono, però "con mio padre non parlo mai di questa storia, ho avuto un po' di rabbia verso di lui perché frequentava e aveva rapporti con queste persone e grazie a lui si è verificata questa situazione. Non posso perdonare sia da una parte che dall'altra anche se mio padre ha aiutato lo Stato e lo Stato ha fatto questo regalo a Brusca".

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