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Opinioni

Perché l’abbandono di Grasso è un colpo tremendo per Renzi

Il Presidente del Senato ha lasciato il gruppo parlamentare del Partito Democratico, assestando un colpo durissimo non solo alla figura “da statista” di Gentiloni e a quella di garanzia di Mattarella, ma anche al progetto di medio termine di Matteo Renzi.
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La decisione di Piero Grasso di lasciare il gruppo parlamentare del Partito Democratico, per passare al gruppo Misto del Senato, è stata la conclusione più significativa del percorso che ha portato all’approvazione della nuova legge elettorale. Sono state tante e tali le storture nell’approvazione del Rosatellum bis (l’abuso del voto di fiducia è solo quella più grave), da convincere anche un uomo restio a gesti eclatanti come Grasso a ufficializzare prima del tempo l’addio al Partito Democratico, aggiungendo un ulteriore preoccupazione all’elenco, già piuttosto nutrito, di Matteo Renzi. "Una violenza", la scelta di blindare con la fiducia una legge elettorale discussa nell'altro ramo del Parlamento, che lo ha portato a una scelta forte.

Quello di Grasso non è un abbandono come gli altri. No, decisamente in politica, e in questa fase, uno non vale uno. Dal punto di vista istituzionale lo strappo è di quelli significativi ed è un messaggio chiarissimo anche al Presidente della Repubblica, la cui presenza non è mai stata avvertita in mesi di maggioranze ballerine, fiducie allegre, cambiamenti di prassi istituzionali consolidate, provvedimenti a fortissimo rischio incostituzionalità. La seconda carica dello Stato che sbatte la porta dopo l’approvazione della legge elettorale e prima della firma di Mattarella non è e non può essere derubricato a fatto minore.

La scelta di Grasso, che in questi mesi ha gestito l’Aula applicando il buonsenso (e certo, il regolamento) senza scavare solchi con l’opposizione dura e pura (vero, Boldrini?), certifica poi la “peculiarità” del percorso parlamentare del Rosatellum, smontando la ricostruzione renziana, volta a rivestire di “normalità e legittimità” l’apposizione di 8 questioni di fiducia e l’approvazione in tempi record di un cambiamento alle regole del gioco così radicale e così impattante per il futuro del paese.

Infine, c’è il punto politico. Grasso non solo è diventato di colpo il leader in pectore della sinistra italiana (che avrebbe un nome forte e non marginale da spendere alle politiche), ma rappresenta una perdita importante nello scacchiere renziano. Il progetto a medio termine di Renzi resta quello di presentare il Partito Democratico come unica alternativa al populismo (unico “argine”, per l’esattezza), costruendo una forza in grado di contendere a Forza Italia il voto moderato di centrodestra e di svuotare completamente il bacino centrista. Una operazione complicata, certo, ma anche la sola possibile considerando le simulazioni e i flussi di consenso elettorale, che mira a ricostruire la galassia del Sì al referendum (13,4 milioni di voti, non dimentichiamocelo). In questo contesto, politici come Grasso, apprezzato da una certa tipologia di elettorato (peraltro la più abituata a recarsi alle urne con regolarità), rappresentavano una garanzia, specialmente per quell’elettorato "moderato di sinistra", che non ha voluto seguire Bersani e i suoi ma che al tempo stesso non digerisce l'aggressività dei renziani e i modi poco ortodossi del loro agire politico. Il Presidente del Senato avrebbe poi potuto rappresentare l'ultimo "link" utile con l'area di sinistra nel caso di una "quasi vittoria" alle politiche del 2018. Nello scenario (complesso, a dire il vero) in cui il PD avrebbe la possibilità di governare senza ricorrere alle larghe intese ma con un "aiutino da sinistra", infatti, Grasso avrebbe potuto rappresentare un nome su cui puntare, in alternativa a Paolo Gentiloni, che resta comunque il nome perfetto per le larghe intese che (quasi certamente) verranno.

[PS: Certo, c'è sempre lo scenario radicalmente alternativo. Che non è solo quello che considera "politicamente irrilevante" l'abbandono di Grasso. Ma è anche quello che vede un Renzi indisponibile ad accettare l'esito scontato del "pareggio elettorale", che comporterebbe altri 5 anni a galleggiare come leader del PD provando a "influenzare" Gentiloni (o chi per lui) dall'esterno. In tal caso gli strappi, le forzature e le rottamazioni sarebbero semplicemente l'anticipazione del nuovo "all in" di Renzi, che si formalizzerà con un programma e una campagna elettorali al limite e decisamente più aggressivi della precedente. Anche perché farla meno incisiva di quella di Bersani nel 2013 sarebbe difficile…]

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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