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Niente processo per i writer: ingiusto il carcere per chi imbratta i muri

Un giudice milanese, Alberto Carboni, della sesta sezione penale del foro di Milano, ha sollevato un’eccezione di costituzionalità relativa al reato di imbrattamento, che a differenza del depenalizzato danneggiamento prevede il carcere: “È certamente irragionevole e arbitraria la decisione di sanzionare più severamente le condotte che cagionano un’offesa meno grave (deturpare e imbrattare) rispetto a quelle che pregiudicano il medesimo bene giuridico provocando un nocumento maggiormente significativo (distruggere, disperdere, deteriorare, rendere in tutto o in parte inservibile)”.
A cura di Charlotte Matteini
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Merita il carcere un writer? A rispondere a questa domanda è chiamata la Corte Costituzionale, che dovrà chiarire se la pena prevista dall'articolo 639 del codice penale per il reato di imbrattamento è proporzionata e non violi, invece, il principio costituzionale sancito dall'articolo 3 della carta che stabilisce che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Il tema specifico è stato sollevato dal giudice Alberto Carboni, della sesta sezione penale del foro di Milano che, nell'ambito di un processo per imbrattamento che vede imputato un trentatreenne per aver deturpato alcuni muri di diversi palazzi privati siti nella zona tra via Pezzotti e via Boifava, ha sollevato un'eccezione di costituzionalità chiedendo alla Corte di esprimersi riguardo la proporzionalità della pena prevista dal codice penale.

Per questo motivo, un procedimento penale simile, avviato contro un trentenne milanese accusato di aver imbrattato con vernice spray una serranda sita in viale Bligny, pendente sempre al tribunale di Milano, è stato rinviato al prossimo 17 giugno, in attesa delle valutazioni della Consulta. Secondo il giudice Carboni, a causa della depenalizzazione del reato di danneggiamento, intervenuta per decreto nel 2016, al momento nel nostro ordinamento giudiziario sarebbe presente un evidente paradosso: nonostante il reato di danneggiamento sia più grave rispetto a quello di imbrattamento, al momento il primo è depenalizzato e dunque punibile al massimo con una sanzione pecuniaria, mentre per il secondo la pena prevista è il carcere da uno a sei mesi. Nell'ordinanza redatta da Carboni, nella quale sostanzialmente il giudice chiede alla Consulta di dirimere la questione, si legge che "è certamente irragionevole e arbitraria la decisione di sanzionare più severamente le condotte che cagionano un'offesa meno grave (deturpare e imbrattare) rispetto a quelle che pregiudicano il medesimo bene giuridico provocando un nocumento maggiormente significativo (distruggere, disperdere, deteriorare, rendere in tutto o in parte inservibile)". Se la Consulta dovesse accogliere l'eccezione di costituzionalità mossa dal giudice milanese, i processi per imbrattamento aperti potrebbero chiudersi con l'applicazione di una multa tra i 100 e gli 8mila euro, senza però andare a intaccare la fedina penale dell'accusato.

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