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Le canzoni napoletane più belle dedicate alla mamma

Da Renato Carosone a Nino D’Angelo, da Mario Merola a Pino Daniele. La canzone napoletana classica, la sceneggiata ma anche il moderno sound partenopeo moderno: la mamma (anzi ‘mammà’) è la protagonista assoluta di molti celebri testi “made in Napoli” ancor oggi apprezzate e cantate in tutto il mondo.
A cura di Redazione Napoli
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La canzone napoletana tradizionale e la canzone napoletana moderna sono ricche di riferimenti alla mamma. La madre è vista come elemento di affetto unico, incondizionato e inimitabile, come nostalgia delle origini e del tempo passato. Come riferimento quasi religioso (se si pensa alla "Mamma Schiavona", la madonna nera, la madre di Cristo). Tantissime le canzoni nate a Napoli, in dialetto partenopeo e dedicate a mammà. Abbiamo voluto selezionare qui alcuni testi, forse meno noti degli altri.

Io mammeta e tu

«Io, mámmeta e tu, passiammo pe' Tuledo, nuje annanze e mámmeta arreto». Io, tua madre e tu. Un classico, interpretato magistralmente da maestri come Domenico Modugno e Renato Carosone e scritto anche da Riccardo Pazzaglia (attore poco ricordato ma assolutamente geniale sia nel volto che nella penna). L'hanno rifatta decine di artisti, da Massimo Ranieri a Gigi D'Alessio. Ma la voce insinuante e allegra di Carosone è qualcosa di unico, irripetibile. È divertentissima ed è diventata un modo di dire. Quando a Napoli si dice «io mammeta e tu…» significa che c'è qualcuno di troppo.

Celebrità

«Lacrime e pene amare», lo dice il testo. C'è bisogno del fazzoletto per ascoltarla perché fa commuovere. La voce di un giovanissimo Nino D'Angelo che al culmine del suo primo grande successo di pubblico ricorda la mamma scomparsa che non può godere della celebrità del figlio. «Questa ricchezza mia non è bastata a niente / cerco il tuo calore e tu non può darmelo più».
«Mamma', tu nun ‘o ssaje, no nunn'o ppuo' sapè / l'onore ‘e chesta gloria / È dedicata a te...».

Studente

Ancora Nino D'Angelo. Stavolta il testo racconta una storia cinematografica degna di Ken Loach e della lotta del proletariato contro la borghesia: il giovane studentello squattrinato che s'innamora della ricca ragazza di famiglia importante e non sa che sua madre è cameriera proprio in quella casa.
«Chello che fa mammà / Tu nunn ‘o ssaje / Fa ‘a cameriera rinto ‘a casa toja». E lo scontro proletariato-borghesia è servito. Ma l'orgoglio è sempre per ciò che fa mamma che in silenzio si sacrifica «pe' nun me vergogna' / della mia povertà». Guardate il vecchio film, il finale è da scoprire.

Zappatore

Poteva mai mancare la sceneggiata e il suo re, Mario Merola? Assolutamente no. La faccia sofferente di Regina Bianchi su un letto che invoca il figlio degenere Mario, avvocato di successo ma sprezzante verso la famiglia di umili origini: e il dramma dello zappatore è servito. Francesco Esposito va a ‘Nuova Iorc' per richiamare il figlio ai valori della famiglia. La canzone sceneggiata di Libero Bovio è devastante. Solo il richiamo materno convince Mario che effettivamente si è comportato male perché almeno «‘O zappatore nun s"a scorda ‘a mamma». «Mamma toja se ne more, / ‘o ssaje ca mamma toja more e te chiamma?».

Comme facette mammeta

Una piccola meraviglia che l'hanno scorso ha compiuto 110 anni (celebrata da nessuno) "Comme facette mammeta" fu scritta da Salvatore Gambardella e Giuseppe Capaldo e da allora è stata cantata milioni di volte. Seconda classificata al festival di Piedigrotta, interpretata da Antonietta Rispoli al fu ‘Teatro Eldorado' di Santa Lucia, la canzone era uno storico cavallo di battaglia di Elvira Donnarumma negli anni Trenta. Il ritornello con la domanda topica è indimenticabile. E più che un omaggio alla mamma, è un omaggio alla madre di una donna evidentemente procace e meravigliosa: «Quanno mámmeta t'ha fatta, quanno mámmeta t'ha fatta…Vuó sapé comme facette? vuó sapé comme facette?». Renzo Arbore e la sua Orchestra Italiana ne fecero una versione bellissima.

Jesce Juorno

Che c'entra la mamma con questa canzone capolavoro di Pino Daniele? L'omaggio alla madre o quanto meno alla figura materna (Pino Daniele visse fin dalla tenera età con due zie che furono per lui come due mamme) è in una frase che chi è partenopeo non può non aver sentito almeno una volta. «'e guaglione s'hanna ‘mpara' addò stanno ‘e lenzòla», i ragazzi devono imparare dove sono le lenzuola fresche. Un modo per richiamare all'inizio dell'età adulta i ragazzi, per iniziare a manifestare il distacco dalla figura materna che tutto fa in casa. È un modo per dire crescerete, sta già accadendo. E sappiate quali sono i vostri ‘doveri' per dirla con Pino Daniele in Yes i know my way «Miette ‘e criature ‘o sole perché hanna sap" addò fà friddo. e addò fà cchiù calore».

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