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Opinioni

Ciro Esposito è morto. Ora bisogna scongiurare la guerra eterna fra ultras

La comunità calcistica italiana, troppo presa dai Mondiali del Brasile non si preoccupa delle profonde implicazioni della morte del tifoso napoletano. Si rischia di rendere il prossimo campionato 2014/2015 una guerra camuffata da partita di pallone. Bisogna evitarlo e per farlo non bastano Daspo e manganelli.
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 Scrivendo questo commento il tam-tam sulle condizioni di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli ferito prima di Fiorentina-Napoli si è fatto ora dopo ora sempre più cupo. «Clinicamente morto»/«il cuore batte ancora»/«vivo grazie alle macchine»/ «è morto da ore»: una danza della morte francamente insopportabile. Il pensiero va ai soli che possono capire questo dramma, ai soli che si affacciano verso questo dolore lancinante e muto, dentro questa sofferenza senza nome. Il pensiero va quindi alla famiglia, agli amici, ai compagni d'una vita. Ciro Esposito viveva a Scampia, aveva poco meno di trent'anni, un lavoro. E ha avuto una terribile sorte. In quel maledetto pre-partita della finale di Coppa Italia si sono saldate la peggiore follia e la peggiore organizzazione dell'ordine pubblico. Lo scaricabarile istituzionale su quella notte d'odio mascherata da grande calcio  c'è già stato. Ora che Ciro Esposito non c'è più, sembra di sentire una dolente ballata di Bob Dylan che vi invito ad ascoltare: "Who Killed Davey Moore" («Non dire ‘omicidio,' non dire ‘uccidere'. / Era destino, era la volontà di Dio").

È da irresponsabili rivangare in questo momento ciò che è stato. Si finisce solo per attizzare il fuoco dell'odio tra tifoserie avversarie ed è una cosa che va evitata ad ogni costo. Ma dev'essere chiaro: la vicenda Esposito non può essere un capitolo che si chiude con una morte. Occorre che la magistratura faccia celermente e con decisione il suo lavoro. È necessario  che i troppi punti oscuri di quella serata vengano definitivamente chiariti. Quella partita mediaticamente monopolizzata dalla vicenda del capo tifoso napoletano Genny ‘a carogna ora non esiste più. Ora esiste un dramma enorme. Un omicidio. E il rischio che la storia possa diventare elemento di un "martirio" da strumentalizzare per giustificare violenze e odi d'ogni tipo (tra Napoli, Roma o chiunque altro) è altissimo.
Su questa storia la ricca comunità calcistica italiana, troppo impegnata a seguire i Mondiali di Calcio in Brasile, non si è minimamente preoccupata di esprimersi. E invece Lega Calcio e club, insieme alle forze dell'ordine e al ministero dell'Interno dovrebbero occuparsi e preoccuparsi di quel che è accaduto. Non si può risolvere solo coi Daspo e i manganelli una questione che oggi assume un significato più profondo per gente che vive di «rispetto e mentalità». Che non diventi una faida eterna: che la memoria di questo giovane non sia occasione per infinite guerre camuffate da partita di pallone.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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