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Migranti, Sea Watch ancora in mare. Asgi: “Malta è ipocrita, ma il problema è europeo”

Cosa possono fare in questo momento i migranti della Sea Watch e della Sea Eye? Lo abbiamo chiesto a Paolo Bonetti di Asgi, professore di di diritto costituzionale: “Occorrerebbe un ricorso d’urgenza contro Malta alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Basterebbe che anche un solo migrante a bordo della nave presentasse questo ricorso”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Paolo Bonetti, del consiglio direttivo dell'Asgi e professore di diritto costituzionale all'università di Milano Bicocca, contattato da Fanpage.it, ci aiuta a fare chiarezza sulla vicenda che coinvolge i 32 migranti di Sea Watch, salvati il 22 dicembre e i 17 profughi di Sea Eye, recuperati in mare il 29 dicembre. Su richiesta della Commissione europea al momento Francia, Germania e Paesi Bassi, si sono dette disponibili a partecipare all'accoglienza delle 49 persone salvate dalle ong. Due giorni fa La Valletta ha autorizzato la nave Sea Watch 3 ad entrare in acque maltesi per ricevere assistenza, ma le scorte di acqua e cibo si stanno esaurendo. "La Sea Watch e la Sea Eye sono due navi tedesche, non capisco perché debbano arrivare in Italia – ha ribadito il ministro degli Interni Matteo Salvini su Radio1 – De Magistris si è detto disponibile per ospitarle a Napoli? La competenza del porto di sbarco è del ministro degli Interni e noi abbiamo già dato. Ogni sbarco è un incentivo agli scafisti per continuare il loro sporchi traffici".

Cosa succederà a questi migranti che si trovano da giorni in attesa di un porto sicuro?

La vicenda è estremamente complicata, perché dovremmo tener conto anche delle leggi maltesi e delle leggi internazionali. Noi ragioniamo con le leggi italiane, che conosciamo, ma la nave Sea Watch 3 in questo momento si trova in territorio marittimo maltese. Malta è un'isola in mezzo al Mediterraneo, che si trova effettivamente in una condizione di perenne emergenza, con i suoi 300mila abitanti. In proporzione, rispetto all'Italia, dove gli sbarchi ammontano nel 2018 a poco più di 20mila, Malta è molto più esposta. Il numero degli sbarchi per Malta è davvero un'emergenza nazionale, perché chiaramente La Valletta vive una concreta paura di essere invasa dai migranti. Un timore concreto. Esiste una zona Sar libica che non è sicura, che l'Organizzazione internazionale marittima non riconosce neppure in modo completo. In questo momento la nave si trova in acque maltesi. Il diritto allo sbarco di per sé non esiste. Esiste l'obbligo di soccorrere qualsiasi persona si trovi in pericolo in mare. Ora Malta ha dato solo la possibilità alla nave di proteggersi dai marosi e dalla violenza dei flutti, permettendo a Sea Watch 3 di mettersi al riparo avvicinandosi alle sue coste. È in sostanza un'ipocrisia, perché non significa di certo che concederà lo sbarco. Malta però non ha ratificato il protocollo internazionale di Amburgo, che autorizzerebbe tutte le imbarcazioni di passaggio, per intenderci tutte quelle che vanno da Gibilterra a Suez, a sbarcare nel porto più vicino, se si trovano in difficoltà. E il perché non ha voluto ratificarlo è chiaro. Questo protocollo per Malta sarebbe un veleno, perché tutte le navi finirebbero lì. In questo momento la verità è che Malta non è per nulla vincolata, né ha alcun obbligo di accogliere quei migranti. Il vincolo semmai è indiretto.

Cosa intende?

Malta è Stato membro del Consiglio d'Europa e come tale ha ratificato, come l'Italia, la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. Visto che queste persone da giorni sono in condizioni critiche si potrebbe configurare la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, che è il divieto di trattamenti inumani e degradanti e la violazione dell'articolo 2, il diritto alla vita. Questi migranti sono persone vulnerabili, sfuggite a torture e violenze, che dopo 14 giorni sono ancora su una nave in condizioni di sovraffollamento e di promiscuità, senza poter accedere alle cure mediche e ai generi di prima necessità.

Ci sarebbero gli elementi per dimostrare di queste violazioni?

Malta gioca sull'ambiguità: di solito fornisce acqua o benzina, assicurandosi che gli aiuti vengano forniti direttamente in mare. Di fatto non possiamo sapere con certezza quali siano i contatti tra quella nave e le autorità maltesi, ma quel che è certo è che più si protrae questa situazione più aumenta il rischio di trattamenti inumani e degradanti. Queste persone sono da giorni al freddo al gelo sul ponte di una nave. Malta sta però giocando una partita di natura politica, per ottenere ciò che è stato spacciato come una soluzione al problema della gestione dei flussi migratori al Consiglio europeo di fine giugno, e cioè il principio per cui i migranti soccorsi in mare dovrebbero essere distribuiti tra i vari Paesi. Ce l'hanno presentato come un trionfo italiano, e invece non hanno risolto nulla. La condizione per i migranti è disastrosa, ma Malta è lungimirante, e vuole lanciare un messaggio agli altri Stati europei.

Cosa intende?

È evidente. Se a Tripoli si sapesse che Malta accoglie chiunque sarebbe l'inizio della fine per l'isola. La sua popolazione verrebbe raddoppiata dagli sbarchi. Noi tendiamo a minimizzare la situazione maltese o a demonizzarla. Ma le cose stanno così. Il problema è l'Europa, perché a giugno non ha risolto nulla: lasciare in modo vago che si decida caso per caso porta a uno stallo. E nel frattempo la gente lì fuori muore assiderata.

È un rimpallo di responsabilità, ancora una volta.

Il ministero degli Esteri tedesco, interpellato dalle due ong, ha chiesto infatti a queste navi di rivolgersi al centro di soccorso libico, perché i profughi sono stati salvati in questo caso al largo del Paese nordafricano. E in queste ore il ministero tedesco sta cercando sicuramente contatti con gli altri Stati europei. Ma il principio di distribuzione non sta funzionando, perché è un non-principio, una non-norma giuridica, che non è vincolante per nessuno. Tanti giuristi lo predicano da mesi. Siamo in presenza di una lacuna del diritto internazionale. Contrariamente a quello che le due navi affermano, i Paesi non hanno l'obbligo di accogliere queste persone. C'è solo l'obbligo del soccorso in mare. E quest'anarchia è l'effetto della non tassatività dell'obbligo. Ci dovrebbe essere un'organizzazione permanente che si occupi di trovare la soluzione migliore per ogni recupero in mare, e l'approdo sicuro per ogni nave. È per questo che sono state istituite le zone Sar e i centri di ricerca e soccorso. Un anno fa da parte della Libia, uno Stato in totale caos, c'è stata la richiesta di istituire una sua zona Sar. E Italia e Malta chiaramente hanno accettato di buon grado, proprio per liberarsi di un carico di responsabilità su un'area difficile. Ma questa zona Sar legalmente non esiste, perché non c'è un centro Sar realmente funzionante e affidabile. Perché qui il problema è anche questo: che fine fanno i migranti salvati dalla Libia? Vengono messi in prigione? E per porto sicuro non si può intendere un posto dove ti torturano appena sbarchi. E tutto questo non è risolvibile, perché in Libia in questo momento i migranti sono in pericolo. E il traffico dei migranti prospera appunto anche su quest'ambiguità.

Cosa potrebbero fare i migranti sulle navi tedesche? Quali vie si possono seguire?

Per capire cosa stia succedendo occorrerebbe un ricorso d'urgenza contro Malta alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Basterebbe che anche un solo migrante a bordo della nave presentasse questo ricorso. Poi dovrebbero esserci chiaramente gli accertamenti del caso sullo stato psicofisico del singolo ricorrente. In passato anche l'Italia è stata condannata per ricorsi di questo tipo, addirittura per situazioni che si erano verificate fuori dalle nostre acque territoriali, perché la persona che aveva presentato ricorso si trovava sotto il controllo di una nave italiana.

La vicenda di Sea Watch è intrecciata anche a quella dei sindaci che in questo momento in Italia si stanno ribellando a Salvini.

Diciamo che dal punto di vista giuridico i porti non sono competenza dei sindaci. Quindi di fatto il sindaco De Magistris non può autorizzare lo sbarco al porto di Napoli. Diverso è l'aspetto dell'articolo 13 del decreto Sicurezza, quello contestato dal sindaco Orlando. La norma sull'anagrafe è incostituzionale, perché discrimina una precisa categoria, quella dei titolari di permesso di soggiorno per richiesta d'asilo, impedendo loro di iscriversi all'anagrafe ed accedere così a determinati servizi. Questa norma viola palesemente l'articolo 3 della Costituzione, e non solo va al di fuori della cornice della nostra Costituzione, ma di fatto ha delle ricadute anche sulla sicurezza, perché impedisce agli amministratori locali di conoscere residenza e numero esatto delle persone soggiornanti sul proprio territorio. Quindi è un controsenso. La questione è semmai che Orlando, da sindaco, non può direttamente rivolgersi alla Corte Costituzionale. Teoricamente potrebbe essere il cittadino straniero che subisce la discriminazione a sollevare la questione rivolgendosi a un tribunale. E poi dovrà essere il giudice a rivolgersi alla Consulta.

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