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Migranti, 150 famiglie di italiani contro i ‘porti chiusi’: vogliono ospitare un profugo in casa

Refugees Welcom Italia promuove da tre anni un modello di accoglienza in famiglia, per rifugiati e titolari di altra forma di protezione, basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini. A Roma è stato presentato il primo rapporto delle sue attività: le persone accolte in casa da cittadini italiani sono per la maggior parte titolari di protezione umanitaria (58%), seguiti da rifugiati (20%) e titolari di protezione sussidiaria (16%).
A cura di Annalisa Cangemi
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Refugees Welcome Italia, dopo 120 convivenze realizzate, 200 attivisti, 18 gruppi territoriali formati in altrettante città italiane, ha presentato oggi a Roma il primo rapporto delle sue attività e le linee guida sull'accoglienza in famiglia. Dopo i primi tre anni di lavoro dell'associazione che dal 2015 promuove un modello di accoglienza in famiglia, per rifugiati e titolari di altra forma di protezione, basato sul coinvolgimento diretto dei cittadini, è tempo di bilanci.

Delle 120 convivenze, 31 sono attualmente in corso e 8 sono diventate a tempo indeterminato. In 7 casi, dopo una prima convivenza, la persona accolta è stata inserita in una seconda famiglia. Le regioni che hanno accolto di più sono il Lazio e la Lombardia, mentre la città più ospitale è stata Roma, con ben 30 convivenze attivate. Le persone accolte sono per la maggior parte titolari di protezione umanitaria (58%), seguiti da rifugiati (20%) e titolari di protezione sussidiaria (16%): mediamente erano in Italia da quasi 3 anni al momento dell'inserimento in famiglia. Le famiglie "accoglienti" sono principalmente coppie con figli (30% delle convivenze), seguite da persone singole (28% dei casi), da coppie senza figli (23%) e da coppie con figli adulti fuori casa (11%). Il 2018 è stato anche l'anno che ha visto un boom di iscrizioni alla piattaforma come risposta alla politica dei porti chiusi: circa 150 famiglie hanno dato disponibilità ad ospitare un rifugiato nei mesi di giugno e luglio. Nei primi mesi del 2019 partiranno nuovi gruppi locali in Puglia, Campania, Umbria, Calabria, portando a 15 il numero di regioni in cui l'associazione è presente.

"Il rapporto diffuso oggi vuole essere –  ha sottolineato Refugees welcome Italia in una nota – anche una riflessione su come sia possibile promuovere su larga scala percorsi di inclusione basati su autonomia, partecipazione delle comunità, rafforzamento dei legami sociali, e come la politica possa trarre ispirazione da questo tipo di esperienze, nate dal basso, per ripensare gli attuali sistemi di accoglienza e di welfare. Da qui l'idea delle linee guida, che sono il primo tentativo in Italia di descrivere, a livello operativo, l'accoglienza in famiglia. Il documento spiega, passo dopo passo, la filosofia e la metodologia di lavoro dell'associazione: come si selezionano le famiglie, i rifugiati e gli attivisti; come si individua l'abbinamento fra rifugiati e famiglie; come si seguono e monitorano le convivenze". L'elemento di novità è che queste linee guida possono risultare utili anche al di fuori dell'accoglienza dei rifugiati: per esempio possono essere applicate per madri sole, padri separati, persone con bisogni complementari.

"Alle istituzioni e ai nostri partner del Terzo Settore chiediamo – ha detto Fabiana Musicco, presidente dell'associazione – di leggere queste pagine, studiarle, copiarle, criticarle, riadattarle: l'accoglienza in famiglia non è e non vuol essere un'esclusiva di RWI, ma un modello da reinventare costantemente alla luce dei bisogni, delle esigenze e dei desiderata dei territori dove le diverse realta' lavorano".

Fra le centoventi convivenze portate a termine, c’è anche quella di Laura Pinzani, suo figlio Riccardo, romani, e Sahal Omar, giovane somalo. "Abbiamo ricevuto tanto e riceviamo tanto da lui. Culturalmente, per noi è un arricchimento. Sahal gioca alla playstation con mio figlio, parlano, si scambiano esperienze e racconti di vita. Noi gli abbiamo dato la spensieratezza: è qualcosa che molti di questi ragazzi non hanno mai conosciuto. L’accoglienza in famiglia è un modo per permettere a Sahal, e a tanti altri come lui, di non vivere più nell’emergenza, ma di pianificare", ha raccontato Laura Pinzani.

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