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Opinioni

Miden, il nuovo romanzo di Veronica Raimo: “Quando la violenza sulle donne sonda l’abisso”

Un giorno, in una località immaginaria di nome Miden, una ragazza bussa alla porta di una coppia con un’accusa di abuso sessuale. L’accusato è il suo ex professore di filosofia. La compagna del professore aspetta un figlio. Per molti “Miden” è il primo romanzo italiano del movimento #metoo, ma Veronica Raimo precisa: “Mi occupo di letteratura, non di cronaca”.
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Sarebbe una forzatura presentare "Miden", l'ultimo romanzo di Veronica Raimo, edito da Mondadori, come il primo romanzo italiano all'epoca del movimento #metoo. Non solo perché la scrittrice classe '78, autrice de "Il dolore secondo Matteo" e "Tutte le feste di domani", ha impiegato quattro anni per scriverlo, quindi ben prima del movimento d'opinione seguito allo scandalo del caso Weinstein, ma soprattutto perché il suo romanzo cerca con ogni mezzo, lanciandosi nel mare aperto delle contraddizioni umane, di lasciarsi alle spalle il rullo compressore della cronaca. Con "Miden" Veronica Raimo prova a fare letteratura, e ci riesce, raccontando una storia basata su tre personaggi, a partire dal motivo scatenante di un congegno narrativo ben confezionato, che scorre sotto traccia senza compiacersi, lasciando emergere una scrittura ben tornita, essenziale, ironica e mai frivola.

Di cosa parla "Miden"? Un bel giorno, in questa sorta di paradiso terrestre della civilizzazione in terra, una ragazza bussa alla porta di una coppia con un’accusa di abuso sessuale. L’accusato è il suo ex professore di filosofia. La compagna del professore aspetta un figlio. Sono entrambi approdati qui da un paese straniero, e sono stati accolti nel nuovo Eden di eguaglianza e benessere, una piccola comunità laica e razionalista, solidale e inflessibile. Il professore e la studentessa hanno avuto una storia in passato. Ma è solo a due anni di distanza che la ragazza si rende conto di aver riportato un trauma da quel rapporto. La denuncia scuote la comunità di Miden. E così i tre protagonisti si ritrovano al centro di un’indagine. Amici e colleghi si trasformano in un tribunale che deciderà delle loro esistenze. E, nell’attesa del verdetto, tutte le certezze della coppia si volatilizzano, così come il futuro che sognavano per loro figlio. In questo modo, Veronica Raimo crea un mondo perfetto che poi prende a picconate. Proprio a partire dall'effetto che queste "picconate" generano sul lettore, ho posto alcune domande all'autrice di Miden. Ecco le sue risposte.

A mio avviso il personaggio più interessante di Miden è la Compagna del Perpetratore. Dentro di sé porta un tormento irrisolvibile. Come se non essere al corrente dell’abisso di un altro – il suo compagno, in questo caso – la escluda da ogni possibilità di felicità. Tutto il romanzo, in generale, è portato avanti su questa chiave: l’insondabilità dell’abisso, che forse è quello che fa sempre la letteratura. Quello che mi ha colpito è la misura della lingua che hai scelto per restituirci quest'impossibilità.

Per me il personaggio della compagna funzionava anche come voce ironica rispetto a questa “letteratura dell’abisso”. La compagna è un personaggio accidioso, invidioso, tormentato nel non poter provare un tormento vero. E parte del suo tormento è proprio quello: sentirsi esclusa dagli abissi altrui. Linguisticamente ho lavorato assecondando questo registro ironico, e anche cercando di dare forma a un altro genere di invidia. La compagna è un’aspirante scrittrice, per cui la sua lingua oscilla continuamente tra una sorta di pretenziosità stilistica e la decostruzione stessa di ciò che sta provando a scrivere. Fondamentalmente è un personaggio che conserva sempre uno scarto rispetto alle proprie aspirazioni, anche la più banale come scegliere un taglio di capelli.

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"Miden" sembra un romanzo in cui si è arrivati alla definizione del tema partendo dalla storia e non viceversa. C’è una dose di istinto da narratrice pura che sopravanza l’idea di una focalizzazione astratta del tema. È un’idea giusta?

Sì, è un’idea giusta. Infatti sono la prima a sorprendermi quando si cerca di ricondurre tutto al tema. A me interessava principalmente la storia di un uomo che viene accusato di violenza sessuale e come questa accusa potesse riverberare all’interno di una coppia. Mi piace raccontare i legami tra le persone nel momento in cui il legame perde la sua presa ed emerge l’individuo, cioè quando quel vincolo è al tempo stesso avvertito come un limite e come una forma di accanimento.

Da scrittrice con diverse prove alle spalle, come ci si sente ad aver incrociato questa storia che affronta diverse questioni (dalla relazione tra sesso e potere, alla questione femminile) così dentro lo “spirito dei tempi”?

La storia che ha ispirato il romanzo arriva da un episodio realmente accaduto a un mio amico. Quando me l’ha raccontato, vari anni fa, era chiaro che si stava attivando qualcosa dentro di me: lui parlava e io stavo già proiettando le sue parole dentro un racconto mentale. Quando scrivo, banalmente, cerco di essere interessata a quello che scrivo. Cerco di non annoiarmi. Mantenere questo livello di interesse non è per niente scontato. Nel caso di "Miden", nello specifico, mi sono sentita quasi graziata, perché nonostante ci abbia messo quattro anni a finirlo, con lunghissime pause nel mezzo e qualsiasi tipo di distrazione, ogni volta che tornavo lì, ritrovavo quel centro di interesse. Magari non avevo niente da dire al momento, ma ero ancora sedotta, il che mi bastava, potevo richiudere il file per altri mesi. In questo senso, forse, senza che ne fossi consapevole, stavo intercettando qualcosa: ciò che mi aveva colpito tanto tempo prima e mi aveva spinto a scrivere quella storia, continuava ad avere una sua risonanza, anzi mi sembrava che addirittura la risonanza si amplificasse alle mie spalle, che avesse un suo modo sorprendente di stare al mondo, come fosse un ragazzino molto più scafato di me.

Leggo molto del collegamento tra il tuo romanzo e "Vergogna" di Coetzee. Ultimamente – sarà un caso – sto leggendo diversi romanzi scritti da donne in cui è fondamentale, come nel tuo, il meccanismo della ricostruzione di un evento. Quasi come se l'autrice avvertisse il bisogno, per uscire dall’isteria della cronaca, il dover restituire le possibili ambiguità di una vicenda, le sue sfaccettature, la sospensione del giudizio. Come mai hai scelto questo meccanismo e per ottenere quale effetto?

Mi piace questa cosa che dici dell’uscire dall’isteria della cronaca, ma non so se sia una caratteristica che può mettere insieme i libri scritti recentemente da donne. Personalmente non mi sono proprio mai avventurata nella “cronaca” non tanto per sfuggirne l’isteria, ma perché non ho quell’amore per la meticolosità e per l’accuratezza storica. Quindi in qualche modo ricostruire, inventare, falsificare, spostare lo sguardo sono processi che mi interessano di più. Ovviamente si può essere isterici anche in questo.

Vorrei chiederti un’analisi del movimento #metoo, visto che molte scrittrici nel mondo hanno detto la loro, spesso prendendone le distanze.

Su questo davvero, credo che la mia analisi non aggiungerebbe nulla. Il movimento #metoo fa parte della realtà, del presente, è servito a costituire una soggettività anche politica, con tutte le sue possibili contraddizioni. Non è un tipo di comunicazione con cui mi trovo a mio agio, ma questa è un’idiosincrasia del tutto personale e non ci tengo a rivendicarla.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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