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Caso Mare Jonio

Mare Jonio, perché la direttiva di Matteo Salvini sui porti chiusi è l’ennesimo trucchetto inutile

La direttiva emanata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini per “fermare gli sbarchi” è in realtà la dimostrazione di tutte le incongruenze dell’esecutivo nella gestione degli arrivi sulle nostre coste. E, nonostante la propaganda leghista, resta un dato di fondo: non c’è alcun provvedimento ufficiale di “chiusura dei porti”.
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Come vi stiamo raccontando, da ore le 49 persone a bordo della nave Mare Jonio, battente bandiera italiana e con equipaggio italiano, sono al largo di Lampedusa, in attesa di ricevere dalle autorità italiane l’indicazione di un place of safety in cui sbarcare. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha fatto sapere di non voler permettere lo sbarco dei migranti né l’attracco della nave in un porto italiano, dicendo di aspettarsi che l’equipaggio della Mare Jonio venga arrestato. Come ha spiegato il corrispondente de La Repubblica Giorgio Ruta, che si trova tuttora a bordo, la nave della ONG aveva raggiunto un natante in difficoltà a circa 40 miglia dalle coste libiche e aveva proceduto all’intervento di salvataggio, mettendo in sicurezza i migranti. La segnalazione era giunta da un aereo di ricognizione della ONG Sea Watch e prima di procedere al soccorso l’equipaggio della Mare Jonio aveva informato la centrale operativa della Guardia Costiera italiana. In zona si era successivamente recata anche una motovedetta della cosiddetta Guardia Costiera libica, che si era poi allontanato dopo qualche minuto (non è chiaro se ci sia stata una interlocuzione fra i libici e l’equipaggio). La nave aveva così fatto rotta verso le coste italiane, ma a circa 10 miglia da Lampedusa era stata intercettata da due unità della Guardia di Finanza, che avevano intimato al comandante di spegnere i motori. Ordine disatteso, dal momento che, nella lettura del capitano, le condizioni del mare avrebbero messo in grave pericolo i naufraghi e l’equipaggio. Successivamente, la Guardia Costiera aveva concesso un “punto di fonda” a mezzo miglio dal porto di Lampedusa per ripararsi dalle onde e, poco dopo, la Guardia di Finanza era salita a bordo per una ispezione, conclusasi con un "tutto ok".

La dinamica dei fatti non è molto dissimile da altri episodi degli ultimi mesi. In questo caso, però, stiamo parlando di una nave battente bandiera italiana, con equipaggio italiano, che ora è in acque territoriali italiane. La giurisdizione è pienamente e completamente italiana, dunque. Per questo motivo acquistano particolare rilevanza le decisioni e il comportamento del ministro dell'Interno Matteo Salvini, che ha esternato a raffica, soprattutto sui suoi profili social. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è invece limitato alle solite frasi di circostanza, dicendosi certo della risoluzione della vicenda (non si veda quale altro modo ci sia, considerato che stiamo parlando di nave italiana, in territorio italiano, ovvero un Paese che rispetta il principio di non refoulement, eccetera). Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli non pervenuto, invece.

Torniamo quindi a Salvini, che ieri sera ha diramato una direttiva “per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale”.

L’obiettivo è quello di evitare “la possibile strumentalizzazione degli obblighi internazionali sanciti nelle stesse norme pattizie e la metodica violazione delle norme nazionali ed europee in materia di sorveglianza delle frontiere marittime e di contrasto all’immigrazione illegale”. In sostanza, il Viminale ci sta dicendo che qualcuno usa i trattati internazionali in maniera “strumentale”, al fine di permettere alle ONG che operano nel Mediterraneo di portare in salvo sulle nostre coste i naufraghi salvati in mare aperto. Una attività di salvataggio che, per quanto “doverosa”, dice sempre la direttiva, farebbe il gioco dei trafficanti di uomini.

Di conseguenza, compito dell’autorità di pubblica sicurezza non può che essere quello di “accertare e verificare in modo immediato se, nella situazione concreta, vi sia stata una violazione dolosa e preordinata delle norme internazionali in materia di soccorso, allo scopo di eludere le norme che regolano l’immigrazione regolare, ponendo in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica interna dello Stato costiero”. Come? Il Viminale spiega che nel caso in cui le navi delle ONG o commerciali “battenti bandiera straniera o nazionale abbiano soccorso in aree SRR (Search and Rescue Region – area di responsabilità) non italiane imbarcazioni con migranti a bordo e abbiano disatteso, in violazione del diritto internazionale del mare, le direttive delle competenti Autorità SAR, che avevano assunto il coordinamento dell’evento, effettuando il soccorso d’iniziativa e dirigendosi, poi, verso le frontiere marittime europee”, allora “non sussistono i presupposti per l’assegnazione di un place of safety in Italia”. Una decisione che troverebbe legittimità in base all’articolo 2 della UNCLOS che dice che “nel mare territoriale lo stato costiero esercita in maniera piena la sua giurisdizione legislativa ed esecutiva, su tutte le materie e su tutti i soggetti in maniera esclusiva, salvo quanto diversamente previsto dal diritto internazionale”; ma anche dalla Convenzione UN sul diritto del mare da cui deriverebbe “un potere generale di regolamentare, e se del caso di escludere, l’accesso di navi alle acque comprese fra la linea della costa e il limite delle 12 miglia marine”. Nel caso in cui un comandante, che non può non essere a conoscenza di tale quadro politico – normativo, abbia “deliberatamente condotto l’imbarcazione verso le coste italiane”, spiega la direttiva, saremmo in presenza di un “modus operandi di una attività di soccorso svolta con modalità improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello stato costiero”. E quindi? Quindi Polizia, Carabinieri, Finanza e Guardia Costiera devono impartire “le conseguenti indicazioni operative al fine di prevenire, anche a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica dello Stato italiano, l’ingresso illegale di immigrati sul territorio nazionale”. Tradotto: quella delle ONG e delle navi commerciali che portano i migranti in Italia è da ritenersi attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dunque si può impedire a tali navi di entrare nelle acque territoriali italiane e (continuare a) non indicare un POS.

Ecco, qui la direttiva diventa un po’ più “problematica”, proprio perché il ministro dell’Interno intende “legittimare” la propria condotta con una propria direttiva, che però non ha e non può avere (per fortuna) alcun valore di legge.

Inoltre, è un provvedimento ministeriale che come spiega Annalisa Camilli su Internazionale, citando il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, “tradisce puntualmente tutte le convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita ed alla integrità fisica delle persone”. Mario Morcone, del CIR, va più nel dettaglio, mettendo in evidenza anche le lacune "politiche" di una simile direttiva, che appare improvvisata e gravemente lacunosa:“È una circolare che esercita un astratto e un po’ ipocrita formalismo nell’analisi delle norme. Accetta il presupposto che i porti libici possano essere considerati sicuri e che l’attracco presso i porti tunisini e maltesi sia possibile. È una direttiva che non prende in alcuna considerazione il drammatico contesto reale. Ci si comporta come se i Paesi con cui dividiamo lo spazio del Mare Mediterraneo fossero l’Olanda, la Germania o la Svezia. Ma, evidentemente, così non è”.

La realtà dei fatti, ufficializzata dalla risposta di ministero dell’Interno e dei Trasporti ad ASGI, è che non esiste alcun decreto ministeriale di chiusura dei porti, e "non vi è alcun ostacolo giuridico opponibile alle navi delle organizzazioni umanitarie in relazione all’attracco sulle nostre coste". Soprattutto perché, come già ricordato, è la stessa legge italiana (articolo 10 del testo unico sull’immigrazione) a vietare i respingimenti dei richiedenti asilo (per non parlare del fatto che in presenza di minori si applicherebbe la legge 47/2017 che non consente né respingimenti né quote di accoglienza). Una direttiva, di Salvini o di chiunque altro, non può in alcun modo scavalcare la legge.

Il "problema" è che Salvini non riesce a dare consistenza formale alla sua propaganda dei porti chiusi. E questa direttiva serve a poco o nulla. La verità è che il governo non ha una linea e si limita a improvvisare. In un triste gioco cinico in cui, come vi spiegavamo qui, “non ci facciamo più carico delle chiamate di soccorso che giungono in area SAR libica o maltese, non coordiniamo più i soccorsi, non diamo più supporto a La Valletta, abbiamo più che dimezzato il nostro impegno nella search and rescue, non indichiamo più un place of safety e non autorizziamo il trasferimento in Italia dei migranti soccorsi dalle ONG, scoraggiando anche la presenza di navi private o mercantili commerciali”.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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