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Il Paese invecchia, i giovani scappano e la politica non guarda al futuro: ecco “l’Italia dei rancori”

L’Italia sta uscendo dalla crisi economica, i consumi crescono e la produzione industriale aumento, ma accanto a questi dati il Censis rileva che in Italia è diffuso un capillare sentimento di rancore e sfiducia che investe quella parte di popolazione che non ha avuto la possibilità di uscire concretamente dalla crisi.
A cura di Charlotte Matteini
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L'Italia si sta riprendendo dalla crisi economica, la produzione industriale cresce e supera quella tedesca e i consumi negli ultimi tre anni sono cresciuti del 4%, peccato che il cosiddetto "ascensore sociale" sia rimasto irrimediabilmente rotto e dunque la ripresa economica è accompagnata da un sentimento di rancore. A tratteggiare questo quadro è l'ultimo rapporto Censis, che evidenzia da un lato buone performance economiche per l'Italia, soprattutto la ripresa dei consumi "superflui", come le spese in parrucchieri, cosmetici e vacanze, che però vengono accompagnate da un diffuso sentimento di sfiducia. In sostanza nel corso degli ultimi anni si è accentuato sempre di più un divario tra chi è riuscito a liberarsi dalla crisi economica e la maggioranza rabbiosa che invece è rimasta indietro. "L'Italia dei rancori", la chiama il Censis: "Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore".
Come anticipato, il Censis evidenzia il malfunzionamento di quello che comunemente definiamo "l'ascensore sociale": l'87,3% degli appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile risalire la scala sociale, posizione condivisa dall'87,3% del ceto medio e dal 71,4% del ceto benestante. Tutti invece pensano che sia estremamente facile scivolare in basso nella scala sociale, compreso il 62,1% dei più abbienti.

"Senza un rinnovato impegno politico e un diverso esercizio del potere pubblico, senza la preparazione di un immaginario potente, resteremo nella trappola del procedere a tentoni, alla ventura, senza metodo e obiettivi, senza ascoltare e prevedere il lento, silenzioso, progredire del corpo sociale", si legge nel rapporto.

"Gli ultimi anni, segnati da livelli di crescita misurata in pochi o nessun punto decimale del Pil, hanno cambiato il Paese. In risposta alla recessione, la società italiana si è mossa quasi esclusivamente lungo linee meridiane, attraverso processi a bassa interferenza reciproca, con l’effetto di disarticolare le giunture che uniscono le varie componenti sociali. Le riforme dell’apparato istituzionale per la scuola, il fisco, la sanità, la difesa interna e internazionale, le politiche attive per il lavoro, gli incentivi alle imprese, il rammendo delle grandi periferie urbane, fino alle riforme di livello costituzionale, sono rimaste prigioniere nel confronto di breve termine", scrive Censis.

Censis sottolinea inoltre che il nostro Paese è soggetto a un'immigrazione a basso valore aggiunto, ovvero in Italia arrivano gli immigrati più poveri e meno qualificati. A fronte di un dato medio degli extracomunitari con istruzione terziaria in Europa pari al 28,5% (ma con punte del 50,6% nel Regno Unito e del 58,5% in Irlanda), in Italia questa percentuale si ferma al 14,7%. Nel 2016 su 52.056 nuovi permessi rilasciati dalla Ue a lavoratori qualificati, titolari di Carta blu e ricercatori, solo 1.288 erano per l'Italia, a fronte di 11.675 per i Paesi bassi. Nel corso degli ultimi anni, inoltre, si è assistito a una progressiva scomparsa delle cosiddette posizione lavorative intermedie. In cinque anni operai e artigiani sono diminuiti dell'11%, a fronte di una crescita dell'11,4% delle professioni intellettuali e dell'11,9% delle professioni non qualificate. In particolare, nell'ultimo anno l'incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci che lavorano nella "Gig economy", + 11,4%.

Il crollo della fiducia investe anche i sindacati: tra il 2015 e il 2016 Cgil Cisl e Uil hanno subito una contrazione di 180 mila tessere. Su 11,8 milioni di iscritti alle tre sigle sindacali, 6,2 milioni sono costituiti da lavoratori attivi (+0,2%) e 5,2 milioni da pensionati (-3,9%). Secondo il Censis, si manifesta quindi "l'esigenza di una maggiore inclusione da parte dei soggetti di rappresentanza verso categorie e segmenti non tradizionalmente coperti dall'azione sindacale".

"Si sono indebolite le funzioni selettive esercitate dalla politica industriale e di investimento, con uno spostamento verso interventi a pioggia con i bonus o i crediti di imposta, e con programmi orientati alla rimodulazione lineare della spesa più che al sostegno del tessuto imprenditoriale. Si sono quasi azzerate le funzioni di innervamento da parte delle amministrazioni pubbliche dei principali processi di miglioramento tecnologico, con un ritardo nella digitalizzazione della macchina burocratica divenuto patologico" e sussiste una "inefficiente dispersione dei tanti progetti di informatizzazione, con una preoccupante incapacità di fermare investimenti finiti in un vicolo cieco e con un quadro via via più incerto su come tradurre in passi concreti il riallineamento all’agenda europea. In questi anni l’innovazione tecnologica è stata il fattore propulsivo dominante ma la fiducia verso il futuro cresce tra chi ha saputo stare dentro le linee di modernizzazione, meno tra chi subisce la fragilità del tessuto connettivo e di protezione sociale".

Per quanto riguarda il capitolo giovani e laureati, i dati diffusi dal Censis sono infausti: l'Italia è penultima in Europa per numero di laureati, con il 26,2% della popolazione di 30-34 anni. La situazione è aggravata anche dal fatto che una buona quota di giovani talenti qualificati preferisce emigrare all'estero in cerca di migliori opportunità. Nel 2016 i trasferimenti dei cittadini italiani sono stati in tutto 114.512, triplicati rispetto al 2010. Quasi il 50% dei laureati italiani si dice pronto a trasferirsi all'estero soprattutto perché la retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea in Italia si aggira intorno a 1344 euro mentre altrove arriva a 2.200 euro.

Si assiste inoltre al progressivo invecchiamento della popolazione italiana: gli over 64 intanto hanno superato quota 13,5 milioni, il 22,3% della popolazione, e le previsioni annunciano che nel 2032 aumenteranno di ulteriori 3 milioni di unità e costituiranno il 28,2% della popolazione complessiva. Il fenomeno della denatalità incide notevolmente, soprattutto da quando si è ridotto l'apporto delle donne straniere. Nel 2010 il numero di nascite per le extracomunitarie era in media di 2,43, ma nel 2016 è sceso a 1,97, mentre per le italiane è di 1,26 figli per donna, ben al di sotto del tasso di sostituzione minimo di due figli per donna.

"Siamo un Paese invecchiato che fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani; impotente di fronte a cambiamenti climatici e a eventi catastrofici che chiedono grandi risorse e grande impegno collettivo; ferito dai crolli di scuole, ponti, abitazioni a causa di una scarsa cultura della manutenzione; incerto sulla concreta possibilità di offrire pari opportunità al lavoro e all’imprenditoria femminile, immigrata, nelle aree a minore sviluppo; ambiguo nel dilagare di nuove tecnologie che spazzano via lavoro e redditi; incapace di vedere nel Mezzogiorno una riserva di ricchezza preziosa per tutti", si legge nel rapporto.

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