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Il boss Pariante si pente e racconta: “Così nacque la faida di Scampia”

Dopo il boss dei casalesi Antonio Iovine un altro esponente della camorra ha chiesto di passare dalla parte dello Stato: si tratta di Rosario Pariante, capo dell’omonimo gruppo criminale attivo nella zona flegrea in provincia di Napoli.
A cura di Susanna Picone
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Il boss Rosario Pariante, capo di una cosca di Secondigliano e Scampia, si è pentito. Si tratta del secondo esponente della camorra a “saltare il fosso” dopo la clamorosa decisione di Antonio Iovine. La scelta di Pariante è stata formalizzata ieri mattina nel corso dell'udienza preliminare per il duplice omicidio Fulvio Montanino e Claudio Salierno. Pariante, 58 anni, ha iniziato a raccontare come è nata la faida di Scampia. Il boss, che vanta 30 anni di militanza nel clan del padrino Paolo Di Lauro, è stato uno dei protagonisti di quella faida. A lui spetta il compito di chiarire come è stato possibile che una zona di campagna si trasformasse in un narcoquartiere. Il pm Stefania Castaldi ha depositato i primi verbali di interrogatorio: poche pagine per ammettere le responsabilità del boss sull'omicidio di Fulvio Montanino che diede di fatto inizio a una carneficina con più di sessanta omicidi in pochi mesi. Da quel primo delitto una lunga scia di sangue bagnò infatti le strade di Scampia e Secondigliano. Montanino e Salierno erano considerati appartenenti al gruppo militare di Cosimo Di Lauro, il figlio del boss, contro il quale si scatenarono gli anziani della cosca.

I primi delitti della faida di Scampia decisi in tribunale

Il boss pentito ha parlato della scissione da Di Lauro: Pariante ha iniziato il suo racconto proprio da dove è cominciato tutto. Da quell'omicidio che ha segnato l'avvio della faida del 2004, spiegando che tutto fu deciso nel corso di un'udienza in cui era imputato. “La faida è nata in una aula di giustizia, durante lo svolgimento del processo che ci vedeva imputati. Dopo l'omicidio di Bizzarro, il clima era rovente – questa la ricostruzione del boss riportata da Il Mattino -. Venne a trovarmi Arcangelo Abete, si accomodò nel pubblico e mi guardava. Ci vollero due gesti, la mimica per siglare la decisione di uccidere Fulvio Montanino, dando inizio alla guerra: lui, Abete – ha spiegato il boss – mi mimò che avevano paura, unendo indice e medio e simulando il gesto di uno che sta per andare al Creatore”.

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