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Turchia, la polizia picchia oppositori di Erdogan: “Pugni e calci, donne trascinate per i capelli”

Arresti di massa e violenze a Istanbul contro i membri del partito di opposizione a Erdogan HDP (Partito Democratico dei Popoli), sabato scorso. La notizia, che non è stata ripresa su nessun quotidiano estero o italiano, arriva in Italia da fonti dell’HDP che raccontano di “una violenta repressione armata” ai danni della popolazione indifesa. Una giovane donna curda presa in arresto e poi rilasciata testimonia le violenze fisiche subite.
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5 settembre 2021, Istanbul
5 settembre 2021, Istanbul

La notizia non è uscita su nessun quotidiano estero o italiano. Così è come se quello che è accaduto domenica 5 settembre pomeriggio nel quartiere di Taksim a Istanbul non fosse mai successo. Nessun giornalista uomo o donna ha potuto assistere e raccontare direttamente la scena della polizia che giunge in massa per blindare l'interno perimetro dell'area, circondare chi si trova all'interno per poi compiere atti di violenza vari e decine di arresti.

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"Una violenza efferata, fisica e psicologica" di cui ci parla una giovane donna curda presa in arresto in quanto membro dell'HDP (Partito Democratico dei Popoli), principale partito di opposizione all'AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) il cui leader è anche l'attuale presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan.

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Il 5 settembre i militanti dell'HDP sono scesi in piazza al grido di "Barış yaşatır", che significa "La pace fa la vita", per protestare contro "il regime repressivo di Erdogan". "Nessuno dei manifestanti era armato, siamo scesi in piazza pacificamente, in linea con lo spirito dell'evento", esordisce Rojin, poco più che ventenne. "A un certo punto è arrivata la polizia che ha circondato tutto il perimetro del quartiere, impedendo a noi di uscire e a chiunque altro di entrare. Si sono scagliati contro di noi usando la forza bruta, in particolare contro le donne".

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La "giusta punizione" per chi si oppone al partito di Erdogan

"Sono stata presa per i capelli e trascinata via dalla manifestazione", continua Rojin. Una volta al commissariato, la giovane donna racconta di essere stata schiaffeggiata più volte da una poliziotta, "poi un poliziotto maschio mi ha preso a calci e pugni sul corpo. È questa la punizione per chi sostiene il partito contrario a Erdogan e lo fa scendendo in piazza in maniera pacifica".

L'accusa rivolta a Rojin e a chi come lei è stato arrestato sabato 5 settembre è quella di aver partecipato a una manifestazione non autorizzata e di aver promosso "incontri speciali" al fine di organizzarla. Dopo alcune ore di fermo Rojin è stata rilasciata. A causa dell'assenza di informazioni che arrivano dalla Turchia su questo evento, allo stato attuale non possiamo dire se anche quelli che erano con lei sono siano rilasciati o se qualcuno si trovi ancora in stato di fermo. Quanto agli arresti, quelli registrati sono 47 e si tratta interamente di membri o sostenitori del partito filo-curdo, progressista e pro-LGBTQ, HDP. Tuttavia, il numero reale di persone fermate e vittime di violenza da parte della polizia potrebbe essere molto più alto.

Il partito HDP rischia la messa al bando definitiva

Da anni, il partito HDP subisce una violenta repressione da parte dello Stato che potrebbe sfociare in una sua definitiva messa al bando. A giugno 2021, la Corte Costituzionale turca ha accolto l'atto di accusa per la sua soppressione definitiva: "La gamba politica del terrorismo deve essere chiusa, e non riaperta sotto un altro nome", ha dichiarato in quell'occasione il leader del partito nazionalista Mhp, Devlet Bahceli. L'HDP è infatti accusato di avere legami con il PKK, l'organizzazione politica e paramilitare dei curdi.

"Essere una donna curda in Turchia significa esporsi a violenze e attacchi di ogni genere", spiega la nostra testimone. "Noi curdi siamo visti come una minaccia e siamo costantemente vittime di razzismo e censura", continua. Secondo Rojin, il solo fatto di esprimere un ideale filo-curdo espone ad accuse di terrorismo e intimidazioni. "Ma non rinunceremo mai alla nostra giusta lotta", conclude.

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