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Tra colpi di mortaio e bambini che giocano tra le bombe: il racconto di Karim dal fronte

Karim Franceschi è l’italiano di 25 anni che è andato a combattere insieme alla resistenza curda contro i terroristi dell’Isis. Alle telecamere di Fanpage ha raccontato la sua guerra a difesa della democrazia e contro la barbarie e la follia.
A cura di Antonio Musella
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"Quando sono entrato per la prima volta a Kobane c'erano 2.000 bambini e giocavano tra i colpi di mortai, il loro parco giochi era la guerra", Karim Franceschi lo incontriamo al Centro Sociale Arvultura a Senigallia, in provincia di Ancona, da dove circa tre mesi fa partì per la guerra contro l'ISIS lasciando una lettera ai propri compagni.  Era già stato una prima volta nella Rojava, la regione ai confini tra Turchia e Siria dove ci sono i tre cantoni della resistenza curda, la prima forza di guerriglia in prima linea contro i terroristi del califfato islamico dell'ISIS. L'avevano già spiegato alle telecamere di Fanpage la sua fidanzata ed i suoi compagni, Karim non aveva resistito agli occhi dei bambini che non ricordavano più come si viveva senza la guerra. Da qui la decisione di andare al fronte: "Sai bene cosa vuol dire la guerra, perché vedi feriti in continuazione, i colpi di mortaio esplodono accanto a te, i cecchini sono ovunque e basta che tu provi a guardare il cielo ed è la fine". La guerra gliela si legge negli occhi mentre nella libreria dell'Arvultura dopo una giornata di interviste e telefonate, ci racconta cosa ha visto in prima linea, con la calma e la pazienza di chi rivive quei momenti. "Quando abbiamo passato la frontiera c'hanno portato in una casa con una parte del tetto crollato per un colpo di mortaio, era il posto dove arrivavano tutte le reclute. Il giorno dopo è cominciato l'addestramento che è durato quattro giorni, poi arma in pugno e sono andato al fronte". Gli chiediamo di descriverci cos'è l'Isis, il gruppo terrorista guidato dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi che sta seminando morte e terrore tra la Siria e l'Iraq, con il disegno cieco di imporre una dittatura islamica. "Sono dei folli – ci dice – il loro esercito è una falange di kamikaze, è come una macchina per macinare la carne dove da una parte metti le persone e dall'altra esce carne macinata". Ma Karim ci tiene a sottolineare come l'arma principale dell'Isis è la propaganda fondata su un certo rigurgito antislamico che si sta sviluppando in occidente e che è oro colato per i terroristi. "Il Salvini di turno è il miglior amico dell'Isis, se potessero lo prenderebbero nel loro ufficio propagandistico perché quello che dice lui è quello che dice l'Isis, non si può vivere in pace con chi non la pensa come te, con chi è diverso da te, c'è solo la guerra".

In molti al suo posto, forse, avrebbero perso i nervi vedendo e vivendo ciò che Karim ha visto e vissuto. Tre mesi tra i proiettili, tre mesi con i tuoi compagni che ti muoiono accanto, lui invece è tranquillo, stanco, forse, di tutta quella morte e quella devastazione che i suoi occhi hanno visto. Il suo è un racconto sempre lucido anche quando gli chiediamo se ha avuto paura: "Si molta ma se non si ha paura non si può nemmeno avere coraggio. Sentivi esplosioni in continuazione, qualche volta un mortaio colpiva la tua casa, qualche volta ti svegliavi di soprassalto di notte per un'attacco improvviso. Oltre il muro della casa del fronte c'è la morte di giorno, perché i cecchini sono pronti a sparare". Della sua esperienza Karim ci racconta l'importanza di aver capito davvero cosa vuol dire lottare per la libertà: "Ho imparato cosa vuol dire sacrificarsi per qualcosa in cui si crede, (questa sensazione) noi in Europa l'abbiamo ereditata dai nostri padri e dai nostri nonni partigiani". Le forze curde stanno difendendo i civili e l'autonomia democratica della Rojava, un governo popolare che si contrappone all'Isis nel rispetto delle differenze di genere e religiose, fondandosi sulla redistribuzione della ricchezza e sulla solidarietà. A combattere con le forze di difesa del popolo – YPG – ci sono decine di internazionali. "C'è stato recentemente anche un martire – ci racconta Karim – un ex soldato australiano che quando è arrivato ha preso come nome di battaglia ‘Sherat' che vuol dire è arrivato il leone. Prima di morire ha espresso il desiderio di essere seppellito con la divisa dello YPG".  Le forze di resistenza curde sono lo YPG ed YPJ, quest'ultima composta esclusivamente da donne. Kobane è stata liberata dalla resistenza curda in una estenuante battaglia a cui Karim ha preso parte. "Oggi Kobane è completamente distrutta, sembra Stalingrado dopo la guerra, ci vorranno anni e tantissime risorse per ricostruire la città, è arrivato il momento che il governo italiano si metta in gioco e porti qualche aiuto a quella popolazione". Ci sono diverse piattaforme per aiutare la resistenza curda in lotta contro l'Isis, una di queste è Rojava Calling a cui Karim ha fatto riferimento e che sta raccogliendo aiuti materiali e denaro da inviare a Kobane e nella Rojava. Gli chiediamo se ha intenzione di tornare a Kobane: "Non credo, ma una parte del mio cuore rimarrà per sempre con i miei compagni a Kobane e voglio fare in modo che tutto il mondo non dimentichi quella battaglia e non si dimentichi di loro". La chiacchierata finisce con altre telefonate che arrivano, in tanti lo invitano da tutta Italia per iniziative pubbliche, convegni, per raccontare la sua esperienza. Per ora Karim si gode l'affetto dei suoi compagni, della sua fidanzata, dei suoi affetti, pronto a continuare dall'Italia la sua battaglia per la democrazia e per la libertà di Kobane e della Rojava, contro la barbarie dell'Isis.

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