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Opinioni

Perché ce ne deve fregare della democrazia che muore a Hong Kong, in Russia e in Turchia

A Hong Kong una legge del governo cinese permette di arrestare tutti gli attivisti pro-democrazia. In Russia, Putin ha promosso una riforma costituzionale che lo renderebbe presidente a vita. In Turchia, Erdogan sta distruggendo l’ordine degli avvocati che si oppone alle sistematiche violazioni dei diritti civili. Se pensiamo sia tutto terribilmente lontano da noi, ci sbagliamo. Tantissimo.
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Nel silenzio dell’Occidente, ieri, la Repubblica Popolare Cinese ha approvato senza alcuna discussione pubblica la nuova legge sulla sicurezza di Hong Kong, una legge che mira, nella sua formulazione, a bloccare le attività terroristiche e di vietare gli atti di “sedizione, sovversione e secessione” e le “interferenze straniere negli affari locali”, ma che nei fatti è un modo per reprimere tutti i movimenti a favore della democrazia, che alle ultime elezioni avevano stravinto, e di arrestarne gli attivisti. Giusto stamattina, per non perdere tempo, le autorità di polizia hanno arrestato un uomo accusato di possedere una bandiera a favore dell’indipendenza di Hong Kong. Piccola nota a margine per i nostri rappresentanti istituzionali amici del governo cinese: in Cina c’è la pena di morte e ci sono i campi di concentramento, altrimenti detti Laogai, in cui sono detenuti milioni di persone.

Nel silenzio dell’Occidente, oggi in Russia si sono chiuse le urne – rimaste aperte per ben sette giorni – per votare le modifiche costituzionali proposte dal presidente Vladimir Putin. Modifiche costituzionali che permetterebbero allo stesso Putin di rimanere in carica fino al 2036. O, se preferite, a vita. Sempre in Russia, qualche giorno fa, è stato arrestato il regista russo Kirill Serebrennikov per l’appropriazione indebita di 129 milioni di rubli di finanziamenti pubblici assegnati fra il 2011 e il 2014. Caso vuole che Serebrennikov aveva assunto posizioni critiche sul ruolo della Chiesa ortodossa nella società russa e sullo stesso governo di Vladimir Putin: “Quando un giorno apriranno gli archivi del servizio di sicurezza, tutto diventerà chiaro e scopriremo chi ha dato gli ordini, chi ha inventato questo caso, chi l'ha fabbricato, chi ha scritto le denunce”, ha dichiarato il regista, che si è sempre professato innocente,  dopo la condanna. Anche in questo caso, non abbiamo traccia di alcun commento da parte del governo italiano.

Nel silenzio dell’Occidente, oggi in Turchia, migliaia di avvocati sono scesi in piazza contro la riforma promossa dal presidente Recep Tayyip Erdogan che mira a indebolire il ruolo del loro ordine. Nei fatti, dicono gli avvocati, Erdogan mira a creare un secondo ordine di avvocati fedeli al suo regime. Negli ultimi anni l’ordine degli avvocati e le associazioni che a esso si riferiscono sono state in prima linea nel criticare il governo e il presidente Erdogan per violazioni dello stato di diritto e dei diritti umani, pagando in diversi casi la loro opposizione con l’arresto. Qualche giorno fa, peraltro, la Turchia ha condannato all’ergastolo 26 persone per il fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016. In seguito al tentato golpe, stando ai numeri in possesso della stampa estera, sono stati arrestati 2745 magistrati, 2 giudici della corte costituzionale, 58 membri del consiglio di Stato, 140 membri della suprema corte d’appello, e sospesi dall’insegnamento circa 15mila docenti. Per non farci mancare nulla, oggi, il Consiglio per la radio e la televisione della Turchia controllato da membri della coalizione di governo del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha sospeso per cinque giorni le trasmissioni dei canali televisivi di opposizione, Halk Tv e Tele 1, per presunte offese alle autorità turche. Anche in questo caso, le istituzioni italiane non sembra abbiano sbattuto un sopracciglio.

Su questo triplice, assordante silenzio qualche domanda dovremmo farcela. Sull’universalità dei valori della democrazia, della libertà, del dissenso, di cui ci auto-definiamo alfieri, innanzitutto. Sulla nostra dipendenza economica, geopolitica, militare da regimi che si fanno fieramente beffe di tutto questo. Sulla nostra ignavia nel lasciare che questi regimi facciano tutto quel che vogliono per reprimere chi a loro si oppone. Sul fatto che ogni emergenza sia buona ormai per restringere spazi di libertà che solo qualche anno fa sembravano acquisiti.

Soprattutto, però, dovremmo interrogarci sul nostro, di silenzio, e sulla nostra, di indifferenza. Lasciare che accada che decine, centinaia di milioni di persone siano sempre meno libere non è senza conseguenze. E, spiacenti, non riguarda solo loro. L’onda di queste leggi e di queste riforme liberticide si propaga verso Occidente, e ci sfida, tanto più in una fase in cui anteporremmo (e abbiamo anteposto) la salute pubblica e la sicurezza a qualunque cosa, libertà compresa, democrazia compresa. Tanto più alla vigilia di una crisi economica che si annuncia devastante, e ai disordini sociali che inevitabilmente seguiranno. I tamburi della Storia hanno ricominciato a suonare. Ora, se non altro, non potete più dire di non averli sentiti.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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