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L’inferno di Gaza raccontato da Aisha, sopravvissuta ai bombardamenti: “Così qui si muore”

Contattata telefonicamente da Fanpage, una giovane palestinese sopravvissuta ai bombardamenti di Israele – Aisha Batish – ci racconta “come si vive e come si muore a Gaza”, dove l’inferno è iniziato molto prima dello scorso 10 maggio 2021. “La tregua annunciata da Hamas e Israele il 20 maggio? Chi vive a Gaza non si fida, sappiamo che presto o tardi l’incubo ricomincerà”. E non smetterà, secondo l’intervistata, finché Israele continuerà ad “occupare ingiustamente le terre dei palestinesi”.
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Gaza: quel fazzoletto di terra lungo 40 km e largo 10 che percorre la costa della Mezzaluna Fertile segnando un'interruzione forzata ai rigidi confini tracciati col righello dello Stato di Israele. Gaza, un luogo in cui il termine "pace" suona come un'idea astratta e inafferrabile e la quotidianità è segnata da attacchi missilistici, bombardamenti e violenze. Gaza, dove la vita vale poco e si può morire facendo la spesa o andando a scuola. Terra di frontiera delimitata da Israele a Nord-Est, dall'Egitto a Sud e dal Mar Mediterraneo a Ovest, Gaza ospita più di 2 milioni di abitanti, quasi tutti palestinesi. Guidata da Hamas (organizzazione militare da molti Paesi considerata come terroristica), Gaza costituisce il fulcro di tutte le sanguinose guerre con Israele. Guerre di cui sono sempre stati i civili a pagare il prezzo più alto.

"Così si vive e così si muore a Gaza"

Qui è nata e qui vive Aisha Batish, 30 anni, studentessa universitaria con un master in giornalismo, che proprio pochi giorni fa ha perso due tra le sue più care amiche. Una di loro, Hamza, si stava per laureare in medicina, ma tutti i suoi sogni sono stati spazzati via da un bombardamento nei pressi di casa sua.

Hamnza, l'amica di Aisha Batish morta durante un bombardamento a Gaza, maggio 2021
Hamnza, l'amica di Aisha Batish morta durante un bombardamento a Gaza, maggio 2021

"Così si vive e così si muore a Gaza", ci racconta Aisha tramite audio Whatsapp, con una voce stentorea che sembra provenire dall'inferno (e forse, in effetti, è proprio così). Sentirsi telefonicamente è difficile a causa della cattiva connessione che c'è a Gaza – soprattutto in questi giorni – e per via dell'assenza di elettricità salvo per quattro ore al giorno. L'embargo israeliano comporta infatti il mancato accesso degli abitanti della Striscia di Gaza a tutti i servizi fondamentali. Così Aisha, per rispondere alle nostre domande, si è servita dei messaggi audio.

"Questa tregua non potrà durare"

Nella notte (orario italiano) tra giovedì 20 e venerdì 21 maggio 2021, Israele e Hamas hanno annunciato di avere raggiunto un accordo per il cessate il fuoco del conflitto iniziato 11 giorni prima: "Ma qui a Gaza non ci fidiamo di questa tregua – afferma Aisha – al contrario sappiamo che si tratta di una mera soluzione temporanea, che non può durare".

"A Gaza si continua a vivere nella paura, molte strade e molti edifici sono stati distrutti, ci sono tanti morti e i sopravvissuti hanno un accesso gravemente limitato ai beni di prima necessità quali acqua, cibo ed elettricità". In effetti, durante quest'ultima fase della guerra  in tanti hanno perso la vita, troppi: 232 persone sul versante palestinese e 12 su quello israeliano, stando alle stime ufficiali.

Bambini all'ospedale Al-Shifa di Gaza dopo un attacco da parte di Israele, AFP
Bambini all'ospedale Al-Shifa di Gaza dopo un attacco da parte di Israele, AFP

Per Aisha, le offensive iniziate il 10 maggio 2021, cioè dopo il lancio di missili da parte di Hamas verso Israele e la contro-offensiva dello Stato governato da Benjamin Netanyahu, non hanno fatto altro che peggiorare una situazione che già prima era insostenibile. "L'occupazione israeliana ha reso la nostra vita un inferno, e questo era vero già prima del 10 maggio", spiega. Negli ultimi dieci anni abbiamo vissuto tre guerre e le politiche repressive di Israele ci impediscono di viaggiare e di condurre una vita dignitosa. Non abbiamo abbastanza scuole, non abbiamo abbastanza ospedali, mancano insegnanti, dottori e medicine. Tutta la mia vita è stata segnata da questa occupazione".

Una prigione a cielo aperto

"Occupazione, non conflitto", sottolinea a più riprese Aisha Batish negli audio. C'è una netta differenza di toni, nel suo racconto lungo una ventina di minuti: la sua voce sembra risolversi in un sussurro ogni volta che descrive le atrocità che si vivono a Gaza ("Bisogna venire qua per capire, per sentire la paura, to feel the fear", afferma pianissimo), ma quando si riferisce a Israele il tono e l'inflessione cambiano drasticamente. Raduna tutte le forze, o almeno così ci sembra, per scandire a chiare lettere il termine "occupazione". Come a dire: "Potrei anche morire domani, ma questa cosa devo urlarla: si tratta di un'occupazione, di un'ingiustizia". "Ci hanno rubato le nostre case, le nostre terre, la nostra storia, la nostra vita. Lo ripeteremo finché avremo fiato in gola: bisogna chiamare le cose col loro nome".

L'ultima cena consumata da una famiglia palestinese prima di venire uccisa da una granata
L'ultima cena consumata da una famiglia palestinese prima di venire uccisa da una granata

"Occupazione", "abuso", "espropriazione": sono i termini più usati da Aisha, ma non soltanto da lei. Sono anche quelli che costellano il lessico quotidiano della stragrande maggioranza di chi abita questa prigione a cielo aperto che è Gaza e considera Hamas come l'unica forza in campo in difesa concreta dei palestinesi, nonostante l'organizzazione guidata Ismail Haniya abbia una connotazione islamista e fondamentalista, oltre che paramilitare.

Hamas, unica forza di opposizione a Israele?

Nato nel 1987 come il braccio armato dei Fratelli Musulmani per combattere Israele  tramite attentati terroristici, Hamas ha infatti guadagnato popolarità tra i palestinesi, offrendo servizi gratuiti e assistenza sul piano sociale quando nessun altro era in grado di garantirli. Nel corso degli anni Hamas si è però macchiato di gravi episodi di violenza contro la popolazione civile israeliana, colpendo stazioni di bus attraverso attentati dinamitardi e terrorizzando gli abitanti delle città israeliane di confine.

E' possibile immaginare una resistenza palestinese senza Hamas? Esistono palestinesi che ne rifiutano il modus operandi – o quantomeno lo criticano? Secondo Aisha, in questa guerra e allo stato attuale delle cose, no. "Siamo in guerra, e allo stato attuale delle cose Hamas combatte per la nostra libertà", afferma sicura. Forse, allora, la vera domanda è: esisterebbe Hamas senza Israele?

Gaza, 16 maggio 2021, foto scattata durante le operazioni di salvataggio dopo un bombardamento di Israele
Gaza, 16 maggio 2021, foto scattata durante le operazioni di salvataggio dopo un bombardamento di Israele

"Discordia che con la religione non c'entra nulla"

"Quello tra gli israeliani e i palestinesi non è un problema religioso", continua Aisha Batish. "Il Sionismo – e non l'Ebraismo – è il nostro nemico. Noi non odiamo gli ebrei, anzi li rispettiamo e li consideriamo nostri fratelli per la storia comune che lega i nostri popoli. Combattiamo invece chi ha occupato le nostre case senza chiederci il permesso, chi ha invaso le terre che abbiamo coltivato e in cui siamo cresciuti, credendo che piantare una bandiera equivalesse a diventarne i legittimi proprietari. Da quando sono arrivati i Sionisti, siamo stati cacciati ai confini del loro nuovo Stato, non c'è stato alcun rispetto per nessuno di noi. L'occupazione ci ha rubato la vita, ci ha rubato la pace e ci ha rubato il futuro".

"Una guerra ad armi impari"

La potenza bellica di Hamas non è – secondo Aisha – paragonabile a quella israeliana. "E' un confronto impari – spiega – perché Israele oltre a godere il sostegno delle principali potenze della NATO, può contare su una disponibilità di armi vastissima. Non possiamo fronteggiarli in modo equo, però una cosa la abbiamo: la nostra causa e la fiducia in noi stessi, insieme all'incrollabile forza d'animo che la consapevolezza di essere nel giusto ci garantisce. Non combattiamo per un ideale astratto, ma letteralmente per la nostra vita e per il futuro dei nostri figli".

Abbiamo chiesto ad Aisha cosa si spera, quando si è nati e cresciuti nella Striscia di Gaza. "Spero che ci sarà permesso di condurre una vita normale, come quella che si conduce in Italia o in qualsiasi altro Paese in cui non c'è un'occupazione. Spero che un giorno potrò uscire liberamente da Gaza e girare il mondo, vedere Roma e Parigi, andare a pregare alla Mecca e visitare Gerusalemme. Spero di poter scattare una foto nella Chiesa del Khatisma e di pregare insieme alle mie sorelle cristiane. Spero che un giorno potrò sentirmi felice a Gaza, perché oggi qui nessuno lo è. Spero che le grandi potenze straniere, gli Stati Uniti e l'Unione Europea, ma anche i Paesi Arabi, facciano qualcosa per aiutare i palestinesi e che si mettano al nostro fianco".

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