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La morte di George Floyd in Usa

Kareem Abdul Jabbar dice tutto quello che devi sapere sul razzismo e sulle proteste negli Usa

L’ex giocatore di basket Kareem Abdul-Jabbar commenta quanto sta avvenendo negli Stati Uniti con le proteste nate dopo la morte di George Floyd e spiega perché il problema del razzismo negli Usa non vada assolutamente sottovalutato: “Il razzismo in America è come la polvere nell’aria. Sembra invisibile – anche se lo stai soffocando – fino a che il sole non entra”.
A cura di Stefano Rizzuti
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Non è un episodio isolato. Non è un caso di razzismo di poco conto. L'uccisione di George Floyd sotto il ginocchio di un poliziotto è molto di più. Ne è convinto Kareem Abdul-Jabbar, che in un editoriale sul Los Angeles Times spiega perché quello del razzismo negli Stati Uniti è un problema molto più grosso di quel che sembra a tanti. E spiega perché le proteste di questi giorni andrebbero viste con altri occhi, analizzate con più attenzione. Non a caso l’ex campione di basket inizia il suo lungo editoriale sottolineando le differenti reazioni di fronte alla morte di Floyd. La prima reazione di un bianco sarebbe un semplice “Oh my God”. Ma se sei nero “hai probabilmente fatto un balzo sui tuoi piedi, maledetto, forse lanciato qualcosa, mentre urlavi “non @#$%! di nuovo”. Tutto viene visto con occhi diversi, sottolinea ancora Abdul-Jabbar, così come in tanti altri casi che cita nel suo commento.

La comunità nera, prosegue, “è abituata al razzismo istituzionale nell’educazione, nel sistema della giustizia e sul lavoro. E persino se facciamo tutto ciò che serve per sollevare la questione nell’opinione pubblica e politica l’ago difficilmente si sposta”. Ma il Covid-19 avrebbe peggiorato ulteriormente la situazione perché i neri “muoiono più dei bianchi, sono i primi a perdere i loro lavori, e guardano impotenti i Repubblicani che provano a non farci votare. Mentre il viscido ventre molle del razzismo istituzionale viene esposto, sembra che la stagione della caccia ai neri sia aperta. Sei ci fossero dei dubbi, i tweet del presidente Trump stanno lì a confermare lo zeitgeist nazionale quando chiama i manifestanti criminali e saccheggiatori da sparare”.

L’ex cestista continua:

Le proteste spesso vengono usate come una scusa per qualcuno per trarne dei vantaggi, così come i fan che celebrano una vittoria della loro squadra bruciano le auto e distruggono i negozi. Non voglio vedere negozi saccheggiati o addirittura edifici bruciati. Ma gli afroamericani stanno vivendo in un edificio in fiamme da tanti anni, soffocando il fumo mentre le fiamme continuano a bruciare sempre più vicine. Il razzismo in America è come la polvere nell’aria. Sembra invisibile – anche se lo stai soffocando – fino a che il sole non entra. Poi vedi che è ovunque. Fin tanto che vediamo brillare quella luce, abbiamo una possibilità di pulire tutto. Ma dobbiamo essere vigili, perché è ancora sempre nell’aria.

Forse ora la preoccupazione della comunità nera non dovrebbe essere se i manifestanti siano a distanza o se rubano qualche maglietta o addirittura danno fuoco a una stazione di polizia, ma se i loro figli, mariti, fratelli e padri verranno ammazzati da poliziotti o aspiranti poliziotti solo per essere andati a fare una camminata, una corsa. O se essere neri significa rifugiarsi in casa per il resto delle loro vite perché il razzismo è un virus che infetta il Paese e che è più mortale del Covid-19.

Le proteste di questi giorni devono essere interpretate andando oltre il singolo episodio, per Kareem Abdul Jabbar: “Ciò che dovresti vedere quando vedi i manifestanti neri durante l’era di Trump e del Coronavirus sono persone spinte al limite, non perché vogliono bar e centri estetici aperti, ma perché vogliono vivere. Vogliono respirare”. E conclude: “Oggi, nonostante tutti i discorsi appassionati di leader ben intenzionati, bianchi e neri, loro vogliono solo silenziare le nostre voci, rubare il nostro respiro. Quindi ciò che vedi quando vedi i manifestanti neri dipende se stai vivendo in quell’edificio in fiamme o se lo stai guardando alla tv sgranocchiando pop-corn in attesa che inizi Ncis. Quello che voglio vedere non è una corsa al giudizio, ma una corsa alla giustizia” .

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