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In Grecia si muore d’austerity

Si chiamava Lougaris Ksenofontas l’uomo che, oggi, ha perso la vita negli scontri di Atene. Aveva sessantacinque anni, era disoccupato, attivista politico e la sua esistenza è stata stroncata da un infarto.
A cura di Anna Coluccino
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Si chiamava Lougaris Ksenofontas l'uomo che, oggi, ha perso la vita negli scontri di Atene. Aveva sessantacinque anni e la sua esistenza è stata stroncata da un infarto – poche ore fa – nel corso dello sciopero generale contro le misure di austerity che si è tenuto in tutta la penisola ellenica; misure che – da oltre tre anni e senza tregua – si abbattono sulle teste dell'ormai ex classe media greca, dei nuovi poveri, senza intaccare minimamente i privilegi, immiserendo i miseri, arricchendo e proteggendo i responsabili della tragedia sociale ed economica che stiamo vivendo. Ma Ksenofontas non era un pensionato, un anziano simpatizzante dei giovani ribelli che solo per caso è stato coinvolto negli scontri tra manifestanti e polizia.

Ksenofontas era un disoccupato e membro attivo del PAME (il granitico sindacato del partito comunista greco, il KKE) – come ci racconta Nikos Ntertikis, attivista greco presente oggi in piazza – un disoccupato che manifestava la propria rabbia contro un governo insensibile al dolore, piegato al volere della Troika, privo di qualsivoglia barlume di autorevolezza, responsabile della svendita della sovranità greca e del disastro finanziario che ha preparato il terreno per i grandi saldi di fine stagione; quelli che il governo greco sta allestendo con i beni comuni del penisola ellenica per far fronte a un debito contratto per sanare un altro debito.  In tutto questo, al centro di quelli che – agli occhi dei potenti – non sembrano che meri passaggi burocratici, svolte obbligate, dictat economico-politici ci sono le vite delle persone, vite spezzate come quella di Lougaris Ksenofontas.

Ecco perché è impossibile fermare le proteste, ecco perché – presto o tardi – si comincerà a fare la conta dei morti e dei feriti e non più dei semplici partecipanti, dei semplici manifestanti. Le manifestazioni pacifiche hanno un tempo limitato. Se non producono risultati – presto o tardi – chi preme per condurre gli scontri sul piano della violenza troverà crescente ascolto tra esseri umani cui non resta più nulla da perdere e che hanno deciso di provare a difendere almeno la  dignità, costi quel che costi. La protesta contro le misure di austerity va avanti senza tregue da settimane, ed è sempre più dura, così com'è sempre più aspro il confronto tra cittadini e forze dell'ordine. E a poco servono i Nobel per la Pace consegnati all'Unione Europea se è un clima d'odio e guerriglia a scandire le giornate in molte città del meridione europeo: da Madrid a Lisbona, da Atene a Roma, tutte le capitali del Sud Europa hanno già visto molteplici scontri, via via sempre più violenti, tra lo Stato e la popolazione. Sono mesi (in alcuni casi anni) che la morte aleggia sulle teste dei manifestanti a ogni singola protesta di massa.

Scorrendo l'elenco delle prime vittime della crisi, appare evidente come i più colpiti siano gli anziani e, in generale, coloro che hanno perduto il lavoro in tarda età. Spesso sono proprio loro a morire negli scontri, sono loro a compiere gesti estremi. Non sembra essere più il tempo dell'assassinio di giovani ribelli. A morire – nell'epoca della crisi economica – sono gli anziani. Spesso anziani militanticome nel caso dell'uomo che – oggi – ha perso la vita negli scontri di Atene o come nel caso dell'uomo che – lo scorso aprile – si suicidò in piazza Syntagma in segno di protesta. Oggi, in Italia, mentre un sessantaseienne moriva d'infarto durante gli scontri ad Atene, un cinquantacinquenne si dava fuoco davanti al Quirinale.  È già accaduto negli ultimi anni che degli uomini adulti o anziani perdessero la vita negli scontri a causa di malori provocati dallo stress, dai lacrimogeni, dal caos, dalla paura; così com'è capitato che qualcuno optasse per un suicidio pubblico, simbolico, un gesto capace di evidenziare l'incontrovertibile disperazione verso cui la crisi riesce a portare gli esseri umani più esposti, un punto di non ritorno oltrepassato il quale nulla sembra più valere la fatica che si fa a vivere, e sopravvivere non basta. E allora si preferisce andar via facendo più rumore possibile, nella speranza che la tragicità del gesto sproni alla lotta chi crede d'avere ancora qualcosa da perdere, e da difendere.

C'è chi muore lottando contro le misure d'austerity, chi muore per spronare gli altri alla lotta contro le misure d'austerity, chi muore in silenzio schiacciato dalla misure di austerity. Tutto questo accade quotidianamente nell'Unione Europea premiata con il Nobel. Un continente che ha sicuramente saputo mantenere quel genere di Pace che aveva più volte assassinato nel secolo scorso, ma che – contemporaneamente – lascia che l'Unione diventi teatro di un altro tipo di guerra, una guerra che non si gioca nazione contro nazione, ma governanti contro governati, potenti contro non potenti, una guerra che ogni giorno miete le sue vittime e che trova quest'Unione Europea molto attenta ai passaggi economico-burocratici e troppo poco interessata ai danni collaterali, ai drammi umani.

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