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Colombia e Italia rilanciano i rapporti commerciali ma nessuno parla di diritti umani violati

In occasione della visita in Italia di Marta Lucia Ramírez, vicepresidente e ministro degli Esteri della Colombia, alcuni parlamentari italiani hanno lanciato un appello: “Il nostro governo deve far comprendere alla vicepresidente che l’Italia non può intrattenere rapporti commerciali o istituzionali con governi che permettano l’impunità per le uccisioni di massa di persone innocenti come è avvenuto in Colombia”.
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Presidente della Colombia Iván Duque Márquez e la vicepresidente e ministro degli Esteri della Colombia, Marta Lucia Ramírez
Presidente della Colombia Iván Duque Márquez e la vicepresidente e ministro degli Esteri della Colombia, Marta Lucia Ramírez

Nei giorni scorsi la vicepresidente e ministro degli Esteri della Colombia, Marta Lucia Ramírez, ha incontrato Luigi Di Maio per rilanciare i rapporti commerciali con il governo italiano. Questo ha suscitato molte polemiche e all'inaugurazione di una strada a Roma intitolata allo scrittore premio Nobel Gabriel García Márquez presso il parco di Villa Borghese, diverse organizzazioni colombiane e italiane hanno protestato contro la continua violazione dei diritti umani da parte del governo colombiano. Il governo di cui fa parte la Ramírez è stato condannato dal Tribunale Interamericano dei Diritti Umani per gravi violazioni durante le proteste sociali pacifiche avvenute quest’anno, ma non solo. La vicepresidente è anche accusata di avere legami con il narcotraffico e per alcuni l'arresto del "signore della droga" Dairo Antonio Úsuga – conosciuto come Otoniel – non fermerà lo spaccio internazionale.

Otoniel, presunta trattativa tra Stato e narcotraffico

A Fanpage.it Sergio Guzmán, analista politico colombiano e direttore della Colombia Risk Analysis, dice: "Alcuni hanno ipotizzato che Otoniel avesse negoziato la sua cattura. Non abbiamo ancora prove sufficienti per dimostrare il contrario, quindi la versione del governo è quella che regge, per ora. È stato catturato". Le foto dell'arresto, ritraggono un boss "sereno". Alcuni militari hanno addirittura scattato un selfie con Otoniel. "Ma era tutt'altro che un capo tranquillo – spiega l'analista politico colombiano e continua – Le storie della sua crudeltà contro i nemici, i leader sociali e la popolazione sono molto diffuse".

Parlando delle accuse rivolte alla vicepresidente Ramírez, dice:

"Non penso che abbiano indagato fino in fondo, certamente non abbastanza da permettermi di commentare. È evidente che siamo ben lontani dall'affrontare i vertici più alti del narcotraffico. È uno sforzo che richiede non solo una volontà politica ma anche la collaborazione internazionale. I trafficanti di droga riempiranno rapidamente i vuoti lasciati dai capi. È evidente che Otoniel sarà sostituito da qualcun altro e questa potrebbe essere un'opportunità per altri cartelli della droga di rafforzare la loro influenza nelle aree in cui lui e il Clan del Golfo hanno il controllo".

"Questo è il colpo più duro che il narcotraffico ha subito in questo secolo nel nostro Paese ed è paragonabile solo alla caduta di Pablo Escobar", ha dichiarato, invece, il presidente della Colombia Iván Duque Márquez, ma "la sfiducia nel governo e nelle istituzioni è alta e questa vittoria è stata accolta con scetticismo", sottolinea Guzmán.

A Fanpage.it il ricercatore italiano dell'università Statale di Milano e dell'università colombiana Pontificia Universidad Javeriana, Simone Ferrari, dice: "Si può affermare con ragionevole certezza che tutta la lotta contro i narcotrafficanti è estremamente inquinata da una rete di corruzione interna al governo. In 20 anni, dal 1999 in poi quando è stata dichiarata guerra al narcotraffico (finanziata dagli Stati Uniti) i campi di coltivazione di coca sono aumentati. Nonostante tutti i miliardi investiti. Questo succede perché a livello locale o lo Stato non interviene o entra a far parte della catena del narcotraffico". Il ricercatore italiano – che dal 2016 vive in Colombia e si occupa di diritti e culture dei popoli  indigeni – spiega perché questo arresto ha suscitato alcune polemiche: "È una mossa che cade a ridosso delle elezioni dell’anno prossimo, a favore del presidente Duque. In questi anni ha perso molti consensi anche a causa della pandemia. Qualche mese fa ha represso violentemente le proteste contro la sua riforma fiscale e con l’arresto di un narcotrafficante importante può riacquistare un po' di popolarità. Anche a livello internazionale guadagna credibilità".

Per Ferrari "questo arresto non cambia sostanzialmente nulla negli equilibri del narcotraffico in Colombia e nel mondo – e continua – Le organizzazioni criminali colombiane non sono più quelle di Escobar dove esisteva una chiara struttura gerarchica. Adesso sono organizzazioni molto decentralizzate in cui ci sono più di 50 figure di comando, come nel Clan del Golfo, sparse per tutta la Colombia nelle aree dove lo Stato è assente". Secondo Ferrari "Otoniel sarà sicuramente sostituito da un’altra figura – e aggiunge – La struttura mafiosa del clan del Golfo continua a essere stabile nonostante il suo arresto".

I narcotrafficanti e l'alleanza con la ‘ndrangheta

Le accuse contro la Ramírez risalgono "all’arresto di suo fratello qualche anno fa, implicato in una vicenda di narcotraffico – spiega Ferrari e continua – Una vicenda sempre occultata dalla vicepresidente. Sicuramente arriva da una famiglia che ha avuto storicamente legami con il narcotraffico. Questo però, non vuol dire che lei sia una narcotrafficante. È giusto concederle il beneficio del dubbio". Il popolo, però, vive costantemente sotto l'oppressione di criminali mafiosi locali che collaborano con le mafie internazionali.

"Hanno un legame importantissimo con la ‘ndrangheta. In Colombia si produce la maggior parte della cocaina che viene esportata e consumata nel mondo. Per far arrivare la coca in Europa le mafie locali si alleano con le mafie italiane, ma non solo.  La ‘ndrangheta, però, rimane il principale alleato ed è presente anche sul territorio colombiano. Gli ‘ndranghetisti gestiscono il traffico sulla costa caraibica colombiana, quella che si affaccia sull’atlantico. Si occupano loro del trasporto via mare e via aerea. Vivono nelle grandi città dove maneggiano molti soldi. Ci sono anche alcuni legami familiari con i gruppi paramilitari. Il più noto è Salvatore Mancuso. Un paramilitare importantissimo di origini italiane che ha stretto legami con le mafie italiane nel corso dei decenni".

Il massacro degli attivisti per i diritti umani

Dopo cinque anni dagli accordi di pace, firmati nel novembre 2016,  il popolo colombiano paga ancora le conseguenze di un conflitto che sembra non avere fine. "A fronte dello smantellamento  del grande gruppo guerrigliero delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie) sono sorti nuovi problemi. Non tutti i guerriglieri che si opponevano al governo colombiano hanno consegnato le armi. E chi si è opposto, ha stretto alleanze con i narcotrafficanti e i gruppi paramilitari", spiega Ferrari."Tante Regioni che prima erano controllate dai guerriglieri, invece di passare sotto il controllo dello Stato, sono passate sotto quello delle organizzazioni mafiose locali in collaborazione con le grandi mafie del continente: le mafie messicane", dice.

Per la popolazione non c’è stato nessun miglioramento delle condizioni di sicurezza, anzi. "Negli ultimi cinque anni, la Colombia è il Paese dove sono stati uccisi più attivisti per i diritti umani e ambientali al mondo. E questi omicidi avvengono soprattutto in quelle Regioni dove, dopo gli accordi di pace, lo Stato ha lasciato un vuoto di potere militare riempito da organizzazioni mafiose  che agiscono senza alcun rispetto per i diritti umani", spiega il ricercatore.

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Il cooperante napoletano Mario Paciolla è stato trovato senza vita nella sua casa in Colombia il 15 luglio 2020.  Lavorava per un progetto Onu e la teoria del suicidio non ha mai convinto nessuno. "Oltre a fare accordi con la Colombia L'Italia dovrebbe anche insistere su questa vicenda ", sottolinea Ferrari.

Il governo di Duque è tanto criticato perché "lui e tutta la sua squadra sono considerati dei burattini politici di Álvaro Uribe, presidente della Colombia dal 2002 al 2010 – spiega il ricercatore e aggiunge – L'ex presidente ha alle spalle una storia di pesanti infrazioni dei diritti umani. Ha sempre agito in maniera assolutamente violenta e irrispettosa nei confronti dei contadini e delle comunità indigene. Ha ucciso tante persone e il governo attuale si ispira a lui".

"Esercito, guerriglieri, paramilitari, sono tutti uguali"

"I guerriglieri nascono negli anni '60 per sovvertire militarmente il governo e creare uno Stato comunista ispirandosi alla rivoluzione di Cuba – racconta Ferrari e continua – Nel corso degli anni tanti guerriglieri sono diventati in parte dei narcotrafficanti, non tutti. Alcuni di loro hanno capito quanto fruttava il traffico di cocaina e hanno perso la loro etica – dice e aggiunge – Se il loro obiettivo iniziale era quello di difendere il popolo, negli anni '80 hanno iniziato a compiere dei veri e propri massacri uccidendo tutti quelli che non volevano seguire i loro ordini".

"Negli anni '80 e '90 i paramilitari erano un corpo alleato illegale dell’esercito che si occupava di uccidere i guerriglieri che si opponevano allo Stato. Facevano il lavoro sporco perché l'esercito non poteva uccidere chiunque fosse sospettato di essere un guerrigliero. Dagli anni '90 in poi i paramilitari hanno iniziato a finanziarsi con il narcotraffico. Otoniel ad esempio, è un narcotrafficante con un passato da paramilitare. I paramilitari, però, esercitano anche un potere politico nelle loro aree. Controllano la popolazione e se c’è qualche attivista sociale o qualcuno sospettato di esserlo, lo uccidono.  Hanno uno statuto a metà tra il gruppo armato e quello mafioso del narcotraffico".

La Stato però, non sembra essere presente nemmeno ora: "Si è dimostrato del tutto assente o peggio corrotto e al servizio dei gruppi armati. Esistono alcune zone della Colombia in cui le persone si fidano più dei guerriglieri. Hanno costruito infrastrutture, strade e ospedali sostituendosi allo Stato. Questo non vuol dire che i guerriglieri siano migliori. Hanno commesso tantissimi massacri contro la popolazione civile – sottolinea Ferrari e conclude Per molti sono tutti uguali. Esercito, guerriglieri, paramilitari si sparano tra di loro. Si accusano a vicenda di essere complici di uno o dell’altro e il popolo è vittima di un fuoco incrociato. Purtroppo gli accordi di pace non hanno portato la pace. Chi tra i guerriglieri non ha consegnato le armi è diventato ancora più potente alleandosi con i gruppi del narcotraffico seminando ancora più terrore tra la popolazione".

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