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Opinioni

Chi è Stephen Bannon, il capo stratega di Trump che piace a nazisti e Ku Klux Klan

Suscita grande preoccupazione la nomina a capo strategia della Casa Bianca di Stephen Bannon, suprematista bianco, sessista ed islamofobo che ha costruito la campagna anti establishment di Trump. Ma che in passato ha lavorato per Goldman Sachs.
A cura di Michele Azzu
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È stato definito dal settimanale americano Bloomberg come il “più pericoloso operativo politico in America”. Al New Yorker ha spiegato nel 2014 che: “Sono un Leninista. Lenin voleva distruggere lo Stato ed è anche il mio obiettivo, voglio distruggere l’establishment odierno”. Si tratta di Stephen Bannon, il nuovo capo stratega della Casa Bianca nominato nelle ultime ore dal presidente eletto Donald Trump.

Una nomina che sta suscitando moltissime critiche, oltre che grande preoccupazione, in America e nel mondo. Perché con Bannon, Trump mette nella posizione più importante del suo entourage un suprematista bianco (chi in America sostengono la superiorità della razza), più volte accusato di antisemitismo, oltre che forte critico delle rivendicazioni femministe e fervente islamofobo.

Così, mentre la maggior parte dei media – ed anche il premier Matteo Renzi – si impegnano a spiegarci che un Donald Trump presidente sarà più moderato di quello visto nella campagna elettorale, la realtà delle prime ore dall’elezione già smentisce questa ipotesi. La presidenza Trump sarà estrema e xenofoba come la sua campagna, in cui il miliardario 70enne aveva promesso di espellere dal paese milioni di immigrati e musulmani.

La nomina di Bannon, insomma, è un messaggio molto chiaro, nel caso non bastasse il fatto che il primo incontro con un politico estero sia stato lo xenofobo Nigel Farage, guida del partito britannico Ukip. Stephen Bannon, 62enne della Virginia, è un personaggio chiave dell’elezione di Trump, suo capo della campagna elettorale dallo scorso agosto ed è noto per essere stato direttore di Breitbart, un sito internet di di estrema destra.

Breitbart, nell’ultimo anno, è stato la “Pravda di Trump”, utile a diffondere disinformazione e notizie false quando faceva comodo al candidato repubblicano. Per capire chi ora guida gli Stati Uniti d’America, ecco qualche titolo di Breitbart fra i più famosi: “Il controllo delle nascite rende le donne poco attraenti e matte”, oppure il noto: “Non c’è discriminazione per le donne nell’industria, fanno solo schifo nei colloqui di lavoro”.

All’indomani degli attentati terroristici di Parigi del novembre 2015, Breitbart titolava: “Le strade di Parigi trasformate in zona di guerra di migranti violenti”. Nel 2016, lo stesso giornale in un titolo chiamava l’analista politico Bill Kristol, oppositore di Trump, un: “Ebreo rinnegato”. Se la strategia media di Bannon, insomma, tende al sensazionalismo razzista di destra contro immigrati, donne e minoranze, il punto forte di questa campagna che ha portato alla presidenza Trump non è tuttavia Breitbart.

Sono i documentari. Già nel 2011 Bannon si era fatto conoscere per il documentario “The Undefeated”, e cioè: “La imbattuta”, sulla corsa dell’ex governatore conservatore dell’Alaska, Sarah Palin, alle primarie per la vicepresidenza degli USA. Questa esperienza è servita a Bannon per il suo lavoro recente, che ha fatto tanto discutere, il documentario: “Clinton Cash”, i “soldi dei Clinton”, il cui sottotitolo recita: “La storia non detta di come business e governi stranieri hanno fatto Bill e Hillary ricchi”. Inizialmente un libro scritto dall’ex caporedattore di Breitbart, Peter Schweizer, e diventato un best seller del New York Times, è poi stato tradotto in film documentario proprio da Stephen Bannon.

Sia nel libro che nel film si fanno rivelazioni su come i Clinton abbiano preso importanti somme di denaro da magnati molto vicini, ad esempio, all’autocrate presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. Il lavoro ha dominato per mesi il dibattito americano, ed è stato fondamentale nel dipingere Hillary Clinton come il candidato dell’establishment della finanza globale. E, di conseguenza, Trump come il candidato libero della società civile.

Già, perché se a primo impatto il lavoro di Bannon può sembrare quello di un semplice direttore di giornale online sensazionalista, in realtà lo spin doctor di Trump è stato la persona chiave della campagna elettorale. Mentre tutti i media e gli analisit più blasonati americani riportavano il netto vantaggio di Hillary, Bannon sosteneva che questa stesse perdendo terreno fra gli elettori ispanici, afro americani e fra i giovani. Mentre Trump guadagnava nella classe lavoratrice. Aveva ragione lui.

È stato Bannon a riempire i discorsi elettorali di Donald Trump della retorica sulle élite globali della finanza e delle banche. Discorsi spesso macchiati da una malcelata visione antisemita. “Clinton si incontra in segreto con le banche internazionali per distruggere la sovranità americana”, diceva Trump in campagna elettorale. Insomma, sarebbe Bannon la persona che ha detto a Trump di inquadrare la Clinton come bersaglio della finanza e dell’establishment.

Sempre di Bannon l’idea della conferenza stampa in cui Trump incontrò le tre donne che hanno accusato Bill Clinton di molestie sessuali. E se è vero che nel suo lavoro, Bannon, è stato spesso accusato di sessimo, razzismo ed antisemitismo, la sua biografia riporta come questi caratteri siano stati presenti anche in alcune parti della sua vita privata.

Nel 1996 fu accusato dall ex moglie Mary Louise Piccard di intimidazione, violenza domestica e percosse (accuse poi cadute quando Piccard non si presentò al processo). La stessa ex moglie accusò Bannon di antisemitismo nel 2007, quando dichiarò all corte che Bannon non voleva fare andare la propria figlia in una scuola di Los Angeles perché frequentata da troppi ebrei (Bannon ha negato quest’accusa tramite il suo legale).

Altro aspetto interessante della pittoresca vita del nuovo capo strategia della Casa Bianca: dopo un’esperienza nella Marina Militare Americana e gli studi ad Hardvard, ha lavorato come promotore d’investimento alla Goldman Sachs, ed è lì che ha iniziato la sua fortuna. Insomma, l’artefice della più grande campagna politica contro l’establishment della finanza, è stato lui stesso finanziere in uno dei più grandi gruppi d’investimento al mondo.

Ora un razzista, islamofobo e sessista si trova nella posizione più importante del team del Presidente degli Stati Uniti d’America. E mentre politici e media americani sono critici, mentre le associazioni a difesa degli ebrei, degli afro americani e delle donne protestano, arrivano anche i messaggi di chi si ritiene soddisfatto di questa scelta coraggiosa del governo Trump.

“È una scelta eccellente”, ha commentato l’ex leader del Ku Klux Klan, David Duke, alla CNN. “Abbiamo Bannon che di fatto sta creando gli aspetti ideologici da seguire, e l’ideologia è la parte più importante di ogni governo”. Mentre anche i neonazisti sono rimasti stupiti da una scelta così estrema del presidente eletto: “Devo ammettere di essere rimasto sorpreso”, ha detto Rocky J. Suhayda, capo del Partito Nazista Americano, “Non pensavo ci sarebbe riuscito”.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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