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Egitto: Il Cairo come la Berlino del 1989

Mubarak si è dimesso. Gli egiziani hanno vinto la prima, decisiva battaglia verso la democrazia dando una lezione a tanti politici occidentali che quegli ideali di libertà, giustizia e dignità hanno forse dimenticato. Una rivoluzione democratica che per molti aspetti ricorda quella che vide come protagonista Berlino nel 1989.
A cura di Cristian Basile
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E' stata dura, molto dura ma alla fine il popolo egiziano, guidato dalla sua cyber-gioventù democratica, ha dato una grande lezione di valenza e tenacia al mondo intero. L'immensa multitudine di persone di piazza Tahir, vecchi e giovani, di tutte le classi sociali, uomini e donne, cristiani e musulmani, voleva innanzitutto l'uscita di scena del dittatore Mubarak. Tutte le aperture, che venivano annunciate per placare le proteste, non avevano il minimo di credibilità se continuava a sedere sul trono un faraone ormai convertito in mummia, testardamente aggrappato al potere.

Mubarak si è dimesso, il popolo ha vinto. Ieri sera l'ormai ex-presidente ancora insisteva nel restare fino a settembre per condurre di persona la transizione democratica. Ma il discorso di ieri è stato un errore monumentale (nonostante l'appoggio israeliano, di altri dittatori arabi e di molti conservatori statunitensi) perchè il popolo di Tahir non si sarebbe mai arreso, non avrebbe mai smesso di combattere. E' stato un errore perchè il discorso di ieri ha aumentato la delusione e la frustrazione alimentando la protesta con centinaia di migliaia di persone.

A partire dal momento in cui l'esercito egiziano, l' istituzione più prestigiosa del paese, aveva assicurato di non sparare sulla folla, affermando che comprendeva e approvava le richieste del popolo, la rivoluzione democratica egiziana si è avviata verso la vittoria. Adesso è riuscita compiere la prima missione: cacciare l'autocrate. Tahir significa in arabo "liberazione" e per la gente che ha fatto di questa piazza il cuore palpitante della lotta per la libertà, la prima cosa dalla quale liberarsi era proprio il generale che ha governato per trenta anni, con il pugno di ferro, sulla valle del Nilo.

Ci sarà tempo per discutere su chi guiderà la transizione, adesso è tempo di festeggiare, è finita trionfalmente la prima, decisiva fase di una rivoluzione democratica. Il mondo non viveva qualcosa di simile dalla caduta del muro di Berlino; la storia si ripete e fa ritornare in primo piano sulla stampa internazionale la lotta contro le dittature, per la democrazia ed i diritti umani, dimostrando che la cautela ed il silenzio dei governi occidentali sono stati un tradimento ai valori ed ai principi democratici. La storia ha dato uno schiaffo morale a quanti, forse per pigrizia intellettuale, forse in malafede, non hanno dato fiducia ai giovani egiziani, senza accorgersi che i  protagonisti del mondo arabo del ventunesimo secolo non sono gli islamici, ma proprio i giovani, i milioni di giovani arabi che desiderano la libertà la dignità e la giustizia, gli stessi valori ai quali aspiravano i giovani tedeschi nel 1989. Di sicuro la strada verso la democrazia è lunga, difficile e irta di ostacoli ma non c'è motivo per non avere fiducia, per non sperare che tra qualche tempo l'Egitto possa diventare la più grande democrazia araba.

Il vento di cambiamento sul mondo arabo, il vento rivoluzionario della libertà, dunque, continua a soffiare sempre più forte. Già sono due i dittatori arabi caduti, il tunisino Ben Ali e, da poco, l'egiziano Mubarak, in questa rivoluzione democratica araba che ha già scacciato, insieme ai due dittatori, tanti pregiudizi occidentali, come quello che vede gli arabi come intrensicamente incompatibili con la democrazia. E, molto probabilmente, non è finita qui: l'appuntamento è per il 12 febbraio in Algeria, il 17 in Libia ed il 20 in Marocco.

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