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Senza coatti non si fa la rivoluzione: la storia di D. Hunter alla scoperta di Gramsci

“Chav. Solidarietà coatta”, è la storia di D. Hunter, un uomo che dopo 23 anni di violenza subita e agita, abusi sessuali, tossicodipendenza, carcere comincia a ricostruire se stesso scoprendo Gramsci. Le parole del coatto di Nottingham che per vivere ha rubato, spacciato e si è prostituito fin da bambino, sono un pugno alla bocca dello stomaco alla cattiva coscienza della sinistra.
A cura di Valerio Renzi
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Succede ancora che una piccola editrice scova quello merita di diventare un caso editoriale. È il caso di “Chav. Solidarietà coatta” di D. Hunter da poco dato alle stampe dai tipi di Alegre Edizioni, un libro anomalo per il panorama editoriale trovato in Inghilterra da Alberto Prunetti (traduttore e scrittore, suoi "Amianto" "108 metri. The new working class hero") . Chav in inglese è un termine che in italiano si può tradurre con coatto, ma che ha in sé un qualcosa di più dispregiativo perché il chav non è solo l’abitante delle periferie suburbane, scarsamente scolarizzato e dai gusti discutibili, ma soprattutto è un parassita, un buono a nulla che campa con i sussidi pubblici, un fannullone. Rappresentato secondo un'iconografia stereotipata con un cappello a scacchi Burberry e una tuta acetata stretta alle caviglie subito sopra le scarpe da ginnastica, è ovviamente anche machista e razzista.

Il chav del nostro libro è D. Hunter, un quarantenne che ha passato i primi ventitré della sua vita tra violenza subita e agita, abusi sessuali, tossicodipendenza, carcere. Per campare fa il sex worker e lo spacciatore, è soggetto a disturbi psichici. Un ciclo ininterrotto che sembra poter terminare solo con la morte prematura del protagonista in una rissa, per suicidio o overdose. Invece, un po’ per caso, durante il suo ultimo soggiorno in galera comincia a leggere. Prima con fatica, poi con avidità. E Hunter comincia a ricostruire se stesso e quando esce continua a studiare, si diploma e va all’università ma soprattutto diventa un’attivista nei movimenti della sinistra inglese, prende coscienza del suo essere uno sfruttato, ma anche di essere un maschio bianco in una società segnata da un profondo razzismo e sessismo.

Una storia che sembra un romanzo, e che invece è messa nero su bianco con rabbia, lucidità e ironia dal suo protagonista. Uno scrittore autodidatta nelle cui pagine troviamo la stessa forza di chi, quando parla di emarginazione e sfruttamento non parla per gli altri ma di se stesso. Parole che sono un pugno alla bocca dello stomaco alla cattiva coscienza di tanta sinistra. Le parole, lo stile e la radicalità di Hunter ricordano quelle di un altro autodidatta che ha intrapreso in carcere una nuova strada, George Jakson, il militante della Pantere Nere assassinato il 21 agosto del 1971 nel carcere di San Quintino. Come Jakson il nostro chav ha dovuto conquistare una ad una le parole per esprimere la propria condizione e la propria storia. Ha dovuto scoprire o inventare le espressioni per descrivere il proprio posto nel mondo.

Hunter ci ricorda che se la sinistra è ridotta una questione etica allora non ha futuro. Se condanna quelli che al contrario vorrebbe rappresentare, emancipare, liberare non riconoscendo in loro i protagonisti della loro stessa storia è giustamente destinata a perdere, o in alternativa a riprodurre se stessa seguendo un copione stantio, poco più di un hobby e non un impegno a cambiare davvero le cose. Se "l'ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio", secondo una famosa citazione attribuita a Chico Mendes, allora "la sinistra senza lotta di classe è solo moralismo".

Dopo vent'anni passati sulla strada, conducendo una vita lontana anni luce dalla stragrande maggioranza degli uomini e delle donne che incontra nei collettivi e nelle assemblee, nelle cause in cui si dedica anima e corpo, Hunter non ha difficoltà a riconoscere e disvelare le ipocrisie che incontra sulla sua strada. Perché una cosa è certa: senza che gli esclusi dalle linee di genere e colore, gli ultimi, i coatti, i sotto proletari che vivono di espedienti o costretti all'economia extralegale, la working class che non sa più di essere classe, trovino le loro parole per raccontare il loro desiderio di una società diversa, oppure gli altri continueranno a vincere. In questo libro ci sono alcune di quelle parole.

Piccola postilla per chi fosse interessato ad approfondire: Owen Jones, giovane giornalista e columnist del Guardian, ha scritto un libro che è stato un grande successo in Inghilterra diventando già un classico “Chavs: The Demonization of the Working Class”, che purtroppo non è stato mai tradotto in italiano ma che è un’interessantissima lettura. 

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