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Perché così tanti monumenti fascisti in Italia? Se lo chiede anche un americano

“In Italia i monumenti fascisti non sono stati abbattuti. Vengono addirittura restaurati”: la difficile domanda è stata posta dalle colonne del New Yorker dallo studioso americano Ruth Ben-Ghiat.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il Palazzo della Civiltà italiana nel quartiere dell'Eur, a Roma.
Il Palazzo della Civiltà italiana nel quartiere dell'Eur, a Roma.

L'annosa questione è stata rispolverata da Ruth Ben-Ghiat, professore di Storia e Studi italiani dell'Università di New York, in un lungo articolo sul New Yorker. Perché mentre la Francia e la Germania rinominano le strade e smantellano gli ultimi baluardi di un passato terribile in Italia alcuni monumenti fascisti vengono addirittura restaurati?

Ben-Ghiat si pone una domanda apparentemente scontata ed evidente, ma dovuta ad un retroterra culturale e storico molto più intricato: “l'Italia è stata la patria della più grande resistenza antifascista dell'Europa occidentale, e il suo partito comunista è stato uno dei più solidi dopo la guerra; fino al 2008 le coalizioni di centro-sinistra hanno mantenuto tale eredità, spesso ottenendo più del 40% di voti nelle elezioni. Allora perché l'Italia ha permesso ai suoi monumenti fascisti di sopravvivere?”.

Una memoria che non muore

"Ho trascorso i primi vent'anni della mia vita con il volto di Mussolini", raccontava Italo Calvino. La costruzione e il consolidamento di un regime totalitario passa prima di tutto attraverso l'affermazione di un immaginario collettivo forte: è attraverso le immagini di sé che produce che il potere trova la più grande legittimità nelle masse. Le strade, gli edifici, interi quartieri e perfino il paesaggio naturale devono adattarsi al nuovo regime: a partire dal 1922 la politica fascista impegna gran parte delle sue risorse nelle opere pubbliche per poter competere, e tentare di superare, la magnificenza delle testimonianze del passato.

È così che nascono, spiega il professore, esperienze come quella del quartiere romano dell'Eur. Costruito a partire dalla metà degli anni Trenta per ospitare l'Esposizione Universale (che non si terrà mai, a causa dello scoppio della guerra), il quartiere è stato per molto tempo il simbolo della rinnovata grandezza imperiale italiana. Altro emblema di tale rappresentatività, secondo Ben-Ghiat, è il Palazzo della Civiltà Italiana, conosciuto anche come “Colosseo Quadrato”: l'edificio, argomenta il professore, è un forte simbolo dell'aggressività e della megalomania fascista eppure, lungi dall'essere ignorato, “in Italia viene ancora oggi celebrato come un'icona modernista”.

La mancata "rieducazione"

La motivazione di tale longevità, secondo l'americano, risiede nel complesso rapporto della storia italiana con la politica di destra e con i suoi simboli più forti. Resi ancora più forti soprattutto dal superficiale processo di “rieducazione” collettiva seguito al crollo del regime.

Il paragone con l'esempio tedesco è immancabile: fin dal 1949 infatti la legge promulgata contro l'apologia nazista ha svincolato la Germania non soltanto dai rituali legati al regime ma anche dall'immagine pubblica che esso si era costruito negli anni. In Italia, ci ricorda lo studioso, tale processo non è mai stato portato a compimento: una “rieducazione” tralasciata perfino dalle forze alleate all'indomani della liberazione, trascurata nei fatti anche in seguito creando un forte precedente. La stessa Legge Scelba del 1952 non è riuscita ad imporsi sulla questione, ben più complessa della semplice apologia di fascismo, legata alla memoria storica incisa a grandi lettere nella pietra.

Ma la memoria è forse la cosa più pericolosa che esista, spiega Ben-Ghiat. Soprattutto negli ultimi anni il rapporto italiano con il fascismo è tornato più volte a far parlare di sé: l'apologia operata dal sindaco di Affile Ettore Viri nel 2012 nei confronti del generale Rodolfo Graziani è solo la punta di un iceberg molto pericoloso, ci ricorda il professore americano. Il caso tedesco è emblematico anche in questo senso: nonostante la memoria nazista in Germania sia stata fortemente combattuta dal dopoguerra in poi, per la prima volta dopo decenni il partito di estrema destra AfD è riuscito ad entrare in parlamento.

In un paese come l'Italia, si chiede Ghiat, dove i simboli del fascismo non sono mai stati nemmeno eliminati, e dove sembra normale trattarli come oggetti estetici “apolitici”, depoliticizzandoli, quanto tempo passerà prima che qualcuno se ne riappropri?

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