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“Omaggio”: il feudalesimo in una parola insospettabile

Campioni omaggio come se piovessero, se ne compri due il terzo è in omaggio: ma non facciamoci sfuggire che l’omaggio nasce nel medioevo, raccontandoci il momento rituale della concessione del feudo. Che non era proprio il piccolo dono che conosciamo oggi per ‘omaggio’, anzi, non era proprio un dono.
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A cura di Giorgio Moretti
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Omaggio‘ è una parola di antica derivazione francese: stringendo un po' gli occhi, tendendo un po' l'orecchio ci si può vedere e sentire dentro il termine ‘homme‘ (‘uomo‘), che porta all'omaggio attraverso la forma ‘homage‘. Ma aspetta, come è che si arriva dall'uomo al regalo?

Come sappiamo l'omaggio non è solo il dono: anzi, il suo primo significato indica l'atto di deferenza, di devozione, di ammirazione o cortesia: pensiamo a quando, con gusto rétro, porgiamo i nostri omaggi, all'omaggio pronunciato dal presentatore all'autorità che assiste allo spettacolo, alla citazione cinematografica che vuole essere un omaggio al grande regista del passato. Ebbene, l'omaggio è innanzitutto un atto di riconoscimento perché nasce tecnicamente come cerimonia con cui il sovrano concedeva un feudo a qualcuno.

Ce lo dobbiamo figurare in ginocchio, il futuro feudatario, davanti al re che gli tiene le mani giunte fra le sue. Dobbiamo sentirlo mentre giura di servirlo fedelmente con tutte le forze necessarie, adesso che in virtù delle nuove disponibilità e dei privilegi che il feudo gli assicura queste forze le ha. Dobbiamo vedere il sovrano riconoscerlo in quanto suo alto servitore, in quanto suo nuovo uomo, homme, homage. Ecco: l'omaggio è la cerimonia con cui la persona si eleva a dignità di uomo del sovrano. Così la suggestione della cerimonia, la sua solennità e la sua impronta di devozione ha fatto sì che l'omaggio passasse a indicare in generale l'atto o la professione di deferenza e ossequio di cui parlavamo; e da questo atto, anche il beneficio che lo ricambiava, e che in realtà non era un dono, ma privilegio (revocabile) per mezzo del quale farsi servire.

Ma nessuno più, in questa parola, sente gli echi delle aule di pietra in cui si svolgevano gli omaggi: l'uso commerciale costante ne copre l'origine, ci distrae col portachiavi in omaggio, con l'omaggio esclusivo, con il secondo prodotto in omaggio. Questo però non ci deve confondere, far credere che l'omaggio debba essere qualcosa di materiale. Il cuore dell'omaggio è sempre il riconoscimento: questo è evidente quando l'orchestra suona un brano in omaggio al compositore scomparso. Ma anche il piccolo, insulso, irrichiesto omaggio che troviamo nel pacco che ci porta il corriere ha questa misura: un segno di riconoscimento (se non di riconoscenza) per l'acquisto. Non sempre è uno specchietto per le allodole; volentieri è un segno di complicità, e se il pacchettino di biscotti per cani, la penna o le caramelle non valgono a renderci ‘uomini' del venditore, possono almeno riconoscerci come clienti simpatizzanti.

Questa è una delle meraviglie delle parole: la compresenza sedimentata dei significati storici, stratificata come un centro cittadino dai molti stili e abitato da diverse anime, in cui possono stare fianco a fianco, nella medesima forma di omaggio, riti severi compiuti in oscuri saloni medievali dall'aria fredda e pesante, e campioncini aggiunti nella busta di carta che ci porge l'allegra commessa della profumeria, luminosa e inebriante.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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