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Opinioni

L’antropologo Marino Niola: “Le statue mettono paura da sempre, abbatterle è fanatismo”

Marino Niola, antropologo e uno dei più noti divulgatori nel nostro Paese, racconta in un’intervista a Fanpage.it il suo punto di vista sulle proteste del movimento Black Lives Matter e sugli abbattimenti delle statue. Promuove la proposta di Banksy e boccia coloro che imbrattano la statua di Montanelli: “Le statue mettono paura da millenni, bisogna chiedersi: perché proprio oggi?”
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La soluzione potrebbe essere quella "riparatrice" di Banksy. Per Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, bisogna scrostare il dibattito da sterili posizioni pro o contro gli abbattimenti e superare le visioni paternalistiche dietro i due opposti schieramenti. Tuttavia si dice fermamente contrario agli abbattimenti e sull'affaire-Montanelli cerca di risalire al peccato originale: averne fatto un beniamino da sinistra per il suo antiberlusconismo. Equivoco che ci siamo trascinati fino ad oggi che non ci ha permesso di discuterne criticamente l'operato quand'era in vita.

Come giudica le critiche piovute verso chi sta protestando contro il razzismo e che ha posto la questione sui simboli urbani dedicati a personaggi razzisti?

Finora vedo reazioni principalmente di carattere pedagogico-moralistiche. Le statue si abbattono da millenni, si potrebbe dire che sono fatte per essere abbattute.

Perché le statue e non i quadri, ad esempio?

Le statue ci mettono paura, ci inquietano per la loro tridimensionalità. Posseggono un elemento in più, in termini di profondità, che ci muove a sentimenti più forti, intensi. È sempre stato così, nella storia umana. A tal punto che, nell'alto Medioevo, si smise del tutto di scolpire: era vietato.

Quindi lei è d'accordo agli abbattimenti o quantomeno alla revisione di questi simboli?

Assolutamente no. Abbattere una statua mi pare un'azione segnata da una sorta di fanatismo, laico, ma pur sempre fanatismo. In definitiva, chi imbratta o abbatte una statua è pervaso da uno spirito irrazionale, quasi mistico, che non condivido. Come pretendere di cancellare il Columbus Day. Oltre al macroscopico errore di valutazione storica, per cui vogliamo giudicare dalla prospettiva dell'oggi i valori invalsi (sbagliati, per carità) nei secoli scorsi, c'è da chiedersi a cosa possa servire nel dibattito più importante che bisognerebbe fare su razzismo e ingiustizia sociale. Dall'altro lato, invece, vedo in chi giudica in maniera tranchant la protesta un paternalismo fuori luogo.

E sulla statua di Montanelli?

Vale lo stesso discorso: non capisco quest'idea di censura a posteriori. Aver fatto di Montanelli un beniamino della sinistra contro il berlusconismo e dunque averne taciuto il passato "scomodo", all'epoca in cui gli fu issata una statua a Milano, tacitò ogni discorso sulla necessità o meno di quel simbolo. E oggi ci ritroviamo a parlarne. Bene, facciamolo, ma lasciamo la statua dov'è: c'è il rischio di diventare dei fanatici religiosi a nostra insaputa.

Quindi, come se ne esce?

Bisogna chiedersi: perché oggi stiamo discutendo di questa cosa? Quali sono i problemi più gravi, come il razzismo e le gravi ingiustizie sociali che muovono questa protesta, ben più ampia della questione-statue? In ogni caso, il "lodo-Banksy" mi sembra il migliore. Lasciare le statue dei razzisti al loro posto, a patto che anche i manifestanti che l’hanno tirata giù siano raffigurati in altrettante statue di bronzo mentre la rimuovono.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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